Veuve Clicquot La Grande Dame 2008 Brut e Rosè: il pinot nero regna sovrano

Veuve Clicquot La Grande Dame 2008 Brut e Rosè: il pinot nero regna sovrano

di Andrea Gori

Una cuvée de prestige composta quasi esclusivamente da pinot nero è roba da sovversivi. Strano a dirsi l’audacia viene da una grande maison che non ha lesinato  sorprese nel corso degli ultimi anni a suon di rinfrescate all’immagine a partire dall’onnipresente Yellow Label, tra gli champagne da sempre più venduti in Italia e nel mondo. Un’audacia ben studiata ovviamente, ma anche figlia di un clima e di un ripensamento della strategia che ha visto emergere come preponderante nella storia della maison della Veuve Clicquot Ponsardin proprio il ruolo del pinot nero, a cominciare dalla cura certosina con cui vengono prodotti i vini a base di quest’uva nel Clos Colin e la tecnologia enoica messa in atto nel pressoir di Bouzy, epicentro del nuovo focus sul pinot nero.

 

In un momento in cui la ricerca della freschezza e asciuttezza della beva diventano imperativi in Champagne, il voler affidarsi al pinot nero è certo audace ma ben calcolato per chi ha i mezzi per sostenerlo. Al cospetto di ben quattro “grandi dame” della cucina italiana sparse per tutta la penisola, ovvero Gaia Giordano di Spazio Niko Romito (Milano), Fabrizia Meroi del ristorante Laite Sappada (Udine), Martina Caruso del ristorante Signum (Salina) e Caterina Ceraudo dal ristorante Dattilo di Strongoli (Crotone) è andato in tavola un pressure test non da poco in quel di Milano durante Identità Golose 2019.

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A partire dal primo piatto, ovvero, il Rabarbaro marinato olio e dragoncello, un pezzetto di rabarbaro cotto a 61 gradi per un quarto d’ora, poi marinato per 24 ore e servito con olio di nocellara. La Dame mostra la sua stoffa, che è quella impressionante di un pinot nero completo, ricco e muscoloso ma anche sorprendentemente elegante e snello con nessun ritorno su toni aspri o troppo maturi nell’abbinamento decisamente estremo.

Arriva in tavola il piatto di Fabrizia Meroi ovvero, un merluzzo dissalato per sette giorni poi servito con una insalata di finocchio e yogurt liofilizzato, creme fraiche e poi pellicine di latte cotto tipo meringa, aceto di latticello e cialda di latte, il tutto in brodo vegetale e crosta di formaggio Piave. A parte la lucida follia che sta dietro il piatto – che meriterebbe un post a parte – il vino tira fuori la sua anime lieve e coccolosa ed esalta ogni componente del piatto senza sovrastare.

Champagne Veuve Clicquot La Grande Dame 2008 6gr/lt dosaggio, 92% pinot nero 8% chardonnay.
Ha note di agrumi e una sorprendente nitidezza floreale di fresia e zagara, arancio di Ribera e clementina, mirtilli, fragole e un tocco di rabarbaro. La tessitura è speziata, i ricami nocciolati, sorso carnoso di arancio e clementina, bergamotto e mirabelle, mandorla e fichi. Conserva nel suo insieme il rigore e la struttura dei pinot neri del nord (Verzy e Verzenay), uniti al calore e maturità del sud (Bouzy e Ambonnay) e accordati tra loro dalle uve di Ay. Qualche tocco boisée mostra un uso mirabile del legno (5-10% del totale dei vini) e poi note balsamiche di elicriso a chiudere. Bocca che scatena la golosità, ricchezza e struttura che stimola più pancia che testa, vinosità sapida quasi salina propria, iodio e confetto. Un capolavoro moderno, il primo acuto di Dominique Demarville che proprio imbottigliando questo capolavoro iniziò la sua collaborazione con la maison. 97+

Ma le sorprese a tavola non finiscono perchè arrivano i piatti di Martina Caruso ovvero i Pennoni Il Cappelli Monograno Felicetti con Totano, Tuma Persa e bieta croccante (per una sensazione di mare convincente e ammaliante davvero) e  Caterina Ceraudo dal ristorante Dattilo con la sua Spigola, Limone candito e patate tutta giocata sugli agrumi e la loro intrinseca dolcezza che fa da puntello all’acidità di espressione. Elementi che ritroviamo nei vini proposti in abbinamento a partire dalla strepitosa, e ancora in parte poco decifrabile, La Grande Dame Rosè 2008, gemella e per molti versi ancora più sorprendente della versione bianca.

Veuve Clicquot La Grande Dame 2008 Rosè 92% pinot nero di cui 14% di vino rosso pinot noir del Clos Colin a Bouzy, 8% chardonnay, dosaggio 6gr/lt.
Naso teso e arcigno, melograno, lamponi e ribes rossi in grande evidenza, poi rose, incenso e lavanda, cardamomo e spezia di ginger piccante e tocchi di peperoni. Bocca freschissima e incalzante, rocciosa e affilata che sfugge alle definizioni, guizza agile e lascia scia di colonia inglese, the roiboos, mandarino tardivo tra punteggiatura di bollicine dalla trama serratissima. 95+

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Nel corso della cena altri tre grandi champagne che toccano nel profondo come La Grande Dame 1989  e La Grande Dame 1979 (ancora nel vecchio flacone) realizzata da Charles Lalay, chef de cave fino al 1996, un vino che è stato di ispirazione per Dominique Demarville perché i pinot neri di quel millesimo erano di livello altissimo e quotarono per un 67% nel totale. Un vino con un equilibrio pazzesco, cremoso e setoso ma anche gessoso e fresco nel finale (sboccatura ovviamente recente, non dell’epoca della sua uscita). Ma il sorso più intenso e che stordisce i sensi è una La Grande Dame 1990 in jeroboam servita in coda: una magnificenza vera di oro zecchino e dal languido pallore, un floreale larghissimo giallo e note di canditi, camomilla e pesca, rafano, zafferano, poi vira sul rosso di fragola e ribes, spicca il gesso, ancora la torrefazione, caffè e nocciole il tutto animato e solleticato da un refolo di menta che aumenta e sigilla la sua freschezza incredibile, ed è di nuovo menta e timo, agrumi e cedro candito. Incredibile!

[Foto dei piatti Marco Colognese]

Andrea Gori

Quarta generazione della famiglia Gori – ristoratori in Firenze dal 1901 – è il primo a occuparsi seriamente di vino. Biologo, ricercatore e genetista, inizia gli studi da sommelier nel 2004. Gli serviranno 4 anni per diventare vice campione europeo. In pubblico nega, ma crede nella supremazia della Toscana sulle altre regioni del vino, pur avendo un debole per Borgogna e Champagne. Per tutti è “il sommelier informatico”.

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