Genetica | Niente sesso, siamo viti

di Antonio Tomacelli

L’argomento di oggi è “Rapporti Sessuali” ma tranquilli, nessun bungabunghismo all’orizzonte: parleremo invece dell’uva e del perchè faccia sesso con la stessa frequenza di una novizia delle Orsoline e cioè, quasi una volta ogni ottomila anni. Non è tantissimo ma una spiegazione c’è: da che l’abbiamo addomesticata l’uva non si incrocia più come una volta. Niente semini e apine che impollinano e fecondano, insomma, perchè la vite si riproduce solo grazie agli innesti o alle talee praticate dagli umani. La conseguenza diretta della coltivazione è che tutte le varietà sono più o meno parenti stretti, nonostante abbiano centinaia di nomi diversi. Se n’è accorto lo scienziato Sean Myles analizzando il dna di migliaia di varietà di vite presenti nella collezione del Dipartimento Agricoltura negli USA.

Secondo la ricerca, il 75% delle vitigni presenti sarebbero imparentati come fratelli e sorelle o come padre e figlio: un allegro incesto, insomma. Parola del dottor Myles che insiste: “”In precedenza la gente pensava ci fossero parecchie famiglie diverse di uva, ora abbiamo scoperto che tutte le famiglie sono interconnesse e in sostanza c’è una sola grande famiglia”.

Il merlot, ad esempio ha lo stesso patrimonio genetico del cabernet franc che è anche progenitore del cabernet sauvignon, a sua volta cugino in seconda del sauvignon blanc che è figlio illeggittimo del traminer. Insomma, un classico bunga bunga domestico.

Il perchè avvengano certe cose senza che la magistratura faccia nulla è presto detto: la fillossera, un simpatico animaletto che si nutre di radici, ha colpito duro, obbligando i contadini all’innesto perpetuo su ceppi di vite americana, più resistente al malefico insetto. La fillossera però è una malattia abbastanza recente (metà ‘800) ed è solo una delle cause. La verità è che i consumatori sono l’entità più noiosa che esista e guai a mettergli sotto il naso un incrocio tra cabernet e nero d’avola. Invocherebbero subito la purezza del vitigno e altre cose che sconfinerebbero nell’eugenetica (avete capito, no?).

E così il merlot è merlot da sempre e guai a lui se tenta l’approccio a chessoio, una solitaria vite di corvina incontrata di notte nei campi.

La mancanza di “sesso” ha però conseguenze poco piacevoli. Pensateci: mentre il patrimonio genetico della vite è fermo al palo, quello degli insetti nocivi non lo è affatto. Chiunque segua come me i documentari del National Geographic, sa benissimo che le orge tra cimici farebbero impallidire qualunque festino di hARdCORE per intensità e frequenza. Questo comporta un miglior adattamento all’ambiente degli insetti dannosi e una specializzazione a far danni sempre migliore. La soluzione? L’uomo, si sa, non è il più intelligente degli animali: lui quando vede una tignola mette mano alla pompa e va giù peso di pesticidi e veleni sempre più potenti e dannosi. Ci sarebbero anche le viti geneticamente modificate che, notoriamente, riscuotono grande successo tra i consumatori (faccetta ironica). Oppure c’è lei, la biodiversità, che consiste nell’incrociare, ibridare, impollinare le diverse varietà, selezionando le migliori per resistenza e qualità organolettiche.

L’ultima sarebbe la soluzione migliore ma è come scolpire una pietra tombale con la parola “autoctono” incisa in oro. Di fianco giacerebbe il Merlot e sulla sua lapide una frase a chiare lettere : “i consorzi di tutela italiani affranti, posero”.

(Fonte: New York Times)

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Antonio Tomacelli

Designer, gaudente, editore, ma solo una di queste attività gli riesce davvero bene. Fonda nel 2009 con Massimo Bernardi e Stefano Caffarri il blog Dissapore e, un anno dopo, Intravino e Spigoloso. Lascia il gruppo editoriale portandosi dietro Intravino e un manipolo di eroici bevitori. Classico esempio di migrante che, nato a Torino, va a cercar fortuna al sud, in Puglia. E il bello è che la trova.

14 Commenti

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Davide Bonucci

circa 13 anni fa - Link

Ruby Cabernet?!!! Pure qui?! :-D

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Francesco Fabbretti

circa 13 anni fa - Link

simpatica la mappa... ma i vitigni di italica tradizione??? Sangio, Nebbio, Montepulcio, Trebbio... tanto per dirne 4

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Francesco

circa 13 anni fa - Link

e hai capito la scoperta, pensa un po' che noi umani abbiamo, come minimo, il 70% di genoma uguale ai topi...vuoi vedere che le viti sono ra loro imparentate? di giuro!!!!!!!!

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kenray

circa 13 anni fa - Link

io ho il genoma di chuck norris.

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gianpaolo

circa 13 anni fa - Link

Antonio, una domanda: perche' vuoi rovinare una scienza bella e rispettabile come la genetica?

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Marilena Barbera

circa 13 anni fa - Link

Non ho mai approfondito, ma (come risulta da una ricerca del prof. Attilio Scienza + altri) oltre alla unica grande famiglia individuata sopra ne esiste anche un'altra, alla quale appartengono le principali varietà siciliane, oltre ad alcune varietà di terraferma come Barbera, Moltepulciano, Sangiovese e Primitivo. I primi risultati sono stati pubblicati nel 2008 - la ricerca è ancora in corso. Chi non si sia ancora scoraggiato a leggere di genetica, può trovare il grafico qui: http://www.cantinebarbera.net/notizie/201-lorigine-dei-vitigni-siciliani.html

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Armando Castagno

circa 13 anni fa - Link

Tutto molto bello, diceva Pizzul. Però. Nel triangolo virtuoso uomo-vitigno-territorio continuo a constatare che gli studi sull'incidenza del primo (più l'enologia che la viticultura, peraltro) e su quella del secondo (ampelografia, studi sul varietale, genetica, biologia molecolare) superano il terzo di larghissima misura. Si prova più piacere a cercare di accertare che il Katzymperios cipriota o nel Koyotetchvili armeno l'antenato del Pecorino o del Bourboulenc, piuttosto che nel precisare una volta per tutte in cosa, anche genericamente, si rifletta nel vino un terreno di semplice marna calcarea o di argilla sabbiosa. Dato che con crismi di ufficialità accademica non è scritta da NESSUNA parte, anche se la cosa può sembrare incredibile. Se mai acquisissi conoscenze sufficienti, la mia ambizione personale sarebbe quella di contribuire per quanto possibile a far luce sull'aspetto che trovo più intrigante e, in definitiva, utile alla comprensione del vino: una indagine approfondita, seria, scientifica ed empirica assieme, sull'incidenza e sul riflesso del terroir nel bicchiere, intendendo qui con "terroir" proprio e soprattutto il terreno, suolo e sottosuolo, le sue variazioni strutturali e geologiche. Almeno in Italia, trovo che sia una materia trascurata, di certo lo è rispetto alle altre due che dicevo. Una pubblicazione dal titolo altisonante come "Geologia dei vini Italiani", edito in più volumi dal Touring Club, è assai generica, per tacer del fatto che sorvola con disinvoltura un numero rilevante di territori-chiave liquidandoli in mezza pagina. E di altre pubblicazioni simili non ho notizia.

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gianpaolo

circa 13 anni fa - Link

se permetti mi pare che sia tutta la ricerca nel settore del vino in Italia a latitare. Piu' recentemente c'e' stato un grande sforzo sulla mappatura del genoma della vite, in cui l'Italia e' stata veramente protagonista addirittura in due progetti (San Michele all'Adige, e sopratutto il Progetto VIGNA con molte Universita e Centri di ricerca nazionali e francesi). Poco si fa invece a livello agronomico: basti pensare alla moda di piantare 10.000 ceppi per ettaro dappertutto, in zone dove forse poteva avere senso, e sopratutto in zone dove non aveva senso. Per la mia formazione di agronomo e biotecnologo la parte genetica e' assolutamente affascinante e ancora tutta da rivelare, e mi rammarico del fatto che la parte agronomica non sia piu' all'altezza della grande scuola ottocentesca (Cosimo Ridolfi, Landeschi, ecc.), quando eravamo i piu' avanzati al mondo. La parte che interessa invece gli appassionati, ovvero l'influenza del territorio, e persino in modo piu' ristretto solo del suolo sul vino, rappresenta una complessita' ulteriore, probabilmente ad un livello che oggi non puo' essere affrontato senza aver risolto prima il problema di capire l'influenza di tutte le altre variabili primarie, come ad es. quelle genetiche, a partire dalla comprensione delle quali si possono separare gli effetti ereditari da quelli ambientali. Ma senza una adeguata e serie ricerca di base questo non e' possibile. L'Italia ha una tradizione agronomica importante, bisognerebbe che se ne ricordassero le numerose facolta' di agraria che oggi sembrano mute di fronte al settore vitivinicolo, dove si sono fatte scippare il ruolo da comprimario da uno stuolo di enologi, spesso con una formazione universitaria (se va bene) di base, pochissimi con vere e proprie competenze scientifiche di qualche rilievo.

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Mauro

circa 13 anni fa - Link

"Oppure c’è lei, la biodiversità, che consiste nell’incrociare, ibridare, impollinare le diverse varietà, selezionando le migliori per resistenza e qualità organolettiche." Avete minimamente idea di quanto tempo sia necessario per avere risultati apprezzabili, selezionare, registrare e omologare, non dico una varietà, ma anche un singolo clone?

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gianpaolo

circa 13 anni fa - Link

ci sarebbe anche da dire qualcosa sull'uso della definizione "biodiversita'", ormai buono per tutto, che suona bene e sta simpatico, un po' come "minerale". A prescindere poi dal fatto che si abbia una qualuqnue idea di cosa sia.

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antonio tomacelli

circa 13 anni fa - Link

Rassegnati Gianpaolo: anche il tuo amico Bressanini cita la biodiversità come soluzione, non potendo mettere mano agli ogm. È addirittura riuscito a dire le stesse cose del sottoscritto ma con il triplo di parole :-) Và, te lo cito: "E se non vogliamo usare le tecniche che permetterebbero al Merlot di rimanere esattamente un Merlot, ma resistente e sostenibile ecologicamente perché ridurrebbe l’utilizzo di fitofarmaci, prima o poi suggerisce Myles dovremo rassegnarci ad utilizzare dei nuovi incroci resistenti, sfruttando la biodiversità esistente."

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gianpaolo

circa 13 anni fa - Link

Sei talmente ignorante in materia che non ti rendi neanche conto che quello che hai detto tu e quello che ha detto Bressanini sono due cose diverse. Se tu avessi letto l'articolo alla base di questo post, avresti capito che i ricercatori di cui sopra ci dicono che la biodiversita' nel genere Vitis sembra piuttosto alta, e che non e' stata sfruttata abbastanza fino ad oggi. Bressanini ci dice quindi che un modo e' quello di usare gli incroci per sfruttare questa biodiversita', se non si vogliono usare tecniche piu' avanzate di biologia molecolare (sopratutto per motivi di accettazione del pubblico e non altro). Tu invece ci dici "Oppure c’è lei, la biodiversità, che consiste nell’incrociare, ibridare, impollinare le diverse varietà, selezionando le migliori per resistenza e qualità organolettiche." La biodiversita' NON e' incrociare, selezionare, ecc., come credi tu, la biodiversita' GIA esiste (o non esiste, a seconda di che si parla), e poi ci sono i vari metodi per poterla sfruttare a scopi agronomici, tra i quali quelli che hai citato, piu' tutti gli altri che non hai citato, come trasferimento di geni interspecifico per mezzo di OGM o altre tecnologie di biologia molecolare. Tomacelli, studia un po se vuoi usare parole di cui sai poco.

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Francesco

circa 13 anni fa - Link

@Giampaolo, a casa mia, che noi siamo provinciali, si dice che è come "pestare l'acqua nel mortaio", cioè fare un'azione inutile. Qui è la stessa cosa, come si entra in un certo settore scatta il riflesso pavloviano, leggiti il post sulla dieta a base di grasso se vuoi farti due risate.

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Armando Castagno

circa 13 anni fa - Link

E' vero, "biodiversità" è ovunque, funziona, fa figo. Per fortuna che, una volta tanto, limitatamente al mondo della critica enoica, l'uso del termine "biodiversità" ha una origine tracciabile: va ascritto alla rivista Porthos, la prima a fare esplicitamente del valore in questione - il "manifesto" che lo attesta è stato pubblicato, se non erro, su tutti i numeri usciti finora nessuno escluso - il cardine e la giustificazione della propria visione. Ed è stata la prima - criticata per questo anche aspramente - a sancire la propria disgregazione come rivista "classica" di recensioni e preferenze (chi ricorda le "miscellanee"?) proprio nel nome della biodiversità, che in quanto tale è anche interdisciplinarietà, eclettismo, novità formale. Tutto il resto è seguito un po' alla volta, come ognuno può constatare, e in modo disorganico: talora per sincera adesione a questo punto di vista, talaltra per mera convenienza modaiola, come faceva notare lei, senza avere un'idea di cosa si parli o si scriva, e che si butta lì ad effetto; spesso, poiché è la memoria, oltre alla gratitudine il grande assente del nostro tempo, il mezzuccio funziona. E penso anche a qualche brochure o controetichetta all'uopo revisionata.

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