Champagne | L’uvaggio è irrilevante e altre storie

di Alessandro Morichetti

Dante aveva Virgilio, io quando si parla di Champagne chiedo a Fabrizio Pagliardi, accurato selezionatore delle bottiglie che beve fuori dall’orario di lavoro nei suoi locali romani, La Barrique e Remigio. Ha partecipato alla stesura di Le migliori 99 Maison di Champagne e si droga di bollicine. Immaginate la sua reazione quando ho esordito: “io chi spara uvaggi a caso dopo aver assaggiato uno Champagne lo brucerei vivo”. Più che immaginare, leggetela.

Ha senso in uno Champagne cercare il vitigno? Condivido un aneddoto per me rivelatore: ero nella cantina di una piccola maison a gestione familiare di Ay, lungo la Valle della Marna in Champagne. Mi riceve il nonno, già terza generazione, e io inizio con le domande di rito. Proprio sui vitigni che compongono la cuvée brut ricevo un colpo da ko: “non le risponderò perché, dal mio punto di vista, l’uvaggio è irrilevante”. Ecco, ora immaginate un coglione romano che balbetta una domanda di riserva col suo francese elementare, di fronte a un elegante ottantenne francese già visibilmente infastidito: “Perché, mi scusi?”. “Perché sono stufo di persone come lei, che fanno domande come questa credendo di poter parlare di Champagne come si parla di qualsiasi altro vino”.

Maledetta la scollatura della mia prima insegnante di francese, ecco perché non ho mai passato l’esame di lingua all’università e dio solo sa quanto ne avrei avuto bisogno in quel momento. Ma non tutti i mali vengono per nuocere e proprio in quel momento ho capito cosa sia lo Champagne per molti appassionati e giornalisti francesi della vecchia generazione.

Lo Champagne è l’espressione della maison. Il terroir dello Champagne è la Champagne tutta intera, con tutte le possibilità di composizione percentuale. In quest’ottica, il bravo produttore riesce ad ottenere un prodotto sempre simile a se stesso e diverso dagli altri: per fare questo, calibra l’uso di vitigni, terroir e annate (non nei millesimati). Questo segreto di chi fa Champagne è custodito gelosamente, e spesso la composizione ampelografica delle vigne di proprietà riflette solo in parte la cuvée imbottigliata. Riformulo la questione: “ce ne frega veramente di sapere la composizione della Grande Cuvée di Krug, sempre emozionante eppur dalle rilevanti differenze compositive anno per anno? Ci interessa sapere che nel Dom Perignon 1995 c’è 52% di chardonnay, nel 1993 il 55% e, in alcune annate, fino al 62%?”.

Oggi l’appassionato guarda lo Champagne in modo diverso, fa attenzione a comune e vitigni e cerca il piccolo produttore, magari un R. M. – sigla burocratica per Récoltant Manipulant che in realtà significa poco. Anche alcune grandi maison hanno iniziato ad adeguarsi lavorando separatamente singoli cru o imbottigliando monovarietali per mantenere quote di mercato.

Siamo arrivati alla questione centrale. La svolta è avvenuta quando il viticoltore, relegato per decenni a vendere uve o a produrre Champagne atipici e curiosi, è salito alla ribalta con pregi e limiti. Il principale “limite” è proprio l’utilizzo di uve da comuni spesso attigui e di un’unica varietà. Le caratteristiche di singoli vitigni e cru, prima importanti solo per gli chef de cave delle grandi maison, sono diventate centrali per il consumatore esigente. Non dimentichiamoci che siamo nella zona vitivinicola più settentrionale d’Europa e la vite sopravvive grazie ad una serie di termoregolatori che rendono il clima più mite. La conformazione territoriale non è regolare e i venti hanno un’influenza rilevante, zone dall’esposizione apparentemente ideale non sono vitate a causa dei venti freddi.

Da manuale, il pinot nero dà vinosità e immediatezza aromatica, lo chardonnay acidità, struttura e profondità, il pinot munier solarità e bevibilità. Fosse tutto così semplice, dopo il primo viaggio mi sarei fermato. C’è poi una zona dove gli effetti dei due principali termoregolatori della Champagne si sommano: tra Ambonnay, Bouzy e Ay, l’influenza del fiume Marna e della Foresta della Montagna di Reims esaltano le giuste esposizioni conferendo struttura, ampiezza e imponente profondità al pinot nero. Non a caso, uno dei due clos di Krug – il Clos d’Ambonnay – è qui. Mentre seguendo la Marna verso Château Thierry a est, il pinot munier da solare e immediato diventa vinoso, complesso e longevo: è qui che “le roi” René Collard aveva il suo regno poi svenduto dai nipoti, è qui che Vincent Laval ha prodotto in una purtroppo unica e ultima annata il suo pinot munier in purezza che da giovane era tutto tranne solare e beverino. Ne ho una bottiglia archiviata per il prossimo decennio.

Poi ci sono gli chardonnay, la frutta gialla di Cramant, i fiori di Avize e Oger, il gesso e la durezza di Le Mesnil, i sassi di Vertus. Anche qui, tutta teoria. Sono caratteristiche di riconoscibilità classiche che ritroviamo a volte nette come a le Mesnil – che ha un’acidità e una mineralità molto tipiche – a volte più sfumate come a Cramant. La realtà è che in Champagne l’intervento dell’uomo sul vino è forte. Il “manico”, come direbbe Giulio Perugini, conta più che altrove. Tutti oggi ormai sanno che Selosse è Selosse ad Avize, a Le Mesnil ed Ay come Beaufort è lo stesso ad Ambonnay e Polisy.

Il passaggio fondamentale degli ultimi anni è tutto qui. Il viticoltore interprete del territorio e dei vitigni è tornato al centro dell’attenzione. Chissà se un giorno l’appassionato si renderà di nuovo conto che Cristal è buono e Louis Reoderer un grande interprete industriale del suo territorio.

Fabrizio Pagliardi

[foto di Francesco Arena]

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Alessandro Morichetti

Tra i fondatori di Intravino, enotecario su Doyouwine.com e ghost writer @ Les Caves de Pyrene. Nato sul mare a Civitanova Marche, vive ad Alba nelle Langhe: dai moscioli agli agnolotti, dal Verdicchio al Barbaresco passando per mortadella, Parmigiano e Lambruschi.

10 Commenti

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AZ

circa 14 anni fa - Link

E' vero quel che dici Alessandro, come non essere d'accordo con te e il vecchio vignaiolo di Ay difronte alla massima espressione del nettare diVino, chi se ne frega poi tanto dell'uvaggio, alla fine conta l'infinito piacere inebriante che ci dà ogna qual volta lo beviamo, meglio ancora se in piacevole compagnia. Certo è che, come considerazione la potremmo allargare a tutti gli altri vini, se penso a volte che sono irriconoscibili se non per chi ha un grande palato allenato, l'importante è che sia buono!, e che non possiamo negare di esprime la propria curiosità e sete di sapere a chi è entusiasta, lo siamo e lo siamo stati tutti, neofita o del settore, e comunque una distinzione di base per un approccio più consapevole ci vuole, per non parlare del residuo zuccherino, ecco che uno Champagne a base Chardonnay sarà più adatto per cominciare e uno a base Pinot Noir più adatto durante il pasto, rispetto a un Tradition, di solito con tutti e tre le bacche più note, più cremoso e godibile per chiunque.

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delphine

circa 14 anni fa - Link

Direi che questa risposta di questo ottantene, pure elegante, quello che non è "monnaie courante" in Champagne rileva più dell'irrascibilità che altro. il vino è prima di tutto fatto di uva se non uve assemblate. due: lo champagne è prima di tutto un vino e non un liquido alcolico superiore a qualsiasi altri nettari. Mi chiedo cosa ne penserebbe di questa risposta "intelligente" un Bourguignon ? certa che il savoir-faire e anche l'uomo però attenzione anche alle furbizie. Più che la problematica dello zucchero residuo, bisogna proprio a capire cosa si sceglie di fare in cantina per esaltare questo benedetto terroir, che vedi un pò si ritrova nel uva. A bon entendeur salut ! Delphine, la solita.

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Fabrizio pagliardi

circa 14 anni fa - Link

Infatti non e' moneta corrente. Il punto di vista dell'anziano signore E' il punto di vista Delle vecchie generazioni. Che se riprendi le guide di riferimento di qualche annetto fa che tu delphine sicuramente ricordi, si rispecchia nei giudizi. Il terroir si ritrova principalmente nell'uva, non dico il contrario da nessuna parte.

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daniela (senzapanna)

circa 14 anni fa - Link

Bravo Fabrizio, non a caso sei il fornitore ufficiale di casa mia! :-) Questo post mi consola molto, in privato ti dirò come mai. Non metto in piazza la mia ignoranza. ;-)

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daniela (senzapanna)

circa 14 anni fa - Link

e per chi non l'avesse letta, trovo interessante questa intervista al Pagliardi

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TERROIR

circa 14 anni fa - Link

finalmente un post inetressante... effettivamente il processo di produzione dello champagne (metodo classico in italia)fa sì che quello che dona il terroir non dico passi in secondo piano ma subisca "trattamenti" abbastanza invasivi (soprattutto se cuvèe da legno piccolo e liquer aromatizzanti,ossidazioni pesanti) da far passare la provenienza delle uve e relative percentuali in secondo piano.Questi sono i vini che evito(le grandi maison che cercate di "riabilitare").Ad esempio nei terroir del "grande" pinot nero (da te citati) anche i produttori ne esaltano le indiscusse qualità con millesimati monovitigno dalle emozioni sublimi.Così come in altre zone pur producendo cuvèe molti sono in grado di far esprimere il territorio imbottigliando prodotti di seccelsa gradevolezza.Meglio un piccolo difetto territoriale ma tanta girnta che la piattezza di un krug . Personalmente non condivido il finale,per me la "ricetta " annuale da grandi numeri stile "brand" riconoscibile non soddisfa affatto anzi riduce un magico microcosmo come quello dello champagne ad una sorta di standardizzazione stile birre trappiste in cui il "brand" e la riconoscibilità dei prodotti in base agli artefizi di cantina ne corrompono l'anima.Preferisco i piccoli numeri dei produttori che sanno "ascoltare" il territorio muovendo le proprie produzioni sui capricci delle stagioni( hai sottolineao giustamnete le difficoltà della vite a quelle latitudini) che i prodotti di chi sì, riesce a produrre milioni di bottiglie di alta qualità ma per me di basso appeal (e soprattutto a prezzi spesso semi-folli). Punti di vista...

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fabrizio pagliardi

circa 14 anni fa - Link

una premessa, ho fatto la mia prima importazione di champagne dieci anni fa ed era Aubry, contestualmente il primo viaggio, oggi di produttori ne porto una ventina a rotazione, tutti piccoli produttori il 90% RM. Ma mi piace mantenere una coerenza e una obbiettività per quello che posso. I prodotti che bevo più spesso e con maggior piacere sono champagne di produttori molto piccoli, ma alcune grandi cuvèe di maison da grandi numeri non si discutono qualitativamente. Se vado a rivedere i migliori champagne che io abbia bevuto in senso assoluto, nei primi 20 posti ci sono almeno 10/12 prodotti di grandi maison. Quattro sono krug, che non trovo piatto. ti aggiungo che è molto difficile trovare un'interpretazione territoriale di le mesnil migliore di clos de mesnil di krug e di alcune annate però pre anni novanta di Salon. costano un'occhio della testa ma trovo non sia un'informazione interessante se si giudica la qualità di un vino. Semmai è una valutazione che va fatta dopo. scusami ma mi devo interrompere ma nei prossimi giorni cerco di proseguire.

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Fabio Cagnetti

circa 14 anni fa - Link

Va anche detto che quello dei RM è un fenomeno recente, fino a tutti gli anni Ottanta LO Champagne era quello delle maison e i piccoli produttori un'eccezione che confermava la regola, solo negli ultimi vent'anni tanti vignerons più o meno di culto hanno smesso di vendere le uve alle grandi Maison e iniziato a imbottigliare per conto proprio. Esattamente quello che è successo in Borgogna qualche decennio prima. Bisogna comunque constatare che i due migliori prodotti di maison, oggi, ossia Clos du Mesnil e Bollinger VVF (sospendo il giudizio su Clos d'Ambonnay, mai bevuto, e Clos St.Hilaire, bevuto il 1995 ed è grande ma non è il VVF) sono monovigna, così come Clos des Goisses per cui personalmente ho un debole, soprattutto nelle annate teoricamente piccole. Ribadisco comunque che è molto facile produrre diecimila bottiglie straordinarie da centinaia di ettari vitati, ben più difficile è fare un vino come la Grande Cuvée di Krug (piatto no, ma la sensazione è che abbiano aumentato il dosaggio nell'ultimo decennio, in ogni caso continuo a comprarlo e berlo così come il Brut Premier di Roederer che nella sua fascia di prezzo vale molti, moltissimi Champagne di RM) in quella quantità.

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TERROIR

circa 14 anni fa - Link

Vi capisco ragazzi ma è come pensare al calcio ed in maniera lapalissiana osservare che l'inter è la squadra più forte d'Italia.Il clos du mesnil ,il citato VVF di Bollinger (il Clos de Goisses ha un fascino ammaliante anche per me) sono inarrivabili per fortuna perchè sono champagne in cui anche le grandi maison come krug,bollinger etc. devono "TORNARE PICCOLI" per rispettare l'enorme fortuna di avere quei "clos" invidiati in tutto il mondo.Non raccontatemi però che la "Grande Cuvèe" di krug parla di territorio...l'attacco di pan di spagna,le note di albicocca secca e agrumi canditi sono fortemente legati all'ossidoriduzione dei vini base ,per me è piatto e ripetitivo...Un efetto marketing paragonabile al marchio mercedes delle auto,il quale costruitosi la fama con fantastiche auto di alta cilindrata di grande design e prestazioni ha fatto passare le serie minori (come la classe A prodotta in Egitto) come prodotti di alto livello solo perchè marchiati con la stella a tre punte... Gli RM hanno smesso di farsi prendere in giro come quei produttori in Italia che vendevano le uve alle varie "industrie vinicole di trasformazione" ed hanno cominciato a produrre i vini per conto proprio,inizialmente con difficoltà(magari utilizzando la moda dell'agriturismo) ed ora abbiamo un bellissimo caleidoscopio di vini territoriali molto diversi tra loro (giova il graduale e per me positivo ritorno alla purezza del sangiovese ad esempio in chianti,in generale alla territorialità)anziche' una "coca-cola" standardizzata di uve miste.Esempio : un piccolo produttore che vendeva ad un famoso consorzio della val d'elsa adesso produce in proprio ,ha convertito le vigne a produzione bio (tanto tempo e difficoltà...e tante spese) ed adesso produce un sangiovese "esemplare" per territorialità e piacevolezza...lo pereferisco che mischiato alle altre tonnellate di uva nel mix a marchio. Penso sia una questione di "crescita" dei nostri palati...e soprattutto di condizionamento mentale...panta rei...

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Fabrizio pagliardi

circa 14 anni fa - Link

Dipende cosa intendi per territorio. Non mi puoi negare che dal punto di vista della riconoscibilità territoriale krug, ma come krug la maggior parte delle grandi maison, sono prodotti della champagne, riconoscibilissimi, a partire dai vini base prima della spumantizazione. E ti aggiungo anche che ci sono RM invece in cui questa riconoscibilità si perde. Per altro vorrei un'attimo sfatare questa immagine degli RM da una parte e le maison sfruttatrici dall'altra contrapposte. Sono molto rari gli RM che smettono totalmente di vendere alle grandi maison. Anzi la normalità e' che la vendita delle uve rappresenti la gran parte degli introiti di questi produttori, che vi ricordo che sono organizzati in un sindacato fortissimo che riesce a spuntare per le proprie uve prezzi inimmaginabili in nessun altro comparto vitivinicolo. Un'ettaro frutta fino a cinquantamila euro netti per un G.C. Biologico. Questo non per sminuire i personaggi, e il loro impegno, ma per spiegare che sono rari i produttori che a oggi sopravvivono del loro marchio. E sono molti per i quali fare il proprio champagne e' solo un reddito in più. Per il resto condivido il tuo punto di vista sulla ricchezza che si e' creata con la diffusione di questi champagne che esprimono la microterritorialita della champagne.

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