Vandenbroucke: grandezza e fragilità
di Stefano CaffarriLo dicono, i vecchi ciclisti che salgono con la pedalata lunga, in sella alle loro Bianchi in acciaio e il 53-42 alla moltiplica: Quando rientri dal giro, prima di tutto un bicchiere di rosso. Nessuna spiegazione scientifica, niente citazioni del famoso resveratrolo, ma l’antica saggezza popolare per favorire un rapido recupero.
Non era certo a questo a cui pensava Frank Vandenbroucke, talento e sregolatezza del ciclismo belga, quando brindò alla sua vita con un Petrus ’61 (“ho preso la bottiglia più cara della mia cantina” dice nella sua autobiografia) prima di provare a farla finita. Un’altra icona della fragilità dei grandi atleti, stritolati dall’industria sportiva se non corazzati da una forza di carattere almeno pari alle straordinarie doti fisiche.
Spesso vincente, spesso nel fango per questioni di doping, Vandenbroucke dopo averci provato almeno un paio di volte ha incontrato una fine oscura durante una vacanza in Senegal – pare – per embolia polmonare, all’alba dei suoi 34 anni.
Inevitabile, anche se un po’ retorico, interrogarsi sulla storia di questi ragazzi che con una personalità ancora imberbe raggiungono fama e fatturati da multinazionale, ma non riescono a formare il proprio spirito con la stessa vigorìa dei loro muscoli: in preda al devastante pendolo dell’esaltazione da vittoria e della depressione dell’insuccesso, spesso circondati da un fauna versicolore di consigliori senza scrupoli.
Un minuto di silenzio per un’altra vita strappata via.
3 Commenti
antonio
circa 14 anni fa - Linkmagari puo' interessare: http://settore.myblog.it/archive/2009/10/13/un-altro-pirata.html
Rispondialfredo
circa 14 anni fa - LinkI "dottori" ci hanno rovinato il ciclismo. Comunque possiamo sempre eliminarli. Basta volerlo, ma i soldi fanno gola....
RispondiLuca
circa 14 anni fa - LinkAltro che 53-42, i giovani d'oggi vanno su con la tripla...
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