Vini migranti 2020: a che punto è il vino naturale

Vini migranti 2020: a che punto è il vino naturale

di Andrea Gori

Ormai sarà anche vero che ci sono più manifestazioni sui vini naturali che etichette di vini naturali ma il mercato reagisce semplicemente a quello che il pubblico chiede sempre più a gran voce e cioè, un vino che risponda ad una idea e non solo ad un territorio e storie che valgano la pena di essere raccontate piuttosto che assaggi in serie a riempire un complicato puzzle di profumi, sensazioni e tracce gustative.

Da questo punto di vista Vini Migranti, da un’idea di Teseo Geri, si è mosso molto bene sfruttando un tema caldo e antisalviniano, ma che, al di là della trovata di marketing, apre ad un percorso comune di intenti nel cercare di definire cosa rende speciali certi vini. Il viaggio, il migrare di questa pianta, l’uva, che da sempre accompagna l’uomo e spesso lo precede, colonizzando territori dove poi funge da volano di cambiamento e non solo da nutrimento.

Focus del “migrare” il banco dei Borderless Wine di Peter Weltman (giornalista e sommelier di San Francisco) con un incessante avvicinarsi di persone per assaggiare ma prima ancora per capire le storie dietro il vino bianco prodotto a Betlemme da Palestinesi e Israeliani, oppure ancora il vino “Mission” della Baja California da un vigneto di 120 anni che unisce e divide Stati Uniti dal Messico, un vigneto che sorge laddove c’era una antica missione spagnola del 1700.

Entrambi affascinanti complessi e dotati di una vitalità straordinaria ma davvero difficili da valutare in maniera oggettiva. Più semplice forse valutare il “super Lebanon” rosso Dar Richi 2018 dalla Bekaa Valley  prodotto nella Couvent Rouge Winery, perchè la sua composizione da cabernet, malbec e sangiovese  lo rende simile ad un supertuscan con tocchi esotici e insolità acidità (una parte delle uve cresce a 1300 mt slm). Poi pensi alla storia dietro, la dedica alla moglie Hana da parte dell’enologo rifugiato siriano Abdullah Richi in Libano che con questo progetto mira a costruire una cantina nella sua Siria (dove la vite per ovvi motivi non ha lo spazio commerciale e culturale che meriterebbe) e anche qui l’orizzonte si allarga.

Attorno a questi quasi a cerchi concentrici gli altri produttori, non solo italiani, ciascuno con la sua storia e la sua umanità spesso indistinguibile dai loro vini nel senso che è davvero difficile capire dove inizia il fascino del vino e dove finisce quello del produttore e della sua storia produttiva. Quello che è successo a Vini Migranti, ma che succedeva nello stesso momento a centinaia di km a Palermo a NOT e che succederà prossimamente in Puglia, è il fenomeno nuovo del vino mondiale che, passato indenne attraverso lo storytelling, si adagia ora efficacemente sull’history telling.

Casa Caterina  (Lombardia): tra i nomi più noti del settore “contro” e nonostante non sia nella DOCG viene comunque catalogata in Franciacorta. Una posizione comoda, così come l’utilizzo di termini come “Cremant” al posto di Satèn per raccontarsi. La coda è tanta e l’entusiasmo pure, le etichette sono trasparenti e vere, ogni tanto qualche chicca si presenta pure nel bicchiere ma la cifra fondamentale che interessa e intriga è vedere la ricerca incessante dell’eleganza della bollicina senza contare le prove in rosso, niente male davvero. Al di là della qualità nel bicchiere che emerge, dimostra che le persone non vogliono percepire la Franciacorta come “industriali fighetti che si sono dati alla viticoltura per moda”.

Gravner (Friuli Venezia Giulia): grazie ad un provvidenziale collegamento aereo diretto Firenze-Palermo, Mateja riesce ad essere presente nelle due manifestazioni ed è un segnale forte di unione di intenti e sensibilità. Più di tutto forte il segnale della Ribolla 2011, vino illuminante, semplice nel farsi amare e piacere ma stratificato e complesso ad ogni giro in più nel calice. Qui la storia è nota ma è splendido come ogni volta il bicchiere la sappia raccontare  con calma serafica e capacità di coinvolgimento unica.

Cascina Gentile (Piemonte): tra Colli Tortonesi e Gavi e incursioni nella barbera, vini scattanti e decisi, con pochi compromessi ma che riservano sempre dolcezza e intensità nel sorso, mentre al naso sono reticenti e timidi. Bella scoperta.

Le Boncie (Castelnuovo Berardenga): presente l’atteso e celebrato Le Trame 2016, vino che rappresenta un passo avanti deciso in freschezza e pulizia, a testimoniare il lavoro di ricerca delle potenzialità dell’alberello in uno dei terroir più complicati e difficili in Toscana per il surriscaldamento climatico. Scorre fascinoso nel calice e rispecchia più una ricerca che un punto di arrivo e più Giovanna Morganti che il territorio dove si trova secondo il mio parere, ma resta un vino imprescindibile per capire il movimento e il rapporto tra viticoltura convenzionale e quella cosiddetta naturale.

La Busattina (Maremma): un ciliegiolo 2011 un poco tumultuoso e non molto ben definito  ma anche un Legnotorto splendido ricercato e speziato di macchia e balsamico per Emilio Falcione, tra i più esperti del movimento.

Sergio Falzari (Vinci): da un agriturismo di famiglia la viticoltura in biodinamica con una definizione di profumi e aromi splendida, una via rigorosa agli orange e ai rossi di struttura ben contrastati da freschezza. Il Tinnari Bianco “orange” Trebbiano ha note di mela golden, mirabelle e speziati di miele fumè e ottima sapidità, mentre Altrove, da sangiovese, cabernet e merlot, ha ricchezza e balsamicità belle di cardamomo e bergamotto, zenzero e pepe. Sempre filante e complesso il Selengaia Chianti Docg e ottima prova per le pochissime bottiglie di sangiovese in purezza Pilandra, eleganza e rusticità in abbraccio solido.

Macea (Garfagnana): i vini di Cipriano Barsanti sono sempre tra i più interessanti e il suo Pinot Nero 2018 ancora sul mercato è folgorante e territoriale molto più che varietale, raccontando un appennino ombrosco, cupo, scuro ma sottilmente intrigante. Il Nero del Gobbo 2016 ha ritmo, pulizia e finale di bella complessità ma è il sangiovese 2015 che fa restare a bocca aperta, davvero un quadro aromatico e gustativo originale e fedele al vitigno che si piega al territorio e lo racconta alla sua maniera, prima ancora che a quella di Cipriano.

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Gino “Fuso” Carmignani (Montecarlo di Lucca): sfolgorante la piacevolezza irriverente del Merlo della Topanera che, nome a parte, riesce sempre a strappare attenzione così come il Peoro di Ganza (fatevi spiegare da un toscano cosa significhi…), un trebbiano che dopo lunga macerazione nel bicchiere diventa sorprendente, sia come figlio del Montecarlo che come vino gastronomico intenso con quella sua consistenza quasi da passito.

Marco Sara (Savigliano Savorgnano del Torre, Udine): non più una scoperta da tempo, ma una solida certezza e vini che conviene sempre assaggiare perchè raccontano di un Friuli composto ma guizzante, dolce ma sapido e incalzante come sul friulano o nel verduzzo, sempre foriero di emozioni anche in rosso, come dimostra lo schioppettino azzeccato e coinvolgente.

Podere sotto il Noce (Emilia Romagna): da Modena ma con forti ascendenze piemontesi (i nonni di Max Brondolo vengono appunto dal nord) vini schietti, diretti con complessità inaspettate, profili aromatici bellissimi per il Cottabrega, assemblaggio di lambruschi e il trebbiano di Spagna del Funambol. Tutti vini rifermentati in bottiglia con aggiunta di mosto congelato della stessa annata e in rigoroso regime di minimo intervento e biodinamica per una pulizia e precisione davvero notevoli.

Podere Orto (Lazio): siamo a Trevinano, misterioso enclave ritagliato tra Lazio, Umbria e Toscana e i vini di  Giulio Salesi e Simona De Vecchis raccolgono sempre più consensi e sono quasi pronti ad essere dei capofila. Stupendo l’Amai da sangiovese, grechetto rosso e ciliegiolo, vino appassionato e appassionante che dalle note di viole e rosa sconfina nel frutto agile di lampone tutto punteggiato di freschezza (le vigne sono a quasi 600 mt si altitudine) pepe e spezia fine. Sempre nel Lazio ma in zona più frequentata come Velletri, il fiano Colle dei Marmi di Azienda Agricola le Rose fa sempre girare lo sguardo tanto è serioso verticale eppure dolce e ricco di trame esotiche fruttate.

Forte la componente toscana, ovviamente, ed è sempre bello vedere come i confini della viticoltura si siano allargati e non poco anche in una regione dove si pensava che tutto fosse stato provato e sperimentato. Bella sorpresa a Baggio (PT) con Val di Buri e i suoi delicati eppure ficcanti ed elegantissimi vini di Giacomo “OsteStanco” e Marina Ciancaglini, prodotti in un 1 ettaro e mezzo di vigna tra Pistoia e Casalguidi, da vigne  tra i 40 e i 60 anni di età poste tra i 60 e i 550 metri slm. Splendido Eco della Valle, il rosa-chiaretto 80% uve rosse (sangiovese, canaiolo, ciliegiolo), 20% uve bianche ( trebbiano toscano, malvasia del chianti) ma anche il poderoso trebbiano Bure Bianco che legge in quest’uva potenzialità esplorate da pochi a questi livelli. Produzione piccolissima e curata, biodinamica e solforosa a livelli minimi senza rinunciare a nitore e piacevolezza. Pensiamo anche al Casentino, ormai non una novità ma fa sempre piacere farsi trasportare dai vini di Sagona (Gattorosso 2018 da paura per come va giù e disseta) e dal pinot nero di Federico Staderini al Podere Santa Felicita, il suo Cuna 2016 è davvero una carezza di piacere fruttato rosso e note boscoso mai troppo cupe e coprenti e l’abrostine, uva riscoperta, origina il Sempremai Sorte, prodigioso di spezia e intensità fruttata e piccante.

Anche nelle zone classiche e in genere più coperte trovi  vini che ti fanno alzare il sopracciglio per la sorpresa. Nel Chianti Classico mai stato un grande fan di Montesecondo ma la progressione qualitativa e di pulizia è costante e netta mentre realtà “nuove” come Podere Erica con il sangiovese La Fenice mostrano grinta e carattere con il sangiovese brillante e deciso mentre altre ancora come Tenuta di Carleone  sono ormai delle vere e proprie stelle. Magari qui non c’è biodinamica e naturalità certificata ma il ritmo la freschezza e il sapore cangiante di amarena e bergamotto, lavanda,  mirto e finocchietto dell’Uno 2017 ammalia quasi quanto l’ormai mitica edizione 2016 e così fa il Chianti Classico 2017 con frutto nitido e piccante senza cedimenti ed eccessi, mirtillo, fragola , ciliegia matura, lavanda e tocchi di pepe nero con un sorso nervoso ma divertentissimo. In assaggio anche il nuovo nato petnat da alicante bouschet “Tinto”, curioso, sapido, netto e ficcante con note di frutta rossa e spezia molto piacevoli, in bocca tumultuoso e sul filo dell’aggressività ma lascia un retrogusto lungo e meraviglioso di marasca e pepe.

Paolo Marchionni e la sua Tenuta di Vigliano ci portano un Rossovigliano 2018 sulla strada per diventare delizioso come l’acclamato 2017 e un’Erta 2016 elegante e appuntito. Sempre in zona Chianti Niccolò Lari che dopo “La Svolta” (l’azienda cambierà presto nome, occhio) allarga la sua gamma di vini mantenendo uno dei Chianti DOCG più intriganti che oggi si possa trovare, continuando nel contempo a produrre vini originali come il Principio da sangiovese senza solfiti e il BeatNik da trebbiano macerato.

In Val di Cornia Tenuta I Mandorli ha un sangiovese che legge le annate in maniera precisa e accurata ma anche nelle più difficili sa raccoglierne dolcezza e sensazioni salmastre incantevoli e struggenti senza contare la bellezza di un vino come “I Mandorli”, ogni anno un prodigio di piacevolezza senza banalità. Alla distanza perde qualche colpo il cru Vigna al Mare di cabernet sauvignon ma probabilmente sta solo attraversando una fase di assestamento climatico che il sangiovese mostra di aver digerito meglio e più velocemente. Sempre lì vicino stupisce la freschezza senza tempo del sangiovese e del merlot di Sant’Agnese di Paolo Gigli, personaggio con cui è sempre stimolante confrontarsi per parlare della difficile arte di promuovere la Toscana minore. Libatio, Rubido e lo spettacolare e sfumato vermentino Kalendamaia aprono sempre orizzonti interessanti.

Da San Miniato la biodinamica ci ha portato alla ribalta (ormai da anni, va detto) Cosimo Maria Masini con Francesco de Filippis a guidare una pattuglia di vini appassionati sinceri e con una salinità iodata e marina che rende riconoscibile e unico il loro sangiovese declinato in varie versioni (Nicole sempre la mia preferita) mentre sul bianco Dafnè è sempre uno degli orange più espressivi della regione. Da Suvereto, in Sardegna e dalla Rùfina l’approccio di Casadei è tra i più riusciti per come unisce rigore enologico e ortodossia biodinamica, la Rufina Riserva Lastricato dal Castello del Trebbio è sempre azzeccato e la gamma delle anfore è forse la batteria migliore di vini in anfora che possiate trovare in Italia, almeno per quanti nel vino cercano non solo stravaganze ma anche riconducibilità al vitigno e al territorio. Dall’Abruzzo Podere San Biagio da Controguerra (molto vicino alle Marche) con Jacopo che porta un “FunCool” (cabernet franc da macerazione carbonica) ai limiti della potabilità per volatile e irriverenza ma anche uno splendido Montepulciano Colline Teramane di potenza struttura e intima eleganza che non vuole lasciare i sensi dopo essersi librato dal bicchiere.

In Lombardia le zone dove emergere non sono molte e i percorsi in Oltrepo’ di Tenuta Belvedere e di Case Vecchie  non lontano dal Garda, nel mantovano sono interessanti da seguire anche se gli esiti sono talmente personali che convincono soltanto a tratti il sottoscritto.   Sicilia ben rappresentata con l’Etna di Bruno Ferrara Sardo a mostrare un bellissimo trittico di vini dalla 2014 alla 2016 in cui spicca la 2014 per compiutezza, note ferrose ed ematiche con bel contraltare di frutta di sottobosco e dolcezza candita e la sorpresa di Luca Lombardo con il suo Moscato secco 2018 Val di Note, tra lytchees, lime, gesso, mela golden, zagara e un sorso di freschezza d’altura condito con la giusta sapidità. Infine Mastro di Baglio da Trapani alla ricerca di un grillo e della sua essenza più rocciosa e tannica che riscopre la piacevolezza ad un passo dall’eccesso. Belli e sempre forti decisi e bisognosi di tempo i vini Maria Pia Castelli posti di fianco ai colleghi di Offida di Aurora, il loro Barricadero ha perso qualche eccesso e guadagnato in eleganza con il tempo. Umbria ben rappresentata da Francesco Annesanti, schivo e riservato ma dalle idee chiarissime e rigorose in cantina come dimostra lo splendido Suppriscola 2018 , una barbera di cardamomo ribes rosso nero di mirtillo , lunghezza agilità acidità del vitigno resa piacevole senza sminuirla di una virgola.  Notevole anche la prestazione in bianco con il Bianco da grechetto trebbiano e malvasia 2017  sapido fresco croccante con tocchi di dolcezza di frutto nella agilità complessiva e un finale tra erbe aromatiche anice e sambuco. Ultima puntata italica in Alto Adige con Thomas Niedermayr e i suoi Piwi, ibridi interspecifici ben rappresentati in un mosaico in legno a esagoni con foto e ramificazioni filogenetiche molto chiare, miei personali preferiti il bianco da uve bronner, perfetto nel mezzo tra dolce mediterraneo e piccante esilità e acidità alpina. e il rosa-rosso souvignier gris, un vino definito bianco macerato che porta note di amarena cannella e zenzero in egual misura.
Prosegue la giornata e si arriva alla cena e vini che si susseguono nel bicchiere sono tanti tra cui lo Champagne sferzante e gessoso da manuale di Legret, gli scattanti e flessuosi Borgogna di Emmanuelle Giboulot e un Cava finalmente interessante come Pares Balta affiancato da uno zarello in purezza che mostra in nuce la bellezza di questo metodo classico decisamente poco approfondito.

Manifestazione dal grande successo e molto riuscita al netto di qualche problema dovuto alla tanta affluenza in alcuni frangenti ma ogni cosa è stata sistemata con uno spirito di collaborazione e di unità di intenti che ha messo migranti, appassionati, produttori e degustatori della domenica tutti nella stessa barca con lo spirito di mettersi alla prova dal punto di vista degustativo più forte che mai. Avanti così.

 

Andrea Gori

Quarta generazione della famiglia Gori – ristoratori in Firenze dal 1901 – è il primo a occuparsi seriamente di vino. Biologo, ricercatore e genetista, inizia gli studi da sommelier nel 2004. Gli serviranno 4 anni per diventare vice campione europeo. In pubblico nega, ma crede nella supremazia della Toscana sulle altre regioni del vino, pur avendo un debole per Borgogna e Champagne. Per tutti è “il sommelier informatico”.

28 Commenti

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Stefano

circa 4 anni fa - Link

Perché non ci sono i punteggi? Dobbiamo rassegnarci al fatto che vini così giocano un altro campionato? Ma Legret e Giboulot in Francia starebbero sullo stesso scaffale o allo stesso banchetto dei "convenzionali", no?

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Andrea Gori

circa 4 anni fa - Link

mi ero scordato di risponderti su Giboulot...in realtà lui lavora da sempre in biologico e anche in biodinamico! Vini pulitissimi e precisi ma di certo naturali eccome! E anche Legret opera in regime sostenibile e rispettoso dell'ambiente dal 2016 anche se mi pare non abbia certificazioni

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Stefano

circa 4 anni fa - Link

Appunto, lo scrivevo per quello: in Francia non c'è questa dicotomia!

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zzzz

circa 4 anni fa - Link

Veramente la polemica dicotomica e un po' tanto manicheista anche in Francia è viva e vegeta.

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Andrea gori

circa 4 anni fa - Link

Ciao Stefano, annosa questione quella dei punteggi dei vini naturali... sinceramente non mi reputo così esperto della materia da cominciare a punteggiarli ma soprattutto mi interrogo sull’opportunità di usare un punteggio in centesimi costruito per vini modellati con altri criteri... altro aspetto che rammento nel testo il fatto che è difficile scindere spesso scindere le storie personali dalla qualità organolettica del vino. I borderless wine in questo sono esemplari...

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Stefano

circa 4 anni fa - Link

Da un lato mi convinci perché alcune sono storie talmente belle che meriterebbero di essere raccontate singolarmente. Dall'altro lato però certe suggestioni valgono per tutti i vini: quando bevo Mascarello, non posso dimenticare una mattina in cui ho conosciuto Bartolo nel suo studio... Non porto esempi di segno opposto, perché la vostra redazione ha già scritto molto sul "vino degli str..."

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Andrea

circa 4 anni fa - Link

Marco Sara - SAVORGNANO del Torre ;-)

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Tommaso

circa 4 anni fa - Link

Bello!

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Aurora N

circa 4 anni fa - Link

E' snervante trovare in commercio vini con la volatile "ai limiti della potabilità" Sono vini difettati. Altri aggettivi sono superflui. Un grande abbraccio ai "ragazzi" di Aurora.

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Teseo Geri

circa 4 anni fa - Link

Per prima cosa Grazie ad Andrea Gori che, citando alcuni dei produttori presenti, ha sottolineato quanto era interessante la lista dei produttori presenti. Ovviamente era impossibile citare tutti i protagonisti come le altre aziende del tipo di Vigneti Massa, Le Due Terre, Demetervine dall’Ungheria e altri mainstreaming. Il fatto che Vini Migranti sia un’idea di marketing mi fa capire che forse il messaggio a volte non sia arrivato. Secondo me vedendo il video di Borderless Wine, parlando con lo stesso Peter o leggendo il comunicato stampa doveva apparire di più che chi scappa dalla Siria e in si rifugia in Libano a produrre vino crea un vino migrante! Lo stesso Josko Gravner per anni ha fatto spola tra la Georgia, Slovenia per sviluppare alcuni suoi concetti. il fatto che un produttore messicano che non può andare negli Stati Uniti è una questione legata alla migrazione come lo è il fatto che palestinesi ed israeliani fortunatamente hanno creato un vino in collaborazione. A vini migranti c’erano tutte queste realtà! La migrazione era intesa anche in termini di territorialità come le aziende delle Isola di Capraia o della Sicilia. La migrazione infine era per contestualizzare il periodo storico ovvero al pregiudizio o giudicare quello che non si conosce. La folla che è venuta a scoperto questi vini fino ad ora mai arrivati in Europa. Credo che la notizia c’era! Politica o no abbiamo scoperto dei vini che possono sicuramente migliorare in termini tecnici ma di sicuro adesso abbiamo scoperto un mondo! Concludo aggiungendo che questa manifestazione nasce dall’esigenza di ristoratori di guardare oltre ed invitate colleghi e clienti a farlo. il fatto di aver organizzato anche una conferenza tra ristoratori sulla “ristorazione consapevole” è un’ulteriore prova di voler lanciare temi culturale. Il marketing è “giusto” lo facciano le grandi aziende del vino.

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Sancho P

circa 4 anni fa - Link

L'iniziativa è lodevole oltre che interessante. Dopo anni di conferenze a spiegare che un primo passo pratico in quelle zone del mondo, sarebbe un sindacato che accolga sotto la stessa bandiera, lavoratori arabi ed israeliani,apprendere che israeliani e palestinesi abbiano fatto un vino insieme un po' di brividi me li fa venire. Oggi che cialtroni fomentatori interessati di paure e divisioni, impazzano sulla cresta dell'onda, è una boccata d'aria fresca partecipare e sostenere iniziative come questa. Volando più basso però, concordo con chi sostiene che quando un vino sia al limite della potabilità, vada bocciato senza mezzi termini. Il fatto che sia naturale, non può essere una giustificazione. Coloro che sostengono che il difetto olfattivo, denoti personalità o peggio ancora sia una caratteristica di quel certo lvino, nel migliore dei casi, si autoingannano. Saluti internazionalisti. Simone.

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Stefano

circa 4 anni fa - Link

Che bella ed interessante occasione di incontro e confronto deve essere stata Vini Migranti. Idea bellissima ed originale. Bisogna crederci dal di dentro in certe cose e credo che chi l' ha ideata e realizzata abbia dimostrato tutto questo in maniera cristallina. Da appassionato e curioso non posso che ringraziare chi ci ha messo l' anima per creare tutto cio'. Io ero a NOT e devo dire che anche li ho trovato e incontrato tantissime persone che credono profondamente in quello che fanno. Dagli organizzatori ai produttori ognuno crede in un ideale che e" quello che si puo' produrre vino ottimo ed emozionante in una maniera sostenibile. Non tutti ci riescono subito, ma ci credono, si confrontano...crescono...si uniscono. Ci mettono del loro e ci mettono la faccia. Io sono il primo degli ignoranti del vino, ma mi occupo di territorio e di natura. Davvero so quanto ormai non debba essere piu' una moda produrre vino in maniera soatenibile...anzi di piu'...il produttore ha anche il dovere di conservare e migliorare territorio sia da un punto di vista ambientale che da un punto di vista sociale. Credo si debba andare oltre al vino. Non fraintendetemi...sono il primo che vuole come condizione prima che il vino sia pulito...buono..emozionante al naso e in bocca..profondo.etc..etc...ma tra due vini ugualmente buoni ed emozionanti scegliero' sempre quello con dietro una storia..un progetto sostenibile ...una viticoltura sana sia dal punto di vista ambientale che sociale. Perche' ci credo...perche' credo che il futuro sia li... Ora ringraziando il Sig. Gori per il suo report e il suo palato e naso che ci hanno condotto per chi non c era, in un bel viaggio tra vini che fortunatamente in parte conosco, chiedo davvero senza polemica, Lei ci crede veramente ad una viticoltura pura e DAVVERO sostenibile o indifferentemente bada solo al vino se e" buono sia esso Tavernello o uno dei vini descritti?

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Andrea Gori

circa 4 anni fa - Link

Direi proprio di si! Nel senso che credo che qualsiasi vino possa valer la pena di essere bevuto e che possa piacere in diverse situazioni un vino naturale, il Tavernello o un supertuscan 100% barrique. Cerco di non avere ideologie quando bevo e non mi piacciono gli steccati e le guerre di religione nel vino, penso si sia capito.

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Stefano Lorenzi

circa 4 anni fa - Link

Grazie della risposta Sig.Gori. In realta' pero' Le dico di no. Io da appassionato ho bisogno di punti di riferimento che mi conunichino un idea di vino. Sono anche io contro gli steccati e le " certificazioni " sulla carta. Mi piace andare in vigna e cantina e capire chi veramente crede in quello che fa e fa quello che dice. RIPETO fermo restando che il vino debba uscire Buonissimo...pulito...etc etc. E' ora di preferire chi fa vino rispettando l' ambiente. Credo sia ora che persone della sua levatura in questo mondo Di...Vino prendano una posizione ferma. Piaccia o no se pensiamo solo alla bonta' del prodotto siamo degli egoisti verso l' ambiente che ci circonda. Chi fa il Tavernello o un Supertuscany convenzionale o un grande Barolo...se vuole lo puo'fare anche sostenibile..quantomeno in vigna!! Non abbiamo un' altra terra. Come avra' intuito sono Sommelier per passione e mi occupo di Alberi e territorio, so fin troppo bene che e" ora di cambiare marcia. Lo so che gli interessi in ballo sono tanti... Ma il giochino si rompera' tra poco se continuiamo a spingere cosi. Nei grandi areali dove si sta distruggendo la biodiversita' tra massimo 15 anni non si riuscira' piu' a fare i grandi vini...e Voi esperti sarete i primi ad accorgerverne. Voi comunicatori avete in mano il gettone da puntare su un inversione di marcia e potete farlo senza penalizzare la qualita' e il piacere del vino. Le assicuro che non voglio boicottare nessun tipo di vino, ma e' ora che tutti ci interroghiamo su ogni nostro gesto. Quindi opinione mia...va bene tutto, ma orientati in una direzione comune.

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Andrea Gori

circa 4 anni fa - Link

È un terreno scivoloso ma onestamente non ti posso dare torto. Già alcune guide (vedi SlowWine) danno precedenza ad aziende sostenibili e che migliorano l’ambiente. Ma dal punto di vista della sostenibilità Caviro o altre grandi aziende spesso viste come il male potrebbero risultare molto più avanti di tanti piccoli e finire per avere un impatto positivo sull’ambiente anche maggiore... come giornalista devo esporre entrambi gli approcci poi ognuno segua la sua coscienza senza però rinnegare la qualità e la piacevolezza nel bicchiere

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Stefano

circa 4 anni fa - Link

Su questo Andrea ( mi permetto di darti del tu) sono stra d ' accordo con te: grande non vuol dire non essere sostenibili, ma ha bisogno di maggiori sforzi esserlo rispetto ad un piccolo, perche' grandi numeri vogliono dire che fai piu' danni se non ci stai attento Un treno merci a 3 kmh contro un muro fa mille volte piu' danni di un auto a 100kmh Quindi...ben vengano le grandi realta' sostenibili, ma non solo perche' fanno un packaging Eco....devono lavorare a tutti i livelli compreso quello sociale e naturalistico all' interno del territorio che li ospita. Non ho mai visto un serio progetto di piantagione alberi o una rete di sentieri manutenuti e sponsorizzati da queste aziende...ad esempio... Detto questo bene che si parli di tutto e tutti...pero'...come si dice dalle mie parti...voi che potete .." provate a buttargliela li l' idea' di cambiare seriamente rotta

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Nic Marsél

circa 4 anni fa - Link

Finalmente fulminato sulla via di Damasco? :-)

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Sancho P

circa 4 anni fa - Link

Mi piacerebbe che ci fosse più razionalità e meno partigianeria a prescindere nell'affrontare il "vino naturale" Anche a me sta più simpatico il piccolo produttore rispetto alla grande azienda, ma se il vino non è all'altezza bisogna dirlo senza se e senza ma. In generale, preferisco i grandi classici. Per rimanere in Piemonte, visto che nonostante le promesse e le intenzioni, continuo a bere quasi solo vini piemontesi, entrambi i Mascarello, Marcarini, Fenocchio, Giacosa, Palladino, Massolino, Settimo, Burlotto, per citare i primi che mi vengono a tiro. Comunque, massimo ripetto per iniziative come questa e non dimenticate Enotica. Roma, 13-15 Marzo. Saluti

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Andrea Gori

circa 4 anni fa - Link

Qui entriamo in un altro campo di spine... ovvero bisogna ribadire che il fatto di produrre vini naturali non fa scoprire nuovi terroir di eccellenza del vino ma semmai esalta quanto c’è di buono in in terroir. Laddove c‘è storia produttiva decennale o ultracentenaria (Vedi Piemonte esempio classico o Borgogna o Champagne) è ovvio che l’approccio naturale puó funzionare e rendere migliore il prodotto (non si spiegherebbe come mai Palmer abbia deciso di puntare sulla biodinamica altrimenti ). Ma laddove non era mai stato prodotto vino di qualità il solo fatto di piantare una vigna e fare biodinamica non porta a qualità, anzi.

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zzzz

circa 4 anni fa - Link

Chateau Pedesclaux (si, Bordeaux!) ha sperimentato i tre modelli di conduzione (convenzionale, che per la zona vuol dire talvolta REALE utilizzo di abbondanti composti di sintesi ; biologico; biodinamico) per alcuni anni nella stessa vigna, divisa in tre parti uguali. I risultati non sono stati così chiaramente a favore dell'uno o dell'altro metodo ma le caratteristiche dei vini sono risultate differenti in maniera sufficiente da potere trarre un giudizio. La propensione stilistica del produttore ha quindi fatto sì che si orientasse sul biologico, che risultava una sintesi tra l'opulenza del convenzionale e la verticalità un po' rigida del biodinamico. Ecco, quando leggo l'ennesimo peana sui vini naturali non posso non scontrarsi col fatto che di esperimenti come questo ne sono stati fatti pochissimi, e che il risultato finale dipende da molti fattori. E che la piacevolezza di beva se la gioca spesso in altalena con le emozioni che però nei vini grami sono figlie di storpiature e solo nei grandi vini rappresentano il vertice delle potenzialità.

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Anulu

circa 4 anni fa - Link

Vino Naturale Is Dead. Questo non c'entra niente con Vini Migranti che sicuramente è una bella iniziativa, ma onestamente ho sempre meno voglia di innamorarmi di questi personaggi che più di vino parlano di se stessi e che vogliono sfuggire alle regole (per questo i punteggi caro Gori servirebbero). Alla lunga non so quanti ne rimangono di questi produttori naturali. Rimane solo chi come magari Amerighi, De Bartoli, Vodopivec si è fatto un nome (per la buona qualità) prima che saltasse sul carrozzone chiunque anche da zone inesistenti enologicamente, con vini che se uno è onesto sono spesso di dubbissimo valore enologico e che non passeranno la prova del tempo. Io noto che in zone come Montalcino, Bolgheri o Barolo, che funzionano, sono pochissimi quelli che hanno bisogno di ricorrere allo stratagemma del vino naturale. Anche all'Etna chi si faceva l'alternativo piano piano si sta addomesticando. Chi sta facendo il percorso inverso (ovvero vestendo i panni del contadino, fingendo di esserlo) mi sa ancora più ridicolo ovviamente, e mi fa anche rabbia quando i più ci cascano.

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Andrea Gori

circa 4 anni fa - Link

Non prometto nulla ma se volete una lista di punteggi la posso fare ad integrazione del post, se è utile ci mancherebbe . Ma non sposta di una virgola il successo o l’insuccesso di questi vini che nascono proprio per sfuggire alle gabbie dei punteggi in centesimi

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Andrea Gori

circa 4 anni fa - Link

meglio prima che tardi, ecco qui una lista di punteggi di quasi tutti i vini nominati nel post. Voti Vini migranti Casa Caterina "Cremont" 84 Spumante Metodo Classico Brut Nature '36' 87 Spumante Brut Nature '60' Casa Caterina 85 Gravner Ribolla 2011 96 Cascina Gentile (Piemonte) Gavi 88 Timorasso 90 Barberba 85 Le Boncie IGT Le Trame 2016 90 La Busattina (Maremma) C Ciliegiolo 2011 84 Legnotorto 91 Sergio Falzari (Vinci) Tinnari Bianco "orange" Trebbiano 88 Selengaia Chianti Docg 87 Pilandra 90 Macea (Garfagnana) Pinot Nero 2018 90+ Nero del Gobbo 2016 88 Sangiovese 2015 93+ Gino "Fuso" Carmignani (Montecarlo di Lucca) Merlo della Topanera (magnum) 88 Peoro di Ganza 92 Marco Sara Friulano 91 Verduzzo 87 Schioppettino 88 Podere sotto il Noce (Emilia Romagna) Cottabrega 88 Funambol 87 Podere Orto Amai 92 Azienda Agricola le Rose Colle dei Marmi Fiano 93 Val di Buri Eco della Valle 90 Bure Bianco 92 Sagona Gattorosso 2018 88 Federico Staderini al Podere Santa Felicita Cuna 2016 94 Sempremai Sorte 90 Podere Erica La Fenice 88 Tenuta di Carleone Uno 2017 94 Chianti Classico 2017 91 "Tinto" 87 Tenuta di Vigliano Rossovigliano 2018 89 Erta 2016 92 Niccolò Lari Chianti DOCG 88 p Principio 86 BeatNik 88 Tenuta I Mandorli "I Mandorli" 90 Sangiovese 93 Vigna al Mare Cabernet 87 Cosimo Maria Masini Nicole IGT 88 Dafnè Bianco 89 Cosimo 87 Casadei Rufina Riserva Lastricato 2016 dal Castello di Vincigliata 94 Ansonaco Anfora 2018 92 Sant’Agnese di Paolo Gigli Libatio 91 Rubido 88 Kalendamaia 90 Podere San Biagio da Controguerra "FunCool" 81 Montepulciano d’Abruzzo Colline Teramane DOCG 90 Bruno Ferrara Sardo Etna 2014 94 Entra 2015 90 Etna 2016 92 Luca Lombardo Moscato secco 2018 Val di Noto 88 Francesco Annesanti Suppriscola 2018 91 Bianco da grechetto trebbiano e malvasia 2017 88 Thomas Niedermayer Bronner 89 Abendrot Souvignier Gris 92

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Stefano

circa 4 anni fa - Link

Per me così è molto utile, grazie! Mi serve molto come termine di confronto, conoscendo i punteggi che assegni e paragonandoli ad altri tuoi post, fermo restando le "storie" dei produttori. ( te li eri segnati due numeretti, eh?)

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Nic Marsél

circa 4 anni fa - Link

Mi fa piacere notare che alla fin fine le mie preferenze personali spuntano i punteggi più alti. Mi domando solo se quel 94 al Cuna (lo dico da estimatore) non possa suonare irriverente per gli esperti di Borgogna (quale io purtroppo non sono).

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Anulu

circa 4 anni fa - Link

Non so se nascono per sfuggire alle gabbie dei punteggi in centesimi. Se a certi personaggi Wine Spectator o Galloni o la Larner danno un punteggio intorno ai 93-94-95-96, per non dire di più, vedrai come lo postano e se ne vantano. Anche perché sanno che poi trovano migliori clienti di quelli che hanno.

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Stefano

circa 4 anni fa - Link

La trovo un analisi superficiale e qualinquista la Sua. I vignaioli che ho incontrato io non parlano di se stessi...ma di un ideale in cui credono e che cercano di trasmettere con il vino. Come si e' detto molti riescono...molti no. Del resto come nei vignaioli convenzionali. Su Montalcino e' meglio che prenda migliori informazioni c e' chi fa vino in maniera iper rispettosa della natura....e non sono solo aziende piccole.

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marcow

circa 4 anni fa - Link

Stefano 23 gennaio verso Anulu "La trovo un analisi superficiale e QUALUNQUISTA la Sua. I vignaioli che ho incontrato io non parlano di se stessi…ma di un IDEALE IN CUI CREDONO e che cercano di trasmettere con il vino". (Stefano) Si usa spesso impropriamente la parola QUALUNQUISTA, in molti contesti, ma sempre con un significato dispregiativo, per criticare le opinioni che non si condividono. Secondo me Anulu non è un qualunquista quando parla dell'uso strumentale dei voti assegnati da esperti. Non c'entra il qualunquismo in questo caso. Vedo una contraddizione in Stefano: parla di IDEALI, dice di "credere" alle "storie" dei vignaioli che li sbandierano(gli ideali), e poi è Lui che chiede all'esperto la tabellina con i voti: di passare dalla poesia alla prosa, dallo storytelling alla quantificazioni dei dati organolettici. Stefano 22 gennaio 2020 "Lei ci CREDE veramente ad una VITICULTURA PURA e davvero sostenibile o indifferentemente bada solo al vino se e” buono sia esso Tavernello o uno dei vini descritti?" Andrea Gori 22 gennaio 2020 "Direi proprio di si! Nel senso che CREDO che QUALSIASI VINO possa valer la pena di essere bevuto e che possa piacere in diverse situazioni un vino naturale, il Tavernello o un supertuscan 100% barrique. Cerco di non avere ideologie quando bevo e non mi piacciono gli steccati e le guerre di religione nel vino, penso si sia capito". La domanda e la risposta contengono posizioni opposte che non condivido. Stefano si è costruito, nella mente, un ideale (v. anche il suo primo commento) di viticoltura che non rispecchia, secondo me, la realtà. E, con quel modello ideale in testa, cerca disperatamente conferme nella REALTÀ abbassando il suo spirito critico di fronte ai "racconti" dei suoi vignaioli "idealizzati". Andrea Gori mette sullo stesso piano realtà diverse. Penso al fatto che i vini naturali siano nati per superare i limiti dei vini convenzionali e sono stati propagandati in contrapposizione ai vini industriali e convenzionali. Non mi convince chi tratta allo stesso modo un vino naturale, un Tavernello e un supertuscan 100% barrique. Qui si rischia, secondo me, il QUALUNQUISMO.

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