Zonin vs Antinori | Il futuro del vino è una cosa troppo seria per lasciarla agli specialisti?

di Antonio Tomacelli

“Ho poche idee ma confuse”. Questo aforisma di Flaiano mi si è inchiodato nel cervello per buona parte della notte e, nonostante un paio di buoni caffè mattutini, è ancora lì che mi tormenta. Non dovrei, lo so, ma provo un’attrazione pornografica per le Grandi Inchieste del Vinitaly, quasi un insano piacere masochistico. Cavoli, però! Come fai a non leggere le interviste a una decina e più di produttori, giornalisti e opinion lider sui grandi temi dell’enologia? Tre le domandine facili facili che il Vinitaly ha posto, ma la più intrigante di tutte è: “Può il Paese primo produttore vivere di solo export, con i rischi rappresentati dalle fluttuazioni monetarie e dalle agguerrite politiche di marketing e distribuzione dei competitori dei cosiddetti Nuovi Mondi?“. Sembra una domanda a trucco ma ha il suo perchè: il mercato interno è in calo mentre l’export aumenta. Il tema interessante ma sentite cosa risponde un produttore del calibro (grosso) di Gianni Zonin:

Assolutamente no! Per questo è necessario attivare una comunicazione mirata sul mercato italiano per promuovere il valore che è racchiuso nell’autenticità del vino e nel suo legame con il territorio. In questi anni recenti abbiamo visto come le situazioni politiche abbiano modificato rapidamente i flussi monetari e finanziari in molti Paesi, con gravi conseguenze economiche  per i mercati. La scelta più saggia è obbligata: dobbiamo sostenere il consumo interno del vino affinché questo rimanga la bevanda millenaria per eccellenza del nostro Paese.

Ineccepibile, direi, e c’è mancato poco che scattassi in piedi per l’applauso. Poi, ravanando sulla rete, scopro che un altro grosso calibro è in totale disaccordo con Zonin: Piero Antinori. Sentite cosa ha dichiarato alle agenzie di stampa:

Quello della crisi dei consumi interni di vino è un falso problema, preoccupiamoci piuttosto di vendere bene nel resto del mondo. Il vino di qualità è il prodotto più globale in assoluto, non vedo perché ci si debba focalizzare su una nicchia di 60 milioni di abitanti quando fuori c’è un mercato di 6 miliardi di persone da conquistare. Per una volta il nostro Paese dovrebbe pensare a crescere, non a conservare

Qualcuno ha il coraggio di dargli torto? Io no di certo, ma ora vi lascio e vado a prepararmi il terzo caffè della giornata, giusto per leggere il futuro del vino nei fondi della tazzina: hai visto mai che funziona meglio dei pareri di Zonin e Antinori?

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Antonio Tomacelli

Designer, gaudente, editore, ma solo una di queste attività gli riesce davvero bene. Fonda nel 2009 con Massimo Bernardi e Stefano Caffarri il blog Dissapore e, un anno dopo, Intravino e Spigoloso. Lascia il gruppo editoriale portandosi dietro Intravino e un manipolo di eroici bevitori. Classico esempio di migrante che, nato a Torino, va a cercar fortuna al sud, in Puglia. E il bello è che la trova.

14 Commenti

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Nelle Nuvole

circa 13 anni fa - Link

Dalle due dichiarazioni si potrebbe dedurre molto semplicisticamente che Zonin vende bene all'estero e male in Italia e Antinori il contrario. Sono due colossi che hanno produzioni diversificate e anche politiche commerciali differenti. Entrambi sicuramente dispongono di budget in grado di sostenere le spese di azioni promozionali dovunque vogliano. Per i produttori medio-piccoli o piccolissimi il dilemma é diverso: dove concentrare i loro sforzi per piazzare il vino in maniera continuativa? Secondo e é meglio cominciare ad agire localmente e poi espandersi, soprattuto se si produce in aree sconosciute o semi-sconosciute all'estero. Cercare di trovare una clientela in grado di capire il proprio prodotto e seguirla costantemente. ps. Tomax, ti concedi poco ai post, ma quando lo fai tiri fuori degli argomenti che richiederebbero fiumi di parole. pps. Che miscela di caffé bevi?

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Marco Lugli

circa 13 anni fa - Link

Io sono più sulla linea Zonin. E importantissimo per un azienda avere un buon collocamento sul mercato locale, questo rafforza la figura dell'azienda agli occhi di tutti i turisti venuti in loco. Immaginate un enoturista che entra in un'enoteca di Beaune e trova solo Barolo e Chianti oppure in un'enoteca di Reims e trova in carta solo Franciacorta e Cava. Questo nelle due località suddette è pura immaginazione mai raggiungibile se non in un film di fantascienza. Ma in Italia siamo sicuri che sia lo stesso? Io non ne sono tanto sicuro, tempo fa molti produttori sono saliti sull'onda Parker/Suckling essendo molto felici di avere un grosso export aziendale che li portava ad essere più visibili sul mercato di New York rispetto al mercato locale. Ora molti di questi fortunatamente hanno capito che "PER ESSERE GLOBALI BISOGNA PRIMA ESSERE LOCALI."

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Mara

circa 13 anni fa - Link

Come al solito la Sig.ra Nelle Nuvole dimostra di scrivere con molta cognizione di causa esponendo le sue opinioni in modo chiaro ed inequivocabile. Il mio vicino di casa, coltivatore di frutta e socio di una cooperativa orientata principalmente all'epxort di frutta verso il nord-europa, da qualche tempo ha messo un bel cartello all'ingresso del suo campo. Sul cartello c'è scritto: vendo pesche e mele di primissima qualità, consegna a domicilio entro i 2 km per aquisto minimo di 5 kg di prodotto. Il messaggio mi sembra emblematico: egli crede che sia più profittevole tentare di vendere "in primis" al mercato di prossimità, visto che l'export non remunera a sufficienza. Ritengo saggio un approccio del genere, meglio PRIMA rivolgersi ai "vicini di casa", ma è ovvio che chi, e se, si dispone di risorse, è senz'altro auspicabile partire alla conquista di nuovi mercati. Alla domanda se sia più facile far passare un italiano dai 47 litri annuali ai circa 60 di parecchi decenno orsono (tanti ne serviranno per i prossimi 300 anni per smaltire le eccedenze) oppure convincere un cinese a bersene 10 litri contro il mezzo litro attuale, è destinata a restare senza risposta ancora per parecchi anni, almeno senza ricorrere all'aiuto dell'astrologo. Quando non si riesce a far bere di più, sarebbe saggio imparare a produrre di meno, destinando i terreni ad altri impieghi, possibilmente escludendo cose inutili del tipo produrre soia per carburanti o energia con pannelli.

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Nelle Nuvole

circa 13 anni fa - Link

Brava "Zdora" Mara, i tuoi interventi colpiscono sempre il cuore del problema. Sono perfettamente d'accordo, purtroppo non mi chiamo né Antinori né Zonin, né ho il "cognome" di tante altre aziende che considerano l'espansione produttiva come l'unica possibilità di sopravvivenza, quindi comprano o piantano più vigne, costruiscono nuove cantine, si buttano in investimenti più o meno avventurosi e poi svegliandosi una mattina realizzano che tutte quelle bottiglie prodotte hanno bisogno di essere vendute da qualche parte. E in più distillano la loro saggezza in comunicati come quelli riportati in questo post.

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Alessandro

circa 13 anni fa - Link

Sembra ovvio a pensarlo, comunque dire che il mercato è fatto da 6 miliardi di persone è un emerita caz°*#ta.... vagda Antinori in un villaggetto rurale dell'Angola a dire che devono bere vino italiano a coloro che non hanno neanche l'acqua....

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corrado dottori

circa 13 anni fa - Link

Come sempre ci si focalizza sul termine della filiera: dove vendere e come comunicare. Nessuno che si chieda davvero perché negli ultimi 40 anni si sia passati da un consumo interno medio pro capite di 110 litri ad uno di 40 litri. Tutta colpa del palloncino? Tutta colpa dell'aumento nel consumo di birra? Proprio nessuno che faccia autocritica su quello che si produce e su come lo si produce?

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Davide Bonucci

circa 13 anni fa - Link

Non è proprio così. E' un bene che si beva di meno. In teoria adesso si beve meglio, si patisce meno la fame e quindi il vino è meno "alimento" e più "cultura". I miei nonni lavoravano nei campi, partivano alle 5 di mattina con fiasco, pane e salame. Alle 10 avevano una fame guasta e si finivano tutto, particolarmente il fiasco! Questa era l'Italia di 50 anni fa.

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Lorenzo Biscontin - Dir. mktg Santa Margherita

circa 13 anni fa - Link

Io, nel mio piccolo, la domanda l'avevo posta ad inizio febbraio ai partecipanti al 4° corso di sommelier di colorno e aziendalmente l'avevamo lanciata in rete casualmente alcuni giorni prima del vinitaly. Se interessa a questo link trovate una sintesi delle risposte che abbiamo raccolto. http://www.santamargherita.it/it/news/birravsvinoalcuneconsiderazioni

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gianpaolo paglia

circa 13 anni fa - Link

Gli italiani sono ancora una delle nazioni dove si consuma piu' vino procapite (curiosamente la prima nel mondo è il Lussemburgo), per cui non credo che vi sia un problema di bere poco nel nostro paese, tanto piu' che il consumo di alcol non puo' essere incoraggiato come se nulla fosse, anche se si tratta di vino e anche se a chi lo produce (come me) farebbe forse comodo. Ma se l'Italia produce costantemente oltre 40 M Hl, e se nel nostro paese se ne consumano non piu' di 25 M Hl, è chiaro che il resto deve essere venduto all'estero o si deve produrre meno. O tutte e due le cose. La sovraproduzione, dove con questo termine si indica tutto quello che non trova un mercato in modo spontaneo, in Italia c'e' stata e c'e' ancora. Nel corso dell'ultimo ventennio è stata incoraggiata da sovvenzioni di ogni tipo, sopratutto le famigerate distillazioni, pagate caramente dai contribuenti europeei (400 milioni di euro annui) e quindi italiani. Oggi, anzi tra breve tutto questo non sara possibile, per cui è bene che alcune vigne trovino la strada dell'espianto, in modo del tutto spontaneo peraltro, solo per il fatto che non rendono (e non hanno mai reso in realta', non fosse stato per le sovvenzioni). L'esportazione invece è e sara' necessaria per tutti quei vini che possono competere sul mercato internazionale. Qui pero il problema sara' che i nuovi mercati, se si eccettua il Brasile, non "godono" di una presenza di immigrati italiani massiccia come gli USA e la Germania, che negli anni hanno tirato la volata ai vini italiani. In Cina e in India i vini italiani dovranno crearsi il loro prestigio in modoa autonomo, certo aiutati dal mangiare italiano che per fortuna rimane popolare in tutto il mondo, ma sara piu' difficile, sopratutto in assenza di strategie di comunicazione dei vini italiani degne di questo nome. Per inciso, non mi pare che Antinori in Italia sia distribuita male, anzi forse si accorge che ormai il mercato è saturo, e lo e'.

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annalisa motta

circa 13 anni fa - Link

Dico una cosa banale, ma la cosa migliore è sempre la diversificazione del mercato. Se come azienda ho un solo mercato, sono in balia dei suoi alti e bassi. Se ho più mercati ci sono sempre più possibilità. Naturalmente si inizia a vendere vicino a casa, come hanno scritto in diversi, ma poi è meglio sapere uscire e non è necessario per questo essere dei giganti. È tuttavia reale il problema di certi vini che faticano a farsi conoscere fuori dalla propria regione, figuriamoci all'estero. Inoltre l'Italia è un mercato spesso difficile, sia per la saturazione come scrive Gianpaolo, ma anche per quella che gli esperti chiamano "regionalizzazione" dei consumi (problema che non tocca certi grandi nomi, come quelli citati nel post). Ad un certo punto uscire almeno in qualche paese europeo diventa una necessità.

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Davide Bonucci

circa 13 anni fa - Link

Ovviamente bisogna vendere sia in Italia che all'estero. Conosco realtà che vendono il 99% all'estero e altre che vendono l'85% in Italia, come estremi del ragionamento. Ambirebbero a diversificare di più, ma non sempre hanno budget per farsi fiere e presentazioni. Discorsi troppo generici non ne farei, il rischio fuffa qui è altissimo. Ognuno si regola in base alle proprie capacità ed esigenze, rischiando del proprio, sia come tempo che come risorse che come immagine. C'è tanto da fare, quello comunque. Quindi, poche chiacchiere e teorie: gambe in spalla e bottiglie sotto braccio... e buon lavoro!

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zakk

circa 13 anni fa - Link

Bisogna capire anche a che tipologiua di clienti si rivolgono i due attori del thread: a me pare che Antinori sia nella ristorazione, nelle enoteche, nella gdo.... insomma dappertutto, per cui, non potendo lavorare con tutti vede per forza la via della crescita all'estero. Zonin nella ristorazione lo vedo solo nei locali da un tanto al kilo, per cui per lui ci sono ancora spazi di crescita nelle enoteche e nei ristoranti non di bassa lega. Così di getto direi che tra i due sto con Antinori anche perchè pur essendo uno che medismente fa vini dal facile approccio, dal cilindro tira sempre fuori qualche bel campione: a me Solaia, Tignanello, Badia a passignano, Guado al Tasso generalmente piacciono molto. Di Zonin non mi viene in mente niente che acquisterei.

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Pitti Gola e Cantina

circa 13 anni fa - Link

Quello che davvero mi dispiace e mi lascio stupito è vedere andando per cantine come piccoli produttori, soprattutto a Montalcino, vendano l'80% del vino all'estero...E come ne siano orgogliosi, da buon contadini che sono, di essere presenti in tutto il mondo che conta... Ma è possibile che in Italia siamo così coglioni da lasciare in cantina a questi produttori migliaia di bottiglie di vini unici, e irripetibili? Per anni ho pensato di aver avuto un culo incredibile ogni volta che trovavo qualche decina di bottiglie di brunello di annate passate ancora in vendita presso l'azienda. Ma ormai ho capito, è un pò la prassi...Grandissimi Brunelli (col cavolo che faccio i nomi) magari di annate come la 2001 o la 2004,ancora in vendita ad oggi a poco più di 15 euro !! E poi vai fuori e non c'e' verso di bere un bicchiere di vino dignitoso nemmeno pagando. Tutto Sicilia, bolgheraccio e Morellino... Ma il mondo del vino è davvero così autoreferenziale e lontano anni luce dalla gente normale come sembra a me , o è solo una mia impressione? A>ltrimenti come ve lo spiegate quel brunello del 2004 ancora tutto li in azienda? qundo per un mojito fatto male (tipo con la sciuepps) c'e' la fila di gente coi biglietti da 10 euro in mano (perchè a firenze costa cosi).. Nelle Nuvole, di' qualcosa, ti prego ! ;)

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Nelle Nuvole

circa 13 anni fa - Link

Cosa vuoi che ti dica, caro Pitti Gola? Nel caso del Brunello di Montalcino parliamo di un vino che si diversifica in più di 250 etichette e di un mito con i piedi d'argilla. Quando la produzione era minore e i tempi economicamente più felici c'era la fila alla porta dele cantine dei produttori grandi e piccoli. Da anni il vento é girato. Il cambio dell'euro, l'11 settembre, il credit crunch hanno in gran parte contribuito a ridimensionare di molto la domanda di vino di qualità, non solo per quello italiano e non solo Brunello. Per quest'ultimo l'aggravante é stata tutto quello che rientra "caso Brunello", di cui se ne é ampiamente parlato e discusso anche su questo blog. Il piccolo produttore che vendeva ad una ventina di clienti si é trovato con la clientela dimezzata e ha mezzi scarsi per ricrearsi un mercato. Se va in giro, chi é che gli pota la vigna, fa i travasi, imbottiglia e riempie pagine su pagine di registri? Inoltre il mercato italiano spesso viene considerato meno sicuro nei pagamenti di quello estero. L'argomento é stato trattato molto bene di recento su Vino al Vino. Anche a me piange il cuore a pensare alle loro cantine ancora piene di bottiglie eccellenti, ancora di più adesso dopo qualche anno che il vino si é affinato nel vetro. Forse dovrebbero mettersi insieme più produttori e creare un unicum commerciale. Questo vorrebbe dire sforzarsi di superare certe diffidenze ed ammettere la propria debolezza commerciale, e non é da tutti. Ancora di più potrebbe farlo il Consorzio, occupandosi di proteggere i più deboli (se se lo meritano)ed aiutandoli a smaltire le eccedenze, in modo trasparente e dignitoso. Questo eviterebbe il vedere spuntare come funghi bottiglie a prezzi stracciati qua e la' su diversi scaffali. Mi sono laciata prendere la mano, ma spero di averti dato una risposta soddisfacente.

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