Il Castello della Sala tra palco e realtà

di Alessandro Morichetti

Stavo partendo per il Castello della Sala quando ricevo un messaggio: “Finalmente scoprirai il Lato Oscuro della Forza”. Chiave di lettura interessante per avvicinarsi alla ramificazione umbra degli Antinori, una (la?) grande famiglia del vino italiano. Altrettanto stimolante l’accoglienza di Leonardo Vallone – responsabile della rete di vendita in Italia – e Federica Amicone, enologa ora pierre al Castello: “il mondo degli Antinori è l’esatto contrario di come lo immaginate”. Bene, si parte.

Ingresso alla cantina di Castello della Sala e il promotore della visita, Angelo Di Costanzo

Ingresso alla cantina di Castello della Sala e il promotore della visita, Angelo Di Costanzo

Al cospetto degli Antinori – presenti a vario titolo in Toscana, Piemonte, Lombardia, Umbria, Stati Uniti, Cile, Ungheria e Malta – ogni osservazione sconta il peso di una storia secolare. Il prestigio che aleggia tra le mura ospitanti è un fantasma simpatico e rassicurante, che sopravviverà anche alla 26esima generazione della famiglia cui si deve la terza produzione viticola più antica del mondo. Insieme alle tenute di Toscana, i 500 ettari dei possedimenti umbri costituiscono il patrimonio storico degli Antinori. La suggestione è forte e il respiro della nobiltà vinicola incute soggezione mista a stupore. Al Castello, antico e moderno si inseguono senza soluzione di continuità. La costruzione del 1350 è fronteggiata da una cantina ipertecnologica e semplicemente comprendere i passaggi della vinificazione è opera ardua – tra static draner, miscelatore, trasportatore a coclea e automazioni varie. Un posto dall’alta efficienza che a prima vista stordisce e risulta ostico. La cantina dall’alto è imponente, la disposizione geometrica multi-piano di vasche differenti per forma e capienza esprime un disegno architettonico esatto, funzionale e curato fin nei dettagli lucenti. Suggestione, potenza produttiva e controllo dei processi sono al top.

cantina del Castello della Sala

Le sensazioni contrastanti di fronte ad una realtà formalmente perfetta, e in quanto tale un pò asettica, lasciano spazio alla nitida consapevolezza di trovarsi in un avamposto produttivo realmente capace di industrializzare la qualità. Passeggiando tra tini, tramogge, presse, impianti di raffreddamento e barrique, stupisce la chirurgica razionalizzazione che si cela dietro ad oltre mezzo milione di bottiglie prodotte ogni anno. A dirla tutta, però, sono rimasto colpito più fuori che dentro allo stabile.

esterno cantina

Attiva dal 2006, la nuova cantina sorge dove prima era una collina. Avete letto bene. Per far posto alla costruzione è stato necessario sbancare una collina, e il tetto color verderame è stato appositamente progettato per ripercorrere l’andamento dei calanchi. Ammetto che la notizia mi ha spiazzato e sarei anch’io tra quelli che “non ci piacciono le colline sbancate perché si veda la nuova cantina figa“. Per carità, adattare le strutture a volumi produttivi importanti è una strada tortuosa che richiede scelte decise ma piegare così invasivamente un contesto rurale alle proprie esigenze pone interrogativi di non poco conto e non facile risposta. Questa probabilmente è una situazione in cui il limite del vincolo territoriale è stato raggiunto e superato. Ad ogni modo, nel nostro percorso virtualmente inverso – dalla bottiglia alla vigna – usciti dalla cantina sfioriamo i vigneti contigui prima di tornare al Castello, salendo sù fino alla torre che domina il panorama circostante. Passato e futuro continuano poi a rincorrersi anche nella vecchia cantina, autentico deposito della magia di un vino “antico” che forse non esiste più, conservato in cunicoli ormai poco funzionali ma carichi di fascino.

Particolare della vecchia cantina

Particolare della vecchia cantina

Niente è come sembra, si diceva all’inizio. La galassia internazionale del vino Antinori è un perfetto connubio di centralismo e federalismo. Al cuore, pompato da Piero Antinori (il Marchese proprietario) e Renzo Cotarella (direttore generale), fanno capo arterie periferiche, in cui giovani dipendenti vengono formati e poi lasciati esprimere in autonomia, sotto la vigile supervisione del dottore. A colpire è l’entusiasmo che i collaboratori trasmettono nel sentirsi parte di una realtà così affermata. Riconoscimento simbolico, prestigio, ritmi di lavoro talvolta sfiancanti ma “umanizzati” rendono ambìto un posto di lavoro in Antinori. Tenere insieme professionalità, business e vivibilità non è merce comune. Il brand Antinori è solido e più forte che mai e questo è uno degli indubbi segreti del successo: 21 milioni le bottiglie prodotte e vendute nel mondo, tra prodotti storici di riconosciuta qualità – Tignanello (240.000 unità, vendute per metà all’estero), Solaia, Guado al Tasso, Cervaro della Sala – e autentici blockbuster dalla Tenuta Santa Cristina, con e senza capsula viola (dei 10 milioni di bottiglie di Santa Cristina, i 3/4 finiscono all’estero).

Ogni movimento degli Antinori sul mercato è guidato da un sapiente mix di entusiasmo, progettualità e calcolo. Cervaro della Sala – chardonnay con un 15% di grechetto – nacque nel 1985 con l’intento di affiancare un bianco di statura mondiale ai grandi rossi toscani e fu uno spartiacque. E’ sul mercato dal 1987 e incarna la grande sfida vinta da Renzo Cotarella, modello di ambizione ed imprenditorialità poi replicato in tutte le altre tenute, fattivamente autonome seppur sub specie Antinori. Apprezzamento e riconoscibilità dei prodotti non si discutono. Certo, non tutte le ciambelle riescono col buco e lo stesso trionfalismo legato al “bianco più longevo del mondo” non può accompagnare il Pinot Nero aziendale, prodotto in poche migliaia di esemplari ma lontano dall’eleganza di etichette di pari fascia. Lo stesso Cotarella confida che, in 20 anni, nessun millesimo ha raggiunto l’eleganza della prima annata prodotta, 1990, paradossalmente l’unica senza una vera progettualità alle spalle.

Tenuta Castello della Sala

In senso orario: Orvieto Classico Superiore 2008 San Giovanni, riserva aziendale di Cervaro della Sala, barrique nella vecchia cantina, rappresentazione sacra in una stanza sottostante la torre, Renzo Cotarella, vigneti

Dettagli, ad ogni modo. L’impero Antinori rimane imprescindibile per leggere compiutamente il vino italiano. Come tutti i colossi ha le sue zone d’ombra, talvolta trascurate dalla retorica trionfalistica. Fuor di metafora, il Castello è nato come sfida d’ispirazione dichiaratamente borgognona al centro dell’Italia e qui il terroir parla più degli Antinori che dell’Umbria, per capirsi. Apprezzabile lo sforzo relativamente recente di valorizzare la doc Orvieto (con un San Giovanni della Sala fatto di grechetto, procanico e tagli minoritari di riesling, viognier e pinot bianco), singolare che a farlo sia una cantina che affonda le radici del proprio successo in varietà volutamente internazionali. Reale convincimento o ennesima sfida strategica pennellata di marketing territoriale?

I vini, da parte loro, trasmettono un visione organica e coerente della cantina per come l’abbiamo percepita. Solidi, cesellati, perfetto equilibrio di qualità e alti volumi produttivi. L’emozione c’è, talvolta più d’etichetta che reale. Un Cervaro 1987 dal colore quasi indistinguibile dal 2007 è un miracolo che vince gli anni, una biondona formosa con la carrozzeria al punto giusto che può non piacere ai puristi ma che non lascia indifferenti. Buoni gli assaggi di Muffato della Sala – 1997 e 2004 sugli altri, annate raccolte con più muffa rispetto alle calde 2000 e 2003 – sperimentalmente abbinato a tutto pasto, semplice e piacevole il San Giovanni, secondo me in fieri il pas dosé di Montenisa, tenuta franciacortina degli Antinori, evoluto al naso e un tantino opulento al palato pur in assenza di residuo. Peccato che il meglio delle discussioni, l’anima del luogo, venga fuori più a microfoni spenti che nelle presentazioni istituzionali. Sei lì per il vino ma a volte affiora la sensazione che tra tecnologia, storia, blasone e competenza commerciale quel vino finisca quasi per passare in secondo piano. Storcerebbe il naso chi “se il vino viene dalla vigna, a me interessa la vigna prima di tutto” mentre apprezzerebbe chi pensi di avere buone idee ma scarso talento imprenditoriale per supportarle.

Agli Antinori va riconosciuto il merito di aver valorizzato e accresciuto un capitale simbolico e produttivo così articolato e complesso, affatto facile da gestire. Ce ne fossero di famiglie nobili così sistematicamente on the road, aperte alla sfida e mai dome. Lo standard offerto è talmente alto da rendere sterile qualsiasi critica. Di fatto, l’unico a non rimanere conquistato fino in fondo è l’appassionato di vino che tollera male la sfumata percezione di scollamento tra palco e realtà del suo liquido preferito.

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Alessandro Morichetti

Tra i fondatori di Intravino, enotecario su Doyouwine.com e ghost writer @ Les Caves de Pyrene. Nato sul mare a Civitanova Marche, vive ad Alba nelle Langhe: dai moscioli agli agnolotti, dal Verdicchio al Barbaresco passando per mortadella, Parmigiano e Lambruschi.

1 Commento

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giuseppe

circa 13 anni fa - Link

sono rimasto cosi attratto dalla descrizione che ho deciso in primavera di andare a visitare ilcastello

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