La nuova frontiera è parlare di Barolo e classificazione gerarchica dei cru

di Vittorio Manganelli

“È uno sporco lavoro, ma qualcuno deve pur farlo”. E da qualche parte si dovrà pur iniziare. Io partirei così.
Le “Menzioni Geografiche Aggiuntive” del Barolo sono state approvate nel 2009. Proviamo a vedere che cosa è successo e che cosa potrebbe ancora capitare. Una premessa sui termini: con MGA si vorrebbe proporre la traduzione nostrana per il francese cru, con risultato indubbiamente più debole. Non è l’elemento centrale a questo punto del discorso, ma bisognerà pur porsi il tema: come si può spiegare a un americano che Brunate è una MGA mentre Sperss un marchio aziendale? Visto che il termine cru, ovviamente francese, non è brevettato e che è ormai tranquillamente utilizzato in tutto il mondo, Italia compresa, per indicare un’area altamente vocata e dai confini stabiliti, perché non pensare di usarlo anche qui?

In primo luogo, si può dire che risulta evidente come il numero di queste menzioni, ben 166*, sia sicuramente eccessivo rispetto alla storia dell’area e all’utilizzo che di questi nomi è stato effettivamente fatto da parte dei produttori. Risulta quindi oltremodo evidente la logica onnicomprensiva che ha permeato il complesso iter burocratico delle MGA, in primo luogo finalizzate a consentire alla stragrande maggioranza dei produttori la possibilità di aggiungere un nome ufficiale alle proprie etichette.

In secondo luogo, la scelta fatta dai diversi comuni e dal Consorzio è stata, verrebbe da dire ovviamente, quella di non scontentare nessuno, per cui le diverse MGA sono state stiracchiate, allungate e allargate in modo da tenere conto degli interessi dei diversi produttori. Basta citare in questo senso la MGA Bussia, che si trova ad avere dimensioni storicamente ingiustificabili.
Ciò premesso, come si suol dire, quello che è fatto è fatto. E non credo che sia realistico pensare a modifiche migliorative di questo o quel punto del sistema MGA, che sono comunque andate a costituire dei legittimi diritti dei proprietari dei diversi vigneti.
Resta il problema per cui è, oggi come ieri, inevasa la legittima domanda dei consumatori di conoscere quali sono le aree maggiormente vocate, quelle che per costanza di risultati produttivi meritano “oggettivamente” di essere pagate un po’ di più, conservate un po’ di più, godute un po’ di più.
Tenendo inoltre conto che il Barolo è un vino esportato per almeno l’80%, l’esigenza di stabilire una graduatoria dei terreni, e non solo dei produttori come fanno le varie guide, appare quanto mai opportuna per consentire un’ulteriore valorizzazione della Docg Barolo.
Il che, per di più, come è ampiamente dimostrato dalla storia francese, non comporterebbe una diminuzione di valore o di prezzo per i produttori che non possiedono cru di primo livello o che, per loro scelta, decidano di non utilizzare questa ulteriore classificazione e basarsi esclusivamente sulla notorietà del proprio nome.

Perché non procedere, quindi, a una classificazione delle diverse MGA con una scala qualitativa? Quali sono, all’interno delle 166 menzioni, quelle sicuramente più vocate?
Al di là del fatto che in Francia le diciture Grand Cru o Premier Cru indicano cose diverse a seconda delle zone, ci pare possibile andare a una proposta che preveda alcuni punti iniziali di discussione:
1) i livelli non devono essere più di tre, per cui si avrebbero “Barolo X (una delle MGA), cru di 1° livello; Barolo Y (una delle MGA), cru di 2° livello; Barolo Z (una delle MGA), cru di 3° livello”. Barolo, senza l’aggiunta di menzioni né di livelli, andrebbe implicitamente a costituire un possibile quarto livello. La scelta dei tre livelli deriva da molteplici considerazioni, tra le quali le più importanti sono: a) una tradizione storica che vedeva già nell’Ottocento i commercianti locali, spesso anche se non sempre, suddividere il valore delle uve in prima, seconda e terza scelta; b) il successo che i tre livelli, pur diversi, hanno avuto in Borgogna; c) la comprensibilità da parte del consumatore, che sarebbe sicuramente più in difficoltà di fronte a un numero di categorie superiore, come dimostra l’esperienza di Bordeaux; d) l’oggettiva difficoltà di classificare le diverse MGA in un alto numero di livelli, stante il variare di esposizioni, composizione del terreno e altitudine all’interno di uno stesso cru.
2) Il Barolo che nasce da cru di diverso livello può utilizzare il livello più basso dei cru di provenienza.
3) Il Consorzio viene investito del compito di concedere l’utilizzo dei diversi livelli a ogni produttore, previo controllo dell’esatta corrispondenza tra le superfici utilizzate e le bottiglie prodotte.

Per fare una prima ipotesi di lavoro, si potrebbero avere:

Cru di 1° livello:
1. Bricco Boschis (Castiglione Falletto)
2. Brunate (La Morra – Barolo)
3. Bussia (Monforte)
4. Cannubi (Barolo)
5. Cerequio (La Morra – Barolo)
6. Francia (Serralunga)
7. Gabutti (Serralunga)
8. Ginestra (Monforte)
9. Lazzarito (Serralunga)
10. Marenca (Serralunga)
11. Margheria (Serralunga)
12. Monprivato (Castiglione Falletto)
13. Monvigliero (Verduno)
14. Parafada (Serralunga)
15. Prapò (Serralunga)
16. Rivette (Serralunga)
17. Rocche dell’Annunziata (La Morra)
18. Rocche di Castiglione (Castiglione Falletto)
19. Sarmassa (Barolo)
20. Vigna Rionda (Serralunga)
21. Villero (Castiglione Falletto)

Cru di 2° livello:
1. Altenasso o Garblet Suè o Garbelletto Superiore (Castiglione Falletto)
2. Arborina (La Morra)
3. Arione (Serralunga)
4. Badarina (Serralunga)
5. Baudana (Serralunga)
6. Boscareto (Serralunga)
7. Brea (Serralunga)
8. Breri (Verduno)
9. Bricco Ambrogio (Roddi)
10. Bricco Chiesa (La Morra)
11. Bricco delle Viole (Barolo)
12. Bricco Luciani (La Morra)
13. Bricco Rocca (La Morra)
14. Bricco Rocche (Castiglione Falletto)
15. Bricco Manzoni (La Morra)
16. Bricco San Biagio (La Morra)
17. Bricco Vigna Mirasole (Castiglione Falletto)
18. Bricco Voghera (Serralunga)
19. Briccolina (Serralunga)
20. Broglio (Serralunga)
21. Cannubi Boschis (Barolo)
22. Cannubi Muscatel (Barolo)
23. Cannubi San Lorenzo (Barolo)
24. Cannubi Valletta (Barolo)
25. Capalot o Capalotti (La Morra)
26. Carpegna (Serralunga)
27. Case Nere (La Morra)
28. Castellero (Barolo)
29. Castelletto (Monforte)
30. Castello (Grinzane)
31. Cerretta (Serralunga)
32. Codana (Castiglione Falletto)
33. Collaretto (Serralunga)
34. Colombaro o Colombaio (Serralunga)
35. Conca (La Morra)
36. Costabella (Serralunga)
37. Falletto (Serralunga)
38. Fiasco (Castiglione Falletto)
39. Fossati (La Morra – Barolo)
40. Gallaretto (Serralunga)
41. Gattera (La Morra)
42. Giachini (La Morra)
43. Gramolere (Monforte)
44. La Serra (La Morra)
45. Le Coste (Barolo)
46. Le Coste di Monforte (Monforte)
47. Le Turne (Serralunga d’Alba)
48. Liste (Barolo)
49. Mariondino o Meriondino (Castiglione Falletto)
50. Massara (Verduno)
51. Monrobiolo di Bussia (Barolo)
52. Montanello (Castiglione Falletto)
53. Mosconi (Monforte)
54. Ornato (Serralunga)
55. Paiagallo (Barolo)
56. Parussi (Castiglione Falletto)
57. Pernanno (Castiglione Falletto)
58. Perno (Monforte)
59. Pira (Castiglione Falletto)
60. Pisapola (Verduno)
61. Preda (Barolo)
62. Pugnane (Castiglione Falletto)
63. Ravera (Novello)
64. Ravera (Monforte)
65. Rocchettevino (La Morra)
66. Roggeri (La Morra)
67. Roncaglie (La Morra)
68. Ruè (Barolo)
69. San Bernardo (Serralunga)
70. San Lorenzo di Verduno (Verduno)
71. San Rocco (Serralunga)
72. Scarrone (Castiglione Falletto)
73. Serra (Serralunga)
74. Sorano (Serralunga)
75. Sottocastello di Novello (Novello)
76. Vignane (Barolo)
77. Vignolo (Castiglione Falletto)
78. Zuncai (Barolo)

3) Cru di 3° livello:
1. Albarella (Barolo)
2. Annunziata (La Morra)
3. Ascheri (La Morra)
4. Bablino (Grinzane)
5. Bergeisa (Barolo)
6. Bergera-Pezzole (Novello)
7. Berri (La Morra)
8. Bettolotti (La Morra)
9. Boiolo (La Morra)
10. Borzone (Grinzane)
11. Boscatto (Verduno)
12. Boschetti (Barolo)
13. Brandini (La Morra)
14. Bricco Cogni (La Morra)
15. Bricco Manescotto (La Morra)
16. Bricco San Giovanni (Barolo)
17. Bricco San Pietro (Monforte)
18. Brunella (Castiglione)
19. Campasso (Verduno)
20. Canova (Grinzane)
21. Cappallotto (Serralunga)
22. Castagni (La Morra)
23. Cerrati (Serralunga)
24. Cerviano-Merli (Novello)
25. Ciocchini (La Morra)
26. Ciocchini-Loschetto (Novello)
27. Corini-Pallaretta (Novello)
28. Coste di Rose (Barolo)
29. Coste di Vergne (Barolo)
30. Crosia (Barolo)
31. Damiano (Serralunga)
32. del comune di Barolo
33. del comune di Castiglione Falletto
34. del comune di Cherasco
35. del comune di Diano d’Alba
36. del comune di Grinzane Cavour
37. del comune di La Morra
38. del comune di Monforte d’Alba
39. del comune di Novello
40. del comune di Roddi
41. del comune di Serralunga d’Alba
42. del comune di Verduno
43. Drucà (Barolo)
44. Fontanafredda (Serralunga)
45. Galina (La Morra)
46. Garretti (Grinzane)
47. Gianetto (Serralunga)
48. Gustava (Grinzane)
49. La Corte (Grinzane)
50. La Vigna (Serralunga)
51. La Volta (Barolo)
52. Lirano (Serralunga)
53. Manocino (Serralunga)
54. Mantoetto (Cherasco)
55. Meriame (Serralunga d’Alba)
56. Neirane (Verduno)
57. Panerole (Novello)
58. Piantà (Castiglione)
59. Prabon (Serralunga)
60. Raviole (Grinzane)
61. Riva Rocca (Verduno)
62. Rivassi (Barolo)
63. Rive (La Morra)
64. Rocche dell’Olmo (Verduno)
65. Rodasca (Verduno)
66. Roere di Santa Maria (La Morra)
67. San Giacomo (La Morra)
68. San Giovanni (Monforte)
69. San Lorenzo (Barolo)
70. San Pietro (Barolo)
71. San Ponzio (Barolo)
72. Santa Maria (La Morra)
73. Sant’Anna (La Morra)
74. Serra dei Turchi (La Morra)
75. Serradenari (La Morra)
76. Silio (La Morra)
77. Solanotto (Castiglione)
78. Teodoro (Serralunga)
79. Terlo (Barolo)
80. Torriglione (La Morra)
81. Valentino (Castiglione)
82. Zoccolaio (Barolo)
83. Zonchetta (Barolo).

* Le MGA sono 166 secondo il Consorzio, 181 nel Decreto Ministeriale, 182 nei miei elenchi. Mi riservo la possibilità di approfondire la questione per chiarirne i confini.

59 Commenti

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Roberto Giuliani

circa 12 anni fa - Link

Lazzarito e Monvigliero sono stati inseriti sia nel 1° che nel 2° livello... Grazie Roberto, correggiamo subito: sono entrambi al 1° livello. Nei giri di bozze ci sarà certamente scappata qualche svista. Occhio di falco! ;-) [ale]

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Roberto Giuliani

circa 12 anni fa - Link

non sono convinto che il paragone con i Francesi sia possibile. A parte le motivazioni opportunistiche per cui sono state fatte le MGA, dove è evidente che le conflittualità all'interno hanno finito per accontentare troppo svalorizzando quella che doveva essere una indicazione di valore, ci sono in Langa due diverse filosofie di produzione, una che esalta in singolo cru e l'altra che ritiene più significativo e completo un vino ottenuto da una miscela di più cru. Ne abbiamo molti esempi, uno fra tutti il Barolo di Mascarello. Ammesso e non concesso, che la cosa non vada a incidere sul prezzo, incide però sull'immagine del prodotto, poiché una volta generata una graduatoria dei cru, laddove un vino è ottenuto da cru di livelli differenti, e pertanto non può mettere in etichetta alcun nome aggiuntivo, questo può avere effetti negativi o quantomeno disorientare il consumatore, spingendolo a scartare il vino a favore di altri da monocru. E' un argomento complesso e vedo molto difficile trovare una strada alternativa all'attuale che possa portare una reale utilità al comparto langarolo, senza penalizzazioni.

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Wojciech Bońkowski

circa 12 anni fa - Link

Iniziativa interessante. D'accordo con quanto scrive Roberto Giuliani sulla penalizzazione di alcuni vini che non provengono da un singolo cru. D'altro canto, certi consumatori sicuramente apprezzerebbero una gerarchia di cru per essere meglio guidati nel fitto delle MGA che esistono attualmente. Sulla classifica si puó sempre discutere, per introdurre Gabutto, Marenca, Parafada, Rivette nella 1a categoria e lasciare Cerretta, La Serra, Ravera, Gattera mi pare abbastanza controverso. Poi per quanto riguarda la 3a categoria, vanno secondo me esclusi i vini "del comune di". Un vino village, per definizione, non puó essere classificato come premier o second cru.

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maurizio gily

circa 12 anni fa - Link

Il tentativo è generoso e legittimo, soprattutto da parte di un grande esperto come Vittorio Manganelli. Sarà sempre però la classificazione Manganelli. Una classificazione gerarchica ufficiale non ci sarà mai, e forse neppure ci potrebbe essere. Non è sostenibile politicamente ed è anche molto difficile, ai limiti dell'impossibile, tecnicamente. In Francia c'erano le condizioni, in Italia no. Si potrebbe discutere a lungo sui motivi, ma il motivo principale è che i grand cru nascono in un contesto non democratico: in alcuni casi vengono ufficializzati in democrazia, ma essendo già radicati nell'uso. Nel Barolo il concetto di cru è relativamente recente, il Barolo della tradizione era quello dei "negozianti" ed era in massima parte un vino di assemblaggio, sia pure fatto tenendo conto del potenziale diverso di zone diverse. Quando si è cominciato a fare il Barolo da singole vigne esisteva già un sistema della denominazione di tipo consortile ed interprofessionale, cioè un sistema che non può produrre questo tipo di gerarchie, perchè è matematicamente impossibile. Questo non vuol dire che una classificazione anche non ufficiale, proposta da un "comitato di saggi" o da un saggio solo non possa avere il suo peso. A mio avviso una grande confusione nasce dalla non sovrapposizione della "menzione aggiuntiva" con il toponimo "vigna". Raggiungere almeno questo risultato sarebbe stato qualcosa.

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Alessandro Ceretto

circa 12 anni fa - Link

Quoto totalmente. Non potrei trovare parole più adatte. La classificazione sarebbe un fantastico traguardo, ma non credo oggi ne esista una attuabile che possa mettere d'accordo i produttori.

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Armando Castagno

circa 12 anni fa - Link

In Francia questo è stato peraltro l'ultimo dei problemi. Il nobile De Moucheron si è fumato una sigaretta molto lentamente all'indirizzo dei commissari dell'INAO nel giorno in cui al cru Clos St Jacques, che egli possedeva in Monopole, non venne accordato lo status di Grand Cru. In Francia le condizioni "diverse" esistevano, sì: nel senso che lo Stato queste cose le decide considerando un bene pubblico la terra occupata dai proprietari, un bene pubblico la denominazione di origine, e di pubblica utilità la classificazione gerarchica, e pazienza se i proprietari di quel momento avevano da ridire. Questo già nel 1925. Per la precisione.

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Armando Castagno

circa 12 anni fa - Link

Sarebbe interessante sapere se sin d'ora si possono discutere le posizioni reciproche di taluni cru o per adesso è meglio solo dichiararsi genericamente a favore o contro questo genere di prospettiva. Io sono a favore con un certo entusiasmo, e mi complimento. Sulle posizioni, se Vittorio mi chiarisse il perché considera Pra di Po'/Prapo' meglio di Cerretta appagherei anche una curiosità; sono cru praticamente sovrapponibili sotto tutti i punti di vista (in ottica simil-INAO, che guarda cioè al "terroir", non certo i vini che ne vengono). Inoltre, ci vuole fegato per piazzare il Falletto di Serralunga in 2a fascia, ma del resto il cru condivide qui il suo destino con Badarina, Arione e Ornato, come giusto. Grazie e ancora applausi.

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Roberto Giuliani

circa 12 anni fa - Link

Sono pienamente d'accordo con Maurizio.

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Alessandro Bocchetti

circa 12 anni fa - Link

Operazione pregevole del l'ottimo manganelli, che in pezzi come questo sfodera tutta la sua classe ;) Penso che a strada della classificazione dei cru sarebbe quella da prendere con certezza in moltissimi "climat" italiani, altro che il proliferare di DOC e docchine... Penso al mio Abruzzo, al Chianti, ecc. Ecc. Ciao A

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Alessandro Bocchetti

circa 12 anni fa - Link

Dimenticavo, sarebbe bello fare una classificazione condivisa almeno sui criteri... Ciao A

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Roberto Giuliani

circa 12 anni fa - Link

Più ci penso e più aumentano le mie perplessità su un proposito del genere. Le variabili sono infinite. Almeno per quanto riguarda un territorio come le Langhe, che è stato profondamente alterato negli ultimi vent'anni: monocoltura con conseguente concentrazione dei parassiti nell'ambiente viticolo, riduzione sempre maggiore dei boschi (e aumento dei terreni franati e franabili), utilizzo di nuovi cloni e portainnesti, mutamento di metodi in vigna come in cantina e via discorrendo. In tutto questo un clima generale che sta mutando in modo sempre più radicale. Il passato quanto può ancora garantirci ciò che non davamo per assodato? Siamo sicuri che abbia senso e possa davvero dare garanzie un'ipotetica classificazione dei cru, tanto più che molti di essi sono ripartiti fra più produttori con risultati spesso dissimili? O non è alla fine, quello che finisce nel calice ogni anno, a dare l'unica vera (e fra l'altro stimolante) certezza? Del resto, anche a Bordeaux è sempre più frequente assaggiare vini provenienti da cru sulla carta inferiori, con risultati invece superiori.

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Giovanni Corazzol

circa 12 anni fa - Link

Nel massimo rispetto degli argomenti, tutti ampiamente condivisibili, trovo un po' capricciosa la lista dei "perché no". troppi ombrelli aperti prima che si metta a piovere. L'esigenza è percepita e le Langhe sono il luogo in cui questa classificazione adottata o meno (da chi?) avrebbe in assoluto più senso. Aspetto l'ebook di Enogea per confrontare la lista di Manganelli.

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Roberto Giuliani

circa 12 anni fa - Link

quel "non" davamo per assodato leggasi senza il non :D

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Marco Torri

circa 12 anni fa - Link

...come siam bravi a complicarci la vita. Ora anche le Mga...boh

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Mio

circa 12 anni fa - Link

L'analisi è corretta. Le conclusioni - a mio avviso- ancora rivedibili. Quali criteri dovrebbero essere adottati per proporre un'eventuale classificazione? Ne esemplifico alcuni per cercare di far capire quanto complesso sia il tema e quanto facile 'se tromper'. 1) storicità: risulta che Francia sia diventato un cru noto solo quando è stato acquistato da Giovanni Conterno, il quale -peraltro- portava in dote un marchio aziendale già consolidato come Monfortino ( a proposito di marchi...). Qualcuno dice che non facesse nemmeno parte della zona del Barolo e che sia stato incluso in seguito, ma di questo non ho prova diretta. 2) fonti storiche e bibliografiche: tasto dolente in una regione dove, salvo poche eccezioni, è sport diffuso screditare il collega o il vicino di vigna. Può la Carta di Renato Ratti essere un punto di partenza? Certamente sì, eppure: a) è lacunosa. b) Le indicazioni delle sottozone di tradizionale vocazione - quelle verdi- incentivano un po' la dietrologie tra quanti conoscono a memoria le MGA e i loro proprietari. (A proposito, qualcuno sa dire se la carta è stata modificata nel tempo oppure è tale e quale al primo originale?). b) va contestualizzata al periodo in cui è stata editata. Parliamo di due decenni di annate piovose e fredde. Praticamente il clima del Sussex oggi ( dove provano a fare champagne inglesi) . Ancora a proposito di bibliografia, occorrerebbe per lo meno andare a rivedere la Monografia sulla viticoltura ed enologia in provincia di Cuneo (L. Fantini, circa 1879) epurandola di quei commenti aggiunti nella ristampa del 1973, dove qualche simpatico burlone ha provato a 'riclassificare' alcune vigne a barbaro uso proprio (Fon********da, ma ci vorrebbe la perizia di un grafologo) e attualizzando i nomi delle vigne che esistevano già 130 anni fa. E infine, aggiungerei la carta di Jancis Robinson, che non verrà spesso in Italia e non saprà tanto dei nostri vini, ma non ha visto proprio male quando ha disegnato la sua... 3) clima e terroir: la leggenda racconta che, non più tardi di due anni fa, il produttore di una MGA di prima categoria abbia fatto fuoco e fiamme per modificare i criteri di idoneità delle vigne da Barolo. Quelli proposti in prima battuta erano troppo restrittivi e non avrebbero permesso il reimpianto della sua vigna ( che, ribadisco, è qui elencata come di prima categoria... Salvo essere orientata troppo a nord...). Più seriamente, occorre chiedersi se questa classificazione deve solo guardare al passato oppure anche al futuro. Che due vigne come Cannubi e Rionda, ricche di sabbia e quindi ben drenate, abbiano fatto la storia del Barolo, è fuori discussione. Sicuramente, la faranno ancora. Ma siamo sicuri che in un futuro fatto probabilmente di siccità e clima torrido, e di migliore savoir faire agronomico, saranno quelle le vigne meglio performanti? Sabbia : pH elevati : abbattimento della longevità e della freschezza. Ancora due cose: varrebbe la pena ricordare che la già citata Francia si trova a un'altimetria non ortodossa, e che troppe poche volte si considera la pendenza tra i fattori qualitativi di una vigna. Aprire gli ombrelli troppo presto non va bene. Ma considerando il risultato della gestione della denominazione, dei nuovi impianti e delle MGA, meglio aprirli in tempo, piuttosto che ritrovarci a piangere su ulteriore latte versato.

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winemining

circa 12 anni fa - Link

Bell'articolo e coraggiosa iniziativa! Si contrappone - almeno! - a quella ufficiale dove per non scontentare tutti, si fa l'ennesima cosa inutile e confusa (todos caballeros!), non accontentando alcuno e lasciando il consumatore nella consueta incertezza. Insomma è come fare un censimento sull'altezza delle persone per poi finire a registrare tutti come alti 1,80! Sarebbe notevole invece se la "rete" riuscisse dove lo "Stato" ha fallito, creando una classificazione dei cru dal basso, condivisa e pubblica, "senza chiedere il permesso" e senza carta da bollo. E questo post potrebbe essere un (buon) punto di partenza, specie se chi ne sa abbastanza fornisse il proprio contributo a riguardo: se 10 liste di crù, scritte da penne autorevoli e DISINTERESSATE, coincidessero per un terzo, è evidente che la cosa avrebbe ancora altro peso! Uno strumento del genere potrebbe funzionare semplicemente "per adesione", tanto di chi lo redige, quanto di chi lo consulta. Anche a questo fine, chiedo, si parla di classificazione di quale qualità precisamente: q. dei terroir in sè, delle uve prodotte, o del vino che ne risulta? E' chiaro che pur se collegate, sono cose differenti.

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Rossano Ferrazzano

circa 12 anni fa - Link

Le MGA definiscono una zonazione, e non vogliono fare una classificazione. Non c'è affatto l'intenzione di distribuire nomi altisonanti a qualsiasi Nebbiolo prodotto in Langa, bensì quella di identificare la provenienza precisa dei vari Barolo e Barbaresco che essendo tratti da una specifica parcella si presume ne conservino l'impronta caratteristica. Che poi ci sia chi le spacci per qualcosa di simile ad un cru classificato, o che le stesse MGA avrebbero potuto essere definite in maniera perfettibile è questione successiva.

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winemining

circa 12 anni fa - Link

Rossano, tu qui parli delle MGA, Menzioni Geografiche Aggiuntive. Geografiche appunto: si riferisce ad una zonazione. Fin qui è tutto chiaro e forse persino pacifico (salvo l'estensione dei confini di cui sopra). Ma l'ufficializzazione delle MGA non implica alcun giudizio di valore, essendo semplicemente un modo di definire chiaramente cosa si intenda e dove cominci/finisca: Bussia, Cannubi etc. E' solo un lessico geografico. Il post propone invece una classificazione per livelli qualitativi dei cru. Quando Manganelli dice: "classificazione delle diverse MGA con una scala qualitativa? Quali sono, all’interno delle 166 menzioni, quelle sicuramente più vocate?" si riferisce a qualità di che cosa? Non credo sia inutile definirlo chiaramente...

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Rossano Ferrazzano

circa 12 anni fa - Link

Mi riferivo a questo tuo passaggio in cui tu parli delle MGA esistenti: "Si contrappone -- almeno! -- a quella ufficiale dove per non scontentare tutti, si fa l’ennesima cosa inutile e confusa (todos caballeros!), non accontentando alcuno e lasciando il consumatore nella consueta incertezza. Insomma è come fare un censimento sull’altezza delle persone per poi finire a registrare tutti come alti 1,80!" dove consideri ("todos caballeros", "tutti alti 1,80") che alla MGA corrisponda anche un riconoscimento di distinzione qualitativa rispetto al Barolo DOCG senza indicazione di sottozona. Il che non è, come hai chiarito bene nell'intervento successivo.

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winemining

circa 12 anni fa - Link

Sicuramente colpa mia, mi son spiegato male, ma il tema è complesso, lo spazio poco ed i neuroni ormai scarsi... Qui mi riferivo alla pratica italiota che è stata ipotizzata nel post: allargare Bussia per non "danneggiare" nessuno; riconoscendo peraltro implicitamente a Bussia maggior valore che ad altra zona - come è successo molte volte coi disciplinari più e più volte allargati ad aree meno vocate per interessi poco limpidi. Gli interessi dei consumatori paganti essendo ancora una volta sacrificati. Come dire: sei alto 1,60 ma dato che il tuo vicino è altro 1,80 vi "facciamo" alti uguali... todos caballeros again! Sicuro che a questo punto stiamo parlando solo di zonazione (neutra) e non di qualcos'altro? [cfr. "la scelta fatta dai diversi comuni e dal Consorzio è stata, verrebbe da dire ovviamente, quella di non scontentare nessuno, per cui le diverse MGA sono state stiracchiate, allungate e allargate in modo da tenere conto degli interessi dei diversi produttori. etc."]

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Enrico Dellapiana

circa 12 anni fa - Link

Buongiorno a Tutti, Non sono abituato a scrivere su blog e forum, etc..., ma il discorso dei cru nella zona del barolo e chiaramente del barbaresco, è una questione che mi sta davvero a cuore. Il metodo francese borgognone, come già da altri citato, non lo vedo ahimè possibilmente attuabile oggi... Dato che in parte la frittata è stata fatta, e le MGA sono state definite e mappate, mi piacerebbe per lo meno che venissero in parte riconfinate. Mi spiego meglio, probabilmente tutti avete in mano le cartine del consorzio... è possibile che ci siano comuni come Castiglione falletto e Serralunga, dove i cru non prendono in considerazione le zone non vocate alla coltura del nebbioli, le zone a nord e tanto meno i fondovalle, i boschi e le rive, e altri come a Monforte ( per citarne uno , o per esempio Treiso e Neive nel barbaresco) dove ci sono cru sono a 360°, e anche i ruscelli e i boschi sono cru! Basterebbe che i tecnici dell'ispettorato agrario (o qualunque altro ente)prendessero in mano le mappe di masnaghetti, e con una croce dicessero, sì qui si può piantare nebbiolo e qui no ( in base al disciplinare). Cosa che normalmente si richiede prima di piantare una vigna. In questo modo potremmo anche sapere finalemnte la quantità definitiva e massima di ettari vitabili a Nebbiolo nel barolo e nel barbaresco. Inoltre riconfinando esattamente i cru, potremmo dire ... Il cru Brunate è esattamente di xx Ha, così come il cru Rizzi è di xx ha. Chiedo ai miei colleghi produttori: chi non ha mai sentito questa domanda.... "ma quanti ettari è il cru.XYZ? e normalmente che risposta avete dato? Ad oggi parlaimo di MGA del Barolo e del barbaresco, e la mappa include anche le zone dove non è possibile piantare nebbiolo... Ma questo ha un senso? Abbiamo le MGA e per descrivere le dimensioni usiamo queste diciture: medio, medio grande, piccolo...! Ma come si fa? è come se dicessimo: Romnée conti = picclo, la tache= medio-piccolo, clos vougeot = grande farebbe ridere o no? E poi , e concludo,abbiamo le menzioni geografiche, e il termine vigna... questo confonde maggiormente il consumatore. Nella logica attuale il termine Vina unito al nome di fantasia ha più importanza della menzione. ( e si è obbligati al 10% di produzione in meno) A questo punto perchè per non dare risalto alla MGA ( attentamente corretta e ridimensionata ove necessario) e non si decide di fare il 10% in meno per i barolo/ barbaresco con MGA?

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Rossano Ferrazzano

circa 12 anni fa - Link

Io mi permetto di porre pubblicamente una domanda, alla quale io non ho trovato chiara ed univoca risposta tale da indurmi a riporre la questione come scontata e superflua alla discussione. A che cosa serve, esattamente, una classificazione delle vigne? Essendomi già provato nell'esercizio logico-dialettico, penso che questa traiettoria possa condurre a toccare da un angolo più incisivo e riassuntivo molte delle giuste considerazioni già spese opportunamente da altri. Non mi metto io a sviluppare l'equazione in sette incognite appena proposta, perché come sanno i più, Intravino dovrebbe andare di corsa ad affittare un paio di server supplementari per disporre della memoria sufficiente ad ospitare il lavoro... :-D

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Rossano Ferrazzano

circa 12 anni fa - Link

Mi permetto una precisazione assai importante, che riguarda la distinzione fra zonazione e classificazione. Una classificazione gerarchica delle vigne parla della qualità delle medesime, inferendo una diretta e più o meno lineare relazione con la qualità potenziale del vino da esse ottenuto. Cioè, in soldoni, di quelle valutazioni degustative che oggi trovano spesso la forma dei punteggi, misurati su varie scale frazionarie, da quella in terzi del Gambero Rosso a quella in centesimi di Parker. Una zonazione qualitativa delle vigne parla delle caratteristiche pedoclimatiche delle vigne, inferendo una correlazione più o meno regolare con il carattere del vino da esse ottenuto. Cioè, concretamente, di quegli aspetti strutturali ed aromatici che portano gli appassionati e i consumatori ad apprezzare o meno le qualità del vino che hanno davanti al naso.

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Armando Castagno

circa 12 anni fa - Link

Questa è stata tentata anni fa (millesimi consecutivi 1994-1995-1996) dalla Regione Piemonte utilizzando risorse del CNR e dell'Università di Torino e comprendendo rilevazioni su molte differenti vigne. L'esito è descritto in un tomo che andava richiesto alla Regione, che lo inviava gratis, e del quale si è parlato qua e là nel web, nonché nella prefazione a "100Barolo" di Gigi Brozzoni, dove appare anche una mappa riassuntiva piuttosto ben fatta, sebbene di piccola scala. NOn si è fatto cenno, che io sappia, alle "conclusioni" pubblicate in calce all'immane lavoro, le quali, con mio sommo sbigottimento, sostenevano in pratica l'assenza di qualsivoglia legame percepibile tra quanto rilevato in sede di definizione delle "unità" territoriali (Verduno, Barolo, La Morra, Serralunga, Castiglione, eccetera), le evenienze in termini di insolazione, precipitazioni, altitudini, esposizioni, e quanto rilevato NEL BICCHIERE da un "panel" di assaggiatori asseriti assai qualificati.

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Armando Castagno

circa 12 anni fa - Link

Si intenda "questa": la zonazione.

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Roberto Giuliani

circa 12 anni fa - Link

Armando, non mi stupirei più di troppo. Dobbiamo anche pensare che un tempo gli interventi umani erano piuttosto limitati e tradizionalmente applicati da tutti, non si conoscevano i "cloni", i lieviti selezionati e tante altre belle cose come i piccoli legni, le temperature controllate e via discorrendo. I vini, quindi, erano più diretti figli del suolo da cui provenivano. Oggi gli elementi che condizionano il risultato finale sono molti di più, pertanto certi concetti, compreso forse anche quello di cru (nel senso del come identificarlo, basandosi su quali parametri), andrebbero rivisti.

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Rossano Ferrazzano

circa 12 anni fa - Link

Non sono mai riuscito a completare la lettura di quel documento, che ricordo bene al punto da avere copia della mappa delle unità di terra addirittura salvata sul cellulare. Sfrutto perciò l'occasione per chiederti se le comparazioni degustative furono condotte su campioni standard sia nella produzione dei vini sia nella coltivazione delle uve, oppure se assaggiarono i vini in commercio dei principali produttori operanti nelle varie unità considerate.

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Armando Castagno

circa 12 anni fa - Link

Se non ricordo male campioni standard e non vini imbottigliati, ne sono quasi certo ma non ci scommetterei una mezzina di Frascati della Cantina Sociale di annata grama.

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maurizio gily

circa 12 anni fa - Link

posso rispondere io in quanto a suo tempo partecipai al progetto. Non si prelevarono vini dal commercio ma si fecero "mesovinificazioni" da circa 5 ettolitri in condizioni standard da ciascuna partita di uve proveniente da ciascuna vigna oggetto dell'indagine. Il protocollo enologico fu quindi uniformato, su quello viticolo si fece un tentativo, anche uniformando i livelli produttivi con il diradamento, ma evidentemente risultò molto più complicato. I risultati di quello studio in effetti dimostrarono abbastanza poco, se non, forse, che l'area del barolo fu delimitata con cognizione di causa. Aiutarono a conoscere meglio il territorio e i suoli, superando la vecchia divisione tra tortoniano ed elveziano e mostrando una pedologia molto più complessa. Capitarono anche due annate poco favorevoli, e si usarono gli strumenti dell'epoca, oggi ce ne sarebbero di più moderni, ma dubito molto della possibilità di arrivare ad una gerarchia attendibile su basi scientifiche: servirebbe comunque un periodo di prove di dieci anni e non di tre, per ridurre l'incidenza della variabile annata, con costi molto elevati, che non credo i produttori vogliano sostenere, e dubito molto che, quando pure ci si arrivasse, le conclusioni sarebbero accettate senza discussioni. Per memoria, potrei ricordare qualche magra figura in degustazione cieca di qualche grande naso di langa, o che si reputava tale, ma non per infierire, solo per dire che le cose sono più complicate di quanto sembrano.

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Rossano Ferrazzano

circa 12 anni fa - Link

Grazie Maurizio per la testimonianza. Se immagino che le degustazioni siano state impostate secondo i dettami dell'analisi sensoriale vado molto lontano dal vero? Per quanto in ambito scientifico sia difficile proporre un approccio alternativo che possa soddisfare i requisiti dei lavori accademici, io l'ho sempre considerata una prassi troppo rigida. Per quello che ho osservato dalla mia breve esperienza in materia, ho sempre visto uscire con le ossa rotte ogni aspetto del vino che non fosse organoletticamente tanto rilevato da rendere infine inutile il ricorso all'indagine scientifica, in quanto autoevidente a qualsiasi buon degustatore esperto della specifica tipologia. Caratteristiche che non corrispondono a quelle del terroir, tantomeno alle sue sfumature quando ci si dedica a commentare le variazioni fra vigne contigue, all'interno di un terroir sostanzialmente omogeneo per matrice geologica e per variabilità climatica come quello di Barolo.

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Rossano Ferrazzano

circa 12 anni fa - Link

In ogni caso io ritornerei alla logica e agli esiti della classificazione, perché di questa oggi si parla.

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Roberto Giuliani

circa 12 anni fa - Link

Come Rossano, a mio modo ho espresso i miei dubi sull'utilità e la fattibilità di un simile proposito. Quanto dice Enrico Dellapiana mette ancor più in evidenza che la situazione è fortemente confusa, frazionata, discutibile, in pratica oggi più che mai non ci sono situazioni ben definite. Arrivare a classificare i cru senza che siano nemmeno chiari i confini e le zone a nebbiolo, beh, credo che vedremo parecchi papi succedersi. E in ogni caso rimango dubbioso sulla reale utilità e veridicità incontrovertibile (perché tale dovrebbe essere), se non per puri fini commerciali. Un terreno con il suo microclima, unito alle scelte umane, è in continuo movimento, non c'è nulla di realmente classificabile, tanto più su un territorio come il nostro, che è stato mdoficato dall'uomo stesso in maniera incisiva e, spesso, sconsiderata.

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vincenzo busiello

circa 12 anni fa - Link

Non sono tanto competente come è chi ha scritto fino adesso e quindi perdonate le mie ingenuità. Francamente non condivido la classificazione francese (non è solo la terra a fare il gran cru;anzi il gran cru lo fa soprattutto il produttore, ovviamente non per il nome che ha ma per quello che dimostra di fare); questa storia serve solo a far lievitare i prezzi e quindi rendere i vini accessibili solo ad alcune tasche (che in genere non "conoscono" neanche il vino che comprano nè lo "rispettano"come tale, anzi , a volte, col vino, si fanno il bagno o la doccia);e serve a penalizzare produttori capaci e sensibili ma che non hanno il gran cru; per questi ultimi(produttori) sarebbe come una gara ad handicap. Quindi non mi piace nemmeno la MGA; se l'americano deve sapere che sperss non è una zona mentre falletto sì, basta obbligare i produttori a scrivere sull'etichetta la zona di coltivazione delle uve; e poi , perchè penalizzare chi vuole fare vino con uva di più provenienze? Che cru sarà quello di bartolo mascarello? E il brunate-le coste di citrico Rinaldi cosa diventerebbe?

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Rossano Ferrazzano

circa 12 anni fa - Link

meta-domanda: ma perché i blog si ostinano ad adottare la struttura delle risposte ad albero, quando è ormai chiaro anche ai sassi che essa non agevola ma complica la lettura e la comprensione degli argomenti affrontati, e di fatto rende ad un certo punto impossibile la prosecuzione della discussione? Buona domanda. Ci stiamo ragionando. Tu cosa suggerisci, ordine cronologico e stop? [ale]

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Francesco Amodeo

circa 12 anni fa - Link

Secondo me bisogna fare che i commenti vengano inseriti in ordine cronologico, permettendo di citare (quotare) nel proprio commento, in parte o interamente, l'intervento di un altro a cui si vuole rispondere. La struttura ad albero va bene per post con pochi commenti, ma già quando si hanno più di 50-60 interventi non si riesce a capire più nulla, e si perde il filo della discussione.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 12 anni fa - Link

Invito chi sostiene la zonazione a fare un piccolo esercizio di geografia; segni su una mappa le aziende che fanno alta qualità, quelle medie e quelle pessime. Io l'ho fatto per Montalcino, ed il risultato è stato che vigne "buone" e vigne "cattive" stanno una a fianco dell'altra, senza soluzione di continuità, sull'intero territorio. Questo accade ovunque, non é una nostra stranezza. E non dimentichiamo mai che quel cru può pure valere oro, ma senza Maurizio in cantina e Riccardo nelle vigne col cavolo che porterei a casa un Brunello buono. E poi c'é il clima, un terreno é ideale con una certa piovosità e con un certo andamento stagionale, poi il decennio dopo è diverso e cambia tutto. Per cui o inventano una catalogazione che somma uomo + terra + clima, variabile ad ogni cambio di combinazione, o sono solo giochini da salotto.

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armin kobler

circa 12 anni fa - Link

ragionamento che dopo anni ed anni ce ho lavorato nella zonazione viticola non posso che condividere appieno. rifflettendo a lungo su questi concetti si arriva anche alla conclusione che le classificazioni francesi hanno per di più un contenuto enofolcloristico, però con ripercussioni economiche invece drammtiche.

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Armando Castagno

circa 12 anni fa - Link

Anche io ci ho molto riflettuto, e trovo che l'enofolclore nella classificazione francese ce lo troviamo noi, o meglio voi, io no. Per i francesi è una cosa tremendamente seria, per noi che lo apprezziamo anche, e oltretutto, e qui il dramma economico di cui parli, funziona. La Francia è considerata un paese serio, nella legislazione vinicola, anche su 61 Cygni, una stella distante tipo 10 anni luce. Commercialmente, dominano in tutte le tipologie. Qualitativamente, dominano in tutte le tipologie. Però abbiamo ragione noi, ovviamente. Siamo sottovalutati, questo è il nostro guaio... a noi c'ha rovinato la guerra, mannacc'.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 12 anni fa - Link

Caro Armando, hai perfettamente ragione tu; loro sono anni luce davanti a noi. Però non dimentichiamo che se Margot vende un pezzetto di vigna, questo decade dall'illustre lignaggio e passa alla plebe dell'acquirente. E viceversa. I cru francesi sono basati sull'intuitu personae, non sul genius loci, e se vogliamo fare così anche da noi mi sta pure bene. Ma glielo spieghi tu ai miei amici coi forconi che il loro prezioso fazzoletto è una puzza mentre quello del mio caro zio Franco è oro?

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Gianpaolo

circa 12 anni fa - Link

questo pero' solo a Bordeaux, non in Borgogna, dove e' vero l'esatto contrario. Forse va trovata una via italiana, anzi regionale. Io non ce l'ho questa via, tanto per dire, ma se c'e' un posto dove puo' cominciare e' proprio nel Barolo, che e' piu' borgognone, mentre la Toscana mi sembra piu' bordolese.

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Armando Castagno

circa 12 anni fa - Link

Stefano, è il contrario diametrale. Si parlava di classificazione gerarchica per vigne delineata esaminando la mera situazione di terroir, e quindi quella "mercantile" di Bordeaux esula dal discorso. Non ha alcuna importanza la qualità del vino che ne viene; è per meglio dire un fattore incidentale e comunque transitorio. In piena coerenza col tuo sacrosanto sentimento, dì pure ai tuoi amici coi forconi che il loro fazzoletto è e resta un "semplice" Premier Cru anche se ne viene fuori il nettare di Roumier, Rousseau, Mugnier o Prieuré Roch (o, che ne so, Larmandier-Bernier in Champagne), o resta e resterà un Grand Cru anche se ne vengono bestie tetracefale degne di Borges come la metà dei Corton Rouge, due terzi degli Echézeaux, tre quinti dei Clos Vougeot, quattro decimi degli Charmes-Chambertin, o il "Monopole" La Grande Rue, Grand Cru che sta incastrato tra Romanée-Conti e La Tache e il cui vino purtuttavia è talmente ordinario nelle mani degli attuali proprietari che a centodieci euro c'è uno di fuori che dice "venghino ssiori che oggi c'è il tre per due". Eppure, se uno si sogna di discuterne lo stato di Grand Cru, gli si ride in faccia.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 12 anni fa - Link

Ragazzi, con questa girandola di nomi mi fai girare la testa. Quanto ai miei amici forconedotati, che a naso direi essere la quasi totalità dei vignaioli di mia e/o comune conoscenza, trovo assai dubbio che si contentino di un cru che sia un filino meno del rango del vicino. E non credo proprio che la citazione degli illustri casati che tu citi sia in grado di fargli cambiare opinione; scommetto una cena da Pichiorri contro un sacchetto di semi che se qualcuno avanza una proposta di cruazione va a finire come all'ottimo Assessore Regionale quando andò a Asciano a spiegare ai pastori sardi (miei ottimi amici)che il lupo era una sano "regolatore dell'ambiente" e se mangia qualche pecora a sbafo, occorre avere pazienza. Ancora corre.

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Vignadelmar

circa 12 anni fa - Link

Rispondo solo ora ad Armin Kobler ed a Stefano Cinelli Colombini perchè adesso leggo questo post. Trovo le idee da voi esposte in netta contrapposizione alle mie. Parlare di enofolclore e giochetti da salotto in merito alle classificazioni francesi, trovo sia pericolosamente autoassolutorio e semplicistico. . Le classificazioni francesi son cosa ultra serissima, altrochè. . Ciao

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Stefano Cinelli Colombini

circa 12 anni fa - Link

Guarda che ritengo anch'io che le classificazioni francesi siano una cosa serissima, non foss'altro perché fanno girare tanti quattrini. Ma davvero tanti. Peró é indiscutibile che il clima cambia, e nel censimento del 1830 le vigne erano tutte tra Torrenieri e l'Abbadia Ardenga mentre oggi li non ce n'é. E sotto Sant'Angelo accade il contrario, e anche nella mia azienda le vigne si sono spostate in cento cinquanta anni. Ora i migliori cru sarebbero in un posto diverso da quello di un secolo fa. Ma in Francia non si muovono da un secolo, come é possibile? Il dubbio è legittimo, non ti pare?

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Vignadelmar

circa 12 anni fa - Link

Mi ricordo che Angelo Gaja un giorno mi disse che nelle Langhe, a causa del cambiamento climatico, le vigne comunemente considerate come quelle con peggiore esposizione via via diventeranno quelle più richieste. Questo però non giustifica irridere la serissima suddivisione francese. Alla quale, ben altri più di me sanno, corrisponde una vera e reale differenza anche solo spostandosi di pochi metri. Certo poi il manico conta eccome ma un grande vino non lo fa solo l'uomo. . Aggiungo che l'italico sforzo per emanciparci anche solo se dialetticamente dagli odiati cugini francesi, ci allontani spesso dalla giusta considerazione del problema e dalla sua soluzione. . Ciao

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winemining

circa 12 anni fa - Link

Lungi da me il negare l'importanza del fattore uomo: se mi regalassero uno Stradivari non diventerei un Paganini! Ma potrebbe essere un problema di granularità delle condizioni geologiche? Dipendere dall'orografia e dalle esposizoni? Però a parte questo, credo che *nessuno* - a parità di altre condizioni - scambierebbe un ettaro di vigna a Brunate, con un ettaro nel comune di Novello alla pari! Perché? Per la mia limitata esperienza i valori in campo, sia pur macroscopicamente, sembrano noti a tutti in loco, persino i bambini. Mi sembra che una classificazione, nella testa delle persone almeno, ci sia già ed anche piuttosto chiara (ed immagino che qualche dettaglio in più sarebbe inferibile dagli eventuali prezzi di vendita delle vigne). Si tratta di farla emergere e discuterne, ma per farlo bisogna metterla nero su bianco. Magari non si sarà tutti d'accordo, magari si può far meglio, ma non mi sembra un "giochino da salotto"!

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Stefano Cinelli Colombini

circa 12 anni fa - Link

Beh, la differenza che passa tra una vigna di Montalcino ed un'altra non è mai moltissima, siamo nel raggio di pochi chilometri con clima molto simile. Non discuto il valore della zonazione in Denominazioni che comprendono molti Comuni, ma quelle di qualità più alta sono già piccole e fin dalla nascita hanno escluso quelle porzioni che non andavano

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Simone e Zeta

circa 12 anni fa - Link

La dimostrazione che quello che asserisci è vero la troviamo proprio in Langa. Faccio un nome che dice tutto, Riccardo Fenocchio Pianpolvere Soprano. Stando all'attuale vino andrebbe declassato il cru. :-)

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Armando Castagno

circa 12 anni fa - Link

Assaggiato a Chiavari in maggio l'infinito 1994. Per coronarie forti: indimenticabile.

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jovica todorovic - teo

circa 12 anni fa - Link

stefano pensa che buffo, il tuo ultimo periodo, è una delle definizioni di terroir meglio riuscite in assoluto. Pensare che l'hai pescata così a gratis senza neanche volerlo mi fa sorridere.

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Vignadelmar

circa 12 anni fa - Link

Infatti ! . I maledetti francesi, sempre loro, hanno codificato da tempo il termine "terroir"....ma come faranno ad esser sempre avanti a noi ??? . Io una risposta ce l'avrei: hanno tagliato un bel po di teste senza tanti riguardi per tonache, sete, broccati, corone. . Ciao

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Montosoli

circa 12 anni fa - Link

62. Pugnane (Monforte) Questo e Castiglion Falleto.... Corretto, grazie. [a]

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maurizio gily

circa 12 anni fa - Link

sono abbastaza d'accordo con Stefano Cineli Colombini. Non che le differenze tra le zone non ci siano, sarebbe assurdo sostenerlo, a Montalcino ancor più che nel Barolo, essendo una zona meno omogenea: ma le variabili che entano in gioco sono molte e isolare l'effetto zona dal contesto è tutt'altro che semplice.

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Rossano Ferrazzano

circa 12 anni fa - Link

Già. Le classificazioni francesi si basano su un presupposto esiziale: l'uniformità macroscopica delle pratiche agronomiche e soprattutto enologiche del tempo in cui furono fissate. Uniformità ancora oggi rilevabile. Solo partendo da questo presupposto si può pensare di procedere ad una zonazione plausibile, che non imponga di lavorare sostanzialmente di fantasia come nei mondi alternativi dei fumetti dei supereroi americani, i famosi "what if...". Inutile dire che solo sulla base di una seria zonazione si può pensare di avventurarsi in una classificazione gerarchica. La quale ultima cosa è per me sempre un momento di museificazione del reale, che come dice molto bene vincenzo busiello, finisce inevitabilmente per alterare il gioco del confronto fra i produttori, la critica e i consumatori. Quindi non mi piace mai troppo. Se poi partiamo, come si partirebbe oggi in Italia, da un quadro produttivo e stilistico che abbraccia tutto e il contrario di tutto, per di più spesso in rapida e a volte imprevedibile mutazione, il quadro diventa a dir poco intricato.

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jovica todorovic - teo

circa 12 anni fa - Link

21 Grand Cru 70 Premier Cru 90 tra village e lieu dit non è una follia anzi sarebbe aspicabile. Attenzione non sto dicendo che la divisione non sia rivedibile, né che non ci debbano essere della soprese, anzi. La zonazione serve, per capirsi e per capirci. Ci riempiamo la bocca di paroloni, poi quando si tratta di raccontare il territorio nella sua forma più imparziale (cercando di trovarè la reale interconnessione e corrispondenze tra la qualità delle caratteristiche geologiche e la qualità dei vini prodotti nei vigneti in questione) ci arriva la paura. Arriva sempre il primo giorno di scuola (simbolico), dove tutto quello che esisteva fino al giorno prima scompare, per qualche tempo la paura si imposessa e ci si trova spaesati senza più punti di riferimento, salvo scoprire avolte qualche giorno a volte qualche mese più tardi che magicamente, come per incanto, ci si ritrova, ci si ritrova nuovamente all'interno di un meccanismo che va, che funzione che ci rispecchia in cui ci riconosciamo. Quanto ci fa paura il cambiamento. Io spero che il Piemonte sia solo l'inizio. Mah

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Rossano Ferrazzano

circa 12 anni fa - Link

Zonazione e classificazione non sono la stessa cosa, Teo. Io sono favorevolissimo alla zonazione, per i motivi che hai ben esposto tu (non c'è altro modo di conoscere a fondo e raccontare sinceramente il territorio, quindi il vino) ma vedo con scarso entusiasmo la classificazione. Può esistere zonazione senza classificazione, lasciando le classifiche ai critici e ai commercianti, ognuna costruita con le proprie unità di misura (punti e denari) e le proprie specifiche, legittime e leggibili regole interne.

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francesco vettori

circa 12 anni fa - Link

La questione della classificazione la giudico semplice, basta prescindere dall'applicarla al vino. Classificare significa stabilire delle classi ("classis", latino, da cui deriva anche "classico", è "la flotta" cui si appartiene per censo, ne fa parte solo chi può permettersi l'equipaggiamento e ha tempo di far la guerra, etc.). Del corso sulla Borgogna, appena frequentato, l'affermazione più sorprendente sentita è stata che all'INAO non si degusta alcunché, non si è mai assaggiato nulla, poiché si verificano le condizioni di possibilità della classificazione, non i risultati. La soddisfazione di queste condizioni viene verificata mediante carotaggi. Evidentemente si è preso quale essenziale criterio discriminante la composizione del terreno. Il che si spiega, anche banalmente, con il rimanere uguale nel tempo della composizione del terreno, che assicura certezza e stabilità alla classificazione derivata.

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marta rinaldi

circa 12 anni fa - Link

La calligrafia del Fantini sulla sua monografia di fine Ottocento affatica un po’ la vista, ma è bellissima e memorabile quanto la ricchezza delle approfondite indagini dell’autore sulla storia della vite e del vino nella Provincia di Cuneo. Con il piglio dell’osservatore accorto, il Fantini esamina il Nebbiolo e ne rimarca la maggiore o minore attitudine, a seconda della costituzione dei terreni; a sostegno della sua tesi, egli riporta le parole di un illustre agronomo del suo tempo: “la nostra Provincia è ricca di ottime terre in felice situazione e giacitura, che offrono le uve più squisite, ma questo risultato è dovuto più alla natura che all’arte”. Non in tutte le annate, infatti, la maturazione si completava al meglio; per “la facilità con cui questa varietà fallisce nella fecondazione e nella fruttificazione, per la sua grande facilità all’Oidio e Peronospora, e per le grandi cure che esige”. “Svariata bontà” affermava il Fantini: questo principio è ammesso e incontestabile, un assioma per il Nebbiolo, “per quanto certuni vogliano in tutti i modi farmi credere una cosa, che non credono neanche loro”. Dopo l’arricchente lettura di pagine più che centenarie, eccomi alla classificazione qualitativa delle menzioni geografiche di Vittorio Manganelli: un’iniziativa giusta e necessaria, che posa tardivamente il suo spirito veritiero su una base attualmente confusa e pasticciata. Leggere le analisi di agronomi, viticoltori ed enologi dei tempi trascorsi, credo serva ad ampliare l’angolo della nostra visuale, fin ad avere la limpida conferma che le diverse periodicità climatiche abbiano sensibilmente influito sulla corretta maturazione del Nebbiolo in una vigna piuttosto che nell’altra, e che il “Nebbiolo non ben maturo, non può che fare un vino scadente”. Una gerarchia delle diverse menzioni ha quindi senso, guardando alle performances agronomiche che il Nebbiolo lì mostra su un arco temporale vasto e diversificato, fatto di stagioni ideali alla maturazione, ma anche avverse. Ed è, secondo me, in questa valutazione di ampio respiro, che si svelano quei vigneti di eccezionale vocazione, che nella buona ma anche nella cattiva sorte, mantengono un equilibrio vegeto-produttivo tale da produrre uve apprezzabili in quantità, sanità, zuccheri, e acidi, complessità di profumi e bontà di antociani e polifenoli nei mosti. Il fattore umano, ossia l’interpretazione della materia prima Nebbiolo a livello più tecnico di vinificazione, dovrebbe esser tenuto in secondo piano all’atto della classificazione: mi pare molto arduo stabilire una gerarchia a partire dalla degustazione dei vini, vista l’assenza di un metodo omogeneo nella trasformazione uva-vino. Per curiosità, ho scelto in modo casuale alcuni diari di famiglia, sui quali sono relazionati gli eventi meteo e agronomici di ogni giorno dell’anno; ho letto i commenti vendemmiali delle annate 1975 1976 1982 1985 1990 1992 1999 2002, e dal 2003 al 2011. Ci si imbatte in stagioni di “tempo splendido e buone speranze per la vendemmia”, “uve pietose e vendemmia indaginosa e noiosa per marciume acido e peronospora”, “seccumi”, “grande soddisfazione per la vendemmia”, “vendemmia modesta per qualità e quantità”, “gradazioni zuccherine modeste e acidità notevoli per maturazioni inconcluse e muffe che avanzano”. Nell’arco della variabilità delle annate, con una certa ricorrenza le uve delle Brunate sono “belle perfettamente sane e mature”, talvolta “di gradazione zuccherina soddisfacente, nonostante la pioggia o la grandine”, oppure “discretamente acide nonostante la canicola estiva”. Mio nonno o mio padre scrivevano, non di rado, di esser molto soddisfatti anche del prodotto di Cannubi-San Lorenzo, o di Le Coste: buoni gradi Babo, mosti “schiumosi e ricchi”, fermentazioni arzille; la Ravera (di Barolo), non essendo esposta al sole quanto i precedenti, e sottoposta alla corrente di aria fresca del bosco della Fava, ha di norma uve di acidità più accentuata, e la giusta maturazione è più ritardata e meno scontata, tant’è che occorre talvolta eliminare dalle viti qualche grappolo. Tornando nel merito dei tre raggruppamenti proposti da Manganelli, forse alcune menzioni di pregio sono state un po’ sottovalutate e penalizzate; la determinazione di una gerarchia qualitativa delle sottozone è comunque la direzione giusta, a patto che venga azzerata la attuale impostazione, e si realizzino le menzioni comunali, come prima indicazione di provenienza.

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