Sagrantino di Montefalco | Il Presidente del Consorzio auspica un cambio di disciplinare

di Jacopo Cossater

Che il Sagrantino di Montefalco sia l’uva con la più alta quantità di polifenoli lo sappiamo. Ciò ne fa un vino capace di dare il meglio sulla lunga, forse lunghissima distanza. E il forse non è casuale. I primi Sagrantino secco risalgono infatti ad una trentina di anni fa ed i produttori che allora hanno creduto sulla tipologia erano davvero pochi, Arnaldo Caprai su tutti. Solo durante la seconda metà degli anni Ottanta – o dopo, a seconda delle opinioni – pian piano è cresciuta la convinzione che Montefalco avesse le carte in regola per diventare quello che è oggi, un grande territorio del vino italiano. Ecco che quindi è difficile parlare di un vero storico della denominazione. Ai posteri l’ardua sentenza, ma gli assaggi di alcune annate degli anni novanta fanno ben sperare. Eccome.

Tutto bene, quindi? No. Negli ultimi 10 anni, gli ettari vitati all’interno della denominazione sono passati da circa 200 a quasi 700, a dimostrazione dei tanti investimenti fatti in zona. Le bottiglie prodotte da 500.000 ad oltre 2 milioni. Sempre all’altezza? Ovviamente no. Poi c’è la crisi, e il Sagrantino di Montefalco è un vino che va aspettato oltre che impegnativo da abbinare a tavola. Ecco dove nascono le difficoltà che le cantine del comprensorio incontrano da un paio d’anni a questa parte.

La soluzione? In parte semplice, a sentire Luciano Cesarini, Presidente del Consorzio Tutela Vini Montefalco: “credo sia auspicabile riuscire ad inserire nel disciplinare della docg una piccola percentuale di altri vitigni, anche internazionali e, contestualmente, aumentare la percentuale di sagrantino all’interno della denominazione di ricaduta, il Rosso di Montefalco, che al momento è fissata al solo quindici per cento“.

Lontano da Intravino emettere giudizi, sappiamo perfettamente quanto possa essere difficile trovare la formula giusta per uscire da una crisi che coinvolge un intero settore, ma siamo davvero sicuri che la soluzione sia un po’ di merlot quà e là? A Cirò, in Calabria, si stanno ponendo la stessa domanda.

Edit del 25/02/2015: Si segnala che nel 2011 è stato eletto Presidente del Consorzio Tutela Vini Montefalco Guido Guardigli della cantina Perticaia e nel 2013 Amilcare Pambuffetti di Scacciadiavoli. Questo post, va da sé, non rappresenta il loro pensiero e si riferisce alle dichiarazioni, ormai assai datate, del loro predecessore, nel 2010.

Jacopo Cossater

Docente di marketing del vino e di giornalismo enogastronomico, è specializzato nel racconto del vino e appassionato delle sue ripercussioni sociali. Tra gli altri, ha realizzato i podcast Vino sul Divano e La Retroetichetta, collabora con l'inserto Cibo del quotidiano Domani e ha cofondato il magazine cartaceo Verticale. Qui su Intravino dal 2009.

20 Commenti

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kenray

circa 13 anni fa - Link

"che va aspettato oltre che impegnativo da abbinare a tavola" mi permetto una considerazione. da qualche tempo non abbino più una fava. ordino quello che mi piace e bevo quello che mi piace. spiego. se ordino del pesce crudo la logica direbbe un bianco e financo uno champagne. se ordino tagliolini al tartufo d'obbligo sarebbe barolo o barbaresco secondo i puristi. io non mi comporto cosi, ordino il vino perchè lo bevo in maniera disgiunta al cibo. rutto libero insomma. il sagrantino poi altro che impegnativo. è una martellata sui denti. altro che sfursat. secondo me va bevuto soprattutto con le persone giuste. e qui si che inizia un altro film.

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Roberto Dal Ponte

circa 13 anni fa - Link

Eh sì, eh sì, l'abbinamento "purista" con il tartufo é proprio un vino tannico, tipicamente barolo o barbaresco, certo, certamente, é proprio così, bravo Kenray. D'altronde, si sa, amaro e tannino vanno d'amore e d'accordo.

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Pippuz

circa 13 anni fa - Link

Il tartufo è già un complemento al piatto. Quindi prima cosa dipende dal piatto, se il tartufo è sull'uovo o sulle tagliatelle o sulla battuta di carne (ad esempio). E' abbastanza inutile parlare di abbinamento vino-tartufo.

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kenray

circa 13 anni fa - Link

andate a dirlo in piemonte non a me. se siete fortunati magari vi frustano e basta.

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Franco Ziliani

circa 13 anni fa - Link

ma quando nel mondo del vino italiano finirà questa insana abitudine di pensare che un vino possa migliorare con il "toccasana" della semplice aggiunta di una quota dei soliti, noiosissimi, déja vu, Cabernet, Merlot e Syrah? Che p...e!

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daniele

circa 13 anni fa - Link

Amo Montefalco ed il Sagrantino così com'è, spero lascino tutto immutato. Tra l'altro quando mi è capitato di assaggiare vini che sono blend tra Sagrantino e qualche vitigno internazionale non è che sia rimasto entusiasta.

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Nelle Nuvole

circa 13 anni fa - Link

Caro Ziliani, quando Lei accompagna i commenti con la foto sorridente e non con quela cogitabonda e gli occhiali, non so perché mi piace di più, potenza dell'immagine! A parte gli scherzi sono totalmente in sintonia, che strapalle questa scuola di pensiero sul solito "aiutino". Nel caso del Sagrantino, nel periodo delle vacche grasse ci sono saliti in tanti su quel treno. Adesso che si fa fatica a vendere una cassa in più di qualsiasi vino l'attrattiva di una scorciatoia diventa irresistibile. Ma la formula magica non c'é, neanche se si chiama Merlot, Syrah o il megaenologo di turno.

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gp

circa 13 anni fa - Link

Condivido sostanzialmente i commenti negativi precedenti rispetto alla prima parte della frase del Presidente del Consorzio, quella che riguarda il Montefalco Sagrantino Docg. La seconda parte, che tocca il Montefalco Rosso Doc, mi sembra invece accettabile, dato che la percentuale di uva Sagrantino attualmente prevista (tra il 10 e il 15%) è singolarmente bassa, e oltretutto tale da impedire un semplice uvaggio tra Sagrantino e Sangiovese (dato che questo può variare tra il 60 e il 70%). So che il problema pratico della zona è la presenza di un eccesso di offerta di Sagrantino, in seguito agli ingenti nuovi impianti degli ultimi anni. L'aumento della quota di quest'uva nel Rosso potrebbe risolvere in prospettiva il problema - con una redditività diversa da quella originalmente prevista, è vero, ma anche con una maggiore sicurezza di riuscire effettivamente a vendere quello che si mette in bottiglia.

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Francesco De Franco

circa 13 anni fa - Link

Non posso che riprendere il concetto di Tomacelli: Che noia,basta non ne possiamo più. Il copione è già visto, una piccola dichiarazione qui, una di là e si arriverà a dire che "tanto lo fanno già tutti" oppure come a Cirò "sono quarant'anni che si fa" e altre amenità del genere. Nel frattempo si tessono relazioni e amicizie e si fanno partire le procedure burocratiche per la modifica che prevederà sicuramente una % di "tutte le varietà autorizzate dalla Regione X". Quando il Comitato vini approverà le modifiche usciranno comunicati tipo questo dell'Assoenologi per la modifica del Cirò "...è stata apportato un adeguamento alla base varietale dei vigneti, privilegiando in ogni caso i vitigni autoctoni..." Insomma, il concetto di base è: Oggi e sempre vogliamo fare quello che ci pare e non rompeteci le scatole!

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Andrea Pagliantini

circa 13 anni fa - Link

Insana abitudine della gente a farsi male quella di cadere in questa serie di fantasie al potere. Già vista nel Chianti Classico bordolesizzato già da un bel pò.

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Francesco Annibali

circa 13 anni fa - Link

La mia impressione, assaggi in bocca, è che l'intelaiatura tannica eccezionalmente fitta del vitigno a volte "comprima" il vino, e che se è indiscutibile che si tratti di vitigno dai pregi eccezionali questo non vuol dire che debba essere vinificato d x sé. A me piace molto mescolato con il sangiovese, si potrebbe fare vino top con sangio minoritario e 2° vino con percentuali invertite

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Roberto Giuliani

circa 13 anni fa - Link

Direi che non c'è più nulla da aggiungere, è stato già detto tutto. I disciplinari stanno "adeguandosi" progressivamente, sempreché si possano ancora considerare un concreto riferimento a quanto c'è nel vino, visto le ultime vicissitudini: http://www.lavinium.com/laviniumblog/imbottigliato-allorigine-si-forse-non-so-dipende.html

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Jacopo Cossater

circa 13 anni fa - Link

A proposito di Montefalco e del disciplinare del Sagrantino vorrei segnalare anche questo post in cui Roberto Giuliani si chiedeva se e quando si sarebbe arivati a questo punto, aprendo all'ipotesi dell'inserimento di altre uve, appunto.

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Roberto Giuliani

circa 13 anni fa - Link

(^_^):::::::< (per chi non è avvezzo, questa è una lisca di pesce che sorride, cosa c'avrà da sorridere, bah!)

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Nelle Nuvole

circa 13 anni fa - Link

Quando ancora riuscivo a bazzicare il Salone del Gusto non solo m'innamorai follemente di Monsieur Jean Luis Chave e dei suoi vini, ma rimasi basita del fatto che l' Appellation Hermitage copriva in tutto 170 ha e non c'era nessuna intenzione di ampliamento. Adesso, dopo anni, sono andata a controllare e se non sbaglio gli ettari sono 140.00 con una produzione totale di 730.000 bottiglie. Siamo su un altro pianeta, un pianeta che potevamo conquistare mantenendo per certe nostre denominazioni prestigiose un rigore che non c'é stato. Adesso non solo ci stracciamo le vesti, ma ci meravigliamo sulla confusione che c'é riguardo a di che sa un vero Brunello o un Chianti Classico, Nobile di Montepulciano e prossimamente anche Sagrantino di Montefalco.

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Francesco Fabbretti

circa 13 anni fa - Link

Il crudo realismo mi spinge a riconoscere che se si vuole cambiare un disciplinare, lo si cambia indipendentemente di noi poveri folli che abbaiamo alla luna. Permettetemi un pizzico di cinismo: Mettano pure cabernet, merlot, syrah, quello che vogliono! I consumi di vino si contraggono, e anche gli americani (a cui ho la fortuna di insegnare i rudimenti dell'approccio al vino) ormai cercano attraverso un bicchiere di rivivere un percorso emozionale fatto di cultura, onestà e profonde radici storiche su cui quelle enologiche si vanno innestando. Il mercato ha davvero bisogno di questo ennesimo sputXXXmento? Dubito fortemente. Però ringrazio egoisticamente gli illuminati che hanno certe pensate. Per me diventerà moooooooolto più facile vendere un Sagrantino Puro perchè anche un fesso sentirebbe la differenza col minestrone syrah-merlotteggiante. Facciano pure quindi, si accomodino, anzi si sbrighino e permettano, a chi (forse presuntuosamente) crede di capire cosa vuole il cliente, di incrementare le sue vendite. p.s. Già che ci sono si sbrighino pure con il brunello ;-)

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Roberto Giuliani

circa 13 anni fa - Link

Francesco, il problema è molto più grosso, credimi, e va avanti da parecchio. Ora però, a quanto la documentazione a mia disposizione mi dice, c'è addirittura il Mipaaf direttamente che "suggerisce" ai consorzi come comportarsi per aggirare le normative europee, troppo larghe per poter porre dei limiti al nostro opportunismo di tradizione. Oggi, dalle ultime novità, si può arrivare a imbottigliare un vino non prodotto con proprie uve e scrivere "imbottigliato all'origine". Ribadisco, leggete quanto ho scritto perché è importante, ne hanno parlato anche Fabio Rizzari ed Ernesto Gentili sul loro blog: http://www.lavinium.com/laviniumblog/imbottigliato-allorigine-si-forse-non-so-dipende.html

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Mario Crosta

circa 13 anni fa - Link

Quando ho cominciato a bere il vino io stavano appena uscendo i primi regolamenti DOC. Il mondo del vino era diverso. Nelle osterie c'erano le bottiglie esposte dietro il bancone a un paio di metri dagli avventori che riuscivano soltanto a leggere i caratteri cubitali delle etichette per decidere che cosa ordinare ed offrire. Percio' risaltava da lontano soltanto il cognome del produttore, mentre il nome del vino bisognava chiederlo all'oste. Praticamente, la qualita' la si ricercava nella firma del produttore famoso. Un po' come oggi avere una ferrari, una BMW, una mercedes, quale modello importa certamente ed il nome o la sigla sono conosciuti dal pilota e dagli esperti, ma per il grande pubblico e' la marca stessa che conta, mentre il resto e' soltanto un particolare. Penso che se si continuera' ancora a stravolgere i regolamenti DOC e DOCG merlotizzando e cabernetizzando vini soltanto per inseguire chimere, alla fine si tornera' al caos che c'era prima della loro comparsa, i Consorzi non varranno piu' una cicca e la gente tornera' a fidarsi soltanto del nome del produttore stampato a caratteri cubitali in etichetta. Non c'e' altro da dire: chi e' causa del suo mal pianga se stesso. Anche se le osterie si chiameranno wine bar...

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francesco

circa 13 anni fa - Link

Tranquilli ragazzi anche questo Presidente in cerca di notorietà spicciola passerà presto, speriamo anche, senza lasciare troppi danni non come i suoi predecessori. Come al solito semplificare questioni complesse serve solo a far abbaiare alla luna senza guardare il dito. Purtroppo l'Italia del vino degli anni 2.0 è stata sconvolta dall'impreparazione se non peggio delle regioni in termini di programmazione di fronte ai fondi strutturali della UE e oggi se ne pagano le conseguenze. Ci vuole tempo e nervi saldi per attraversare la crisi, in particolare ci vogliono programmi seri e a lunga scadenza.

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Antonio C.

circa 13 anni fa - Link

Spero proprio che nonostante questi grandi sforzi non riescano a rovinare un vino unico. E per questo inarrivabile. ciao

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