Ciso and friends a Castel Noarna. Storia edificante di una vigna salvata da undici vignaioli eroici

di Fiorenzo Sartore

C’era una volta, e c’è ancora, un vigneto vicino ad Ala, in Trentino. E’ un impianto centenario, a piede franco, non innestato sulla vite americana. Ed è un vitigno autoctono col turbo (“lambrusca a foglia frastagliata”, per chi ama l’ampelografia), in una vigna che ha quasi tutti i criteri che attizzano l’enofilo identitario e adoratore dell’unicità, della tipicità, insomma del terroir. Come in ogni favola che si rispetti, il pathos ha avuto il picco di intensità quando, morto il vecchio proprietario della vigna (il signor Ciso dal quale discende il nome), questa sembrava destinata all’espianto, per essere sostituita (rabbrividiamo) con pinot grigio. Ma una compagnia di undici cavalieri, o insomma, viticoltori locali, unita nel roccioso nome de I Dolomitici, ha affittato il vigneto e l’ha salvato dall’oblio. Sempre per amore del mood fiabesco, il vino prodotto da quel vigneto (che sì, si chiama Ciso) Domenica 3 giugno era in assaggio in un castello: Castel Noarna, dove abbiamo provato la vendemmia 2010. Assieme agli altri vini degli undici valorosi.

Il castello che ospitava la presentazione ha una storia almeno altrettanto fiabesca, risalendo all’anno mille. In posizione dominante sulla valle dell’Adige, ha visto passare secoli di guerre, invasioni, guelfi, ghibellini, streghe al rogo. Negli anni settanta, dopo un periodo di decadenza, viene acquistato dagli attuali proprietari, che riavviano la coltivazione della vite e la produzione di vino. Desta qualche scalpore sentire il racconto di Marco Zani, patron di Castel Noarna, che ricorda come negli anni cinquanta la cantina era adibita a stalla.

Questo genere di rassegna ha un valore difficile da definire, ormai. Molti amici tendono a non amare questo tipo di stress test dell’assaggio, perché una degustazione condotta in piedi, spesso in velocità, con vini a volte prelevati dalla botte, non sembra fornire buone possibilità di valutazione. Per quanto mi riguarda, in un contesto d’assaggio così cerco di non farmi condizionare troppo pesantemente da eventuali difetti, né mi faccio irretire dalle subitanee bontà. In questo caso, essendo arrivato con largo anticipo e avendo pochi vini da provare, tutto sommato, mi sono preso il tempo di fare due, anche tre passaggi a distanza di qualche ora per lo stesso vino. Be’, avrete indovinato: ogni volta l’opinione si aggiornava su nuovi elementi e sfumature che non avevo colto negli assaggi precedenti. Se poi una rassegna del genere si prende con lo spirito che appariva appropriato, quello di una specie di gita scolastica, in compagnia di vecchi amici, resta appunto il ricordo di una ricorrenza festosa.

La formula dell’efficacia da “secondo assaggio” l’ho verificata subito col Pinot Nero 2008 di Dalzocchio, che, appena aperto, m’ha trafitto: lo ricordavo molto più piacevole, insomma più buono – e invece quel 2008 nel bicchiere aveva il fiato corto, tanto mi pareva chiuso. Memore di un assaggio precedente, dal quale avevo tratto impressioni grandiose, ho avuto un momento di sconforto. Il Pinot Nero 2009, invece, usciva assai meglio, anche se perfino troppo caffettoso, cioè perfino troppo friendly. Ebbene, il 2008 a distanza di un’ora era un altro vino: ampio, vellutato, serio, ragguardevole. E il 2009, invece, insisteva ancora su elementi di bellezza levigata ed un po’ ammiccante, cioè appunto note di tostatura, al punto da mostrare meno appeal, ora, rispetto alla vendemmia precedente così espressiva. Riassaggiati una terza volta a distanza di ore, altre bottiglie ma certamente più ossigenate, hanno confermato questo stacco di interpretazione dovuto sia alla differente maturità, sia alla differenza tra le due vendemmie che, teneva a ribadire Elisabetta Dalzocchio, era stata notevole.

La divisione tra le postazioni d’assaggio aveva una curiosa disposizione: un tavolo dedicato a tutti i rossi dei Dolomitici, uno per i bianchi, ed un tavolo solo per i “prelievi da botte”. Infine, un tavolo a parte per il Ciso, la star della giornata. Oltre a Dalzocchio, nei miei appunti mi porto almeno altri due nomi di produttori segnati come “da rivedere assolutamente”: Rosi, col suo Poiema 2009, un marzemino che al primo assaggio aveva una curiosissima sferzata da acciuga sotto sale, al secondo test s’è rivelato più aperto, liquirizioso, lungo e convincente. Dello stesso vigneron segnalo il Rosè di Rosi 2011, qualificato dal produttore con la descrizione esauriente di “vino da bere” (e aggiungere altro pare brutto). Fanti aveva un bianco, Incrocio Manzoni 2009, alquanto godurioso, con note fruttate intense, quasi tropicaleggianti – e tuttavia proprio questo elemento è stato oggetto di dibattito con amici che non hanno amato questo vezzo un po’ piacione; da rubricare, così, alla voce “de gustibus”. Meritano menzione anche la Nosiola 2010 di Castel Noarna: pulita, perfettina, lunga, invitante. E aggiungo una nota semicomica personale: ormai agli assaggi, per me, sputare è un automatismo. Mentre mi apprestavo a farlo con il Vinsanto Trentino 2001 di Poli, ho avuto un blocco muscolare: cioè, insomma, non ci sono riuscito. Nonostante gli sforzi, niente: non è stato possibile. Credo significhi qualcosa.

E il Ciso, com’é? Due parole: niente male. La vendemmia 2010 presenta un rosso fragrante, delicato, con bella personalità. Frutta rossa e schiettezza. Ancora non perfettamente definito ma già molto invitante; un dolomitico ci ricordava che il miglior complimento relativo al Ciso l’ha ricevuto da un altro viticoltore trentino; assaggiandolo, gli ha detto commosso: “mi ricorda il vino dei miei nonni” – senza i difetti di certi vini retrò, aggiungo io. Peccato per il prezzo non piccolo, sui 17 euro la bottiglia in vendita diretta. Credo di aver capito che questo vino costa tanto, ai produttori, non solo in termini di lavoro e fatica ma anche finanziariamente, visto che la vigna è stata presa in affitto a cifre elevate. Resta l’appeal di un vino unicissimo, che ha un forte valore simbolico. Questi, è il caso di dirlo, sono elementi che non hanno prezzo.

Concludo con una curiosità: la vigna del Ciso non è molto distante dall’A22 che percorre il fondovalle: ed il rumore delle vetture è una fatica ulteriore per gli undici vigneron che hanno in cura questa vigna imponente, monumentale. Data la rilevanza del vigneto, vediamo se qualcuno all’Autostrada del Brennero SpA si commuove, e piazza delle barriere antirumore lungo quel breve tratto.

[Altre informazioni su Ciso e i Dolomitici su Trentino Wine Blog, qui e qui]

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Fiorenzo Sartore

Vinaio. Pressoché da sempre nell'enomondo, offline e online.

9 Commenti

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Daniele

circa 12 anni fa - Link

Bellissima manifestazione! Mi diceva un vignaiolo degli 11, che l'opera di recupero del vigneto (che se non sbaglio è L'Enantio) è stata rifiutata da vari enti/consorzi in zona...e questo la dice lunga. Poi sentirsi raccontare i loro vini da questa squadra di splendidi vignaioli è stato significativo, se non altro perchè ciascuno presentava il vino dell'altro, senza gelosie... Sembrava di non essere in Italia..

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Marco De Tomasi

circa 12 anni fa - Link

Il mondo è bello perché è vario ! Tra le mie note ho rubricato il Manzoni di Alessandro Fanti (e più ancora la sua selezione Isidor) tra i migliori assaggi della giornata. Sospendo il giudizio invece sul Manzoni di Elisabetta Foradori: a mio avviso qui l'interpretazione personale va oltre l'espressione del vitigno. Concordo invece pienamente sul Pinot Dalzocchio, intrigante perchè sorprendentemente sfuggente alle chiavi di lettura solitamente associate alla tipologia. Su Eugenio Rosi commento solo che mi piace tutto, compreso quello che non era presente in degustazione ! Ottima impressioni anche dai Lagrein presenti (Castel Noarna più equilibrato e Cesconi come al solito giocato su una dimensione più "muscolare"). Non mi sono invece piaciuti i Gewurtztraminer: Maso Furli necessita a mio avviso di una polpa più consistente per fare da contraltare ad una alcolicità prorompente ... su Vilàr ... boh ! Altre annate mi avevano convinto molto di più. Ciso: l'avevo già provato al ViViT, piacevole, intrigante al naso, scorrevole in bocca, dove rimane quello che è un lambrusco trentino. P.S.: ci ha presentato Armin Kobler.

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Max Cochetti

circa 12 anni fa - Link

Proprio una bella giornata. Vedere un produttore che spiega il vino dell'altro nei particolari denota tante ore passate insieme a confrontarsi ed anche discutere. Il Ciso è uno di quei piccoli capolavori che in Italia ci vengono bene, ma che facciamo di tutto per nascondere.

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iDolomitici

circa 12 anni fa - Link

Grazie a Fiorenzo e a tutti gli amici che sono venuti a trovarci domenica per aver fatto festa assieme a noi, e ora per i preziosi commenti! Vi aspettiamo sempre in Trentino!

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barbara

circa 12 anni fa - Link

Aggiungo un pezzettino che per me è importante al di là di tutte le buone e interessanti degustazioni: il Ciso e il modo in cui i Dolomitici hanno parlato del proprio lavoro invita a scoprire quello che era l'agricoltura e la vitivinicoltura in Trentino ma non solo: "In mezzo al vigneto c'erano tutte le verdure dell'orto, i piselli, le patate, le verze, il radicchio, tutto, tutto l'orto. Il Ciso era giù dalla mattina appena faceva giorno e stava giù fino a cena. Pioveva, fioccava, lui era sempre giù..." sono le parole della moglie del signor Ciso, il vecchio proprietario della vigna da cui è nato questo progetto. Vi invito a leggere l'intero articolo: http://www.sorgentedelvino.it/articoli/il-ciso-dei-dolomitici-ci-racconta-il-vero.htm

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