Meursault 2005 “En la Barre” e lo chardonnay coi fiocchi di Francois Jobard

di Mauro Mattei

Non ci troviamo nel comune più blasonato della Cote de Beaune in Borgogna né di fronte al domaine più in auge di questa denominazione, eppure stappando “En la Barre” 2005 la cosa più sana che possiamo fare è inginocchiarci sui ceci. Versare nel bicchiere uno chardonnay come questo è liberarsi del peccato di avere ingollato in precedenza delle vere e proprie indecenze. Ficcarci il naso dentro corrisponde automaticamente a cancellare, dallo storico delle nostre bevute, qualsiasi produttore si sia sporcato le mani (e la coscienza) maltrattando una varietà unica. Deglutire liquidi così profondi è come maledire istantaneamente chi si è macchiato della pratica eretica di spalmare quest’uva su e giù per i 5 continenti.

Insomma, per chiudere la bocca ai fan delle pari opportunità ampelografiche, ci giochiamo la carta del diversivo, parlando veloce di vino e produttore. Per ammutolire i dissidenti, quindi, ecco la degustazione cotta e mangiata.
Francois Jobard è un vigneron dal fare classico eppure inossidabile. Coltiva, col figlio Antoine, pochi ettari, sbriciolati – grossomodo – sul territorio comunale di Meursault. Francois ha cuore e anima da bianchista, eppure, concedendosi una puntata “fuori zona” produce addirittura un buon Volnay. Bazzecole, perché – neanche a volerlo puntualizzare – è lo chardonnay la varietà che gli permette di esprimersi in maniera più ampia. Un’uva che, in mano a quest’interprete, diventa strumento di comunicazione in grado di raccontare agevolmente un territorio e le sue sfumature.
Non serve – dunque – aprire il vino più rappresentativo dell’azienda per intuire stile e potenzialità. E’ sufficiente volare più basso. Senza voler strafare ma permettendoci di pizzicare un’annata stratosferica, abbiamo stappato un villages e le emozioni non sono mancate. Il perfetto dosaggio del legno (anche per i vini più prestigiosi, vengono utilizzate botti usate fino a 10 anni), la qualità del frutto, la pulizia, l’impatto minerale e l’acidità vigorosa, sono sensazioni che tratteggiano un vino con numeri da fuoriclasse. Già appena versato, “En la Barre”, esprime polpa e ricchezza, il colore lo conferma. Il naso è completo e si dipana giocando fra grassezza, note di terra bianca e roccia. Le sensazioni di bocca ci regalano un vino burroso e raffinato e – a volergli contare i giri – giovane e ancora inespresso. Tirando le somme, un vino capace di essere rassicurante e tondo ma in grado di emettere note acute all’occorrenza, tanto da apparire nervoso in chiusura. Un’ affascinante commistione fra territorio, varietà e savoir faire, in pieno stile borgognone, potremmo dire.

Ecchisenefrega – quindi – se “En la Barre” è solo un lieu-dit. Ecchisenefrega se Meursault non annovera fra le sue fila neanche un grand cru. Per una volta relax, lasciamo parlare il bicchiere e non l’etichetta.

Mauro Mattei

Sommelier multitasking (quasi ciociaro, piemontese d'adozione, siculo acquisito), si muove in rete con lo stesso tasso alcolico della vita reale.

2 Commenti

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Fabio Cagnetti

circa 14 anni fa - Link

Grande manico, François Jobard. Vorrei avere più bottiglie sue in cantina, ma è difficile lasciarcele a lungo; ultima vittima, un Meursault Charmes 1992 elegantissimo e vibrante, un fuoriclasse senza tempo da millesimo per soli introdotti, e ahimé era l'ultima boccia. Produttore meno tecnico di altri, che lascia parlare il territorio e che ha buone vigne, pur non possedendo una parcella del Perrieres, vero Grand Cru in pectore a Meursault. Peraltro, considerando che i lieux dits sono in distro attorno ai 40 euro e i Premier Cru fra i 60 e i 70, è anche un gran bere a cifre umane, cifre con cui a Puligny, per dirne una, non è facile bere altrettanto bene. In ogni caso, l'incipit non rende giustizia nè al comune -dei cui vini ogni savio ha almeno una piccola scorta- nè al vigneron, che è difficile non inserire fra i cinque nomi di riferimento a Meursault.

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Mauro Mattei

circa 14 anni fa - Link

Mitico Cagnetti, ormai l'ho capito che abbiamo gli stessi gusti. L'incipit si regge su un paradosso e sull'oggettività del fatto che Meursault pur partorendo grandissimi vini ha dinnanzi a se appellazioni più vocate sulla carta così come F. Jobard è preceduto da produttori e domaine più blasonati (non necessariamente più validi) :) Comunque Jobard tutta la vita.

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