Un vero maestro senza allievi: Gaspare Buscemi, vinificatore artigiano

Un vero maestro senza allievi: Gaspare Buscemi, vinificatore artigiano

di Alberto Muscolino

“Nel corso di questi anni nessuno mi ha seguito o emulato, nessuno ha abbracciato pienamente il mio progetto: resto il vinificatore artigiano, l’enologo fuori dal coro.” C’è un misto di fierezza e disincanto nelle parole di Gaspare Buscemi che è stanco di fare il Don Chisciotte enoico di Cormons, ma non vuole ancora mollare la presa, non vuole darla vinta a un sistema che non lo rappresenta.

È la prima tappa del mio passaggio a nord-est, la seconda sarà pochi chilometri più in là, in terra slovena. Ad accogliermi nella cantina del Doktor Buscemi (come l’aveva definito in un post di qualche anno fa Emanuele Giannone), c’è un motto che è anche la summa del suo pensiero: “perché quando il vino è cultura, il tempo è la misura della qualità”.

Già, perché la filosofia dell’artigiano è proprio quella di esprimere la terra nella maniera più naturale possibile: senza trattamenti chimici, senza escamotage tecnologici né pratiche omologanti, ma soprattutto senza fretta. E non potrebbe essere altrimenti, perché il tempo qui sembra dilatato, quasi come fossimo incappati in una specie di singolarità spazio temporale, in cui tutto rallenta e acquista una dimensione più umana.

Per cominciare c’è silenzio, attorno solo vigne e qualche casa, dopo i convenevoli entriamo subito nel vivo del discorso andando verso la cantina: “qui niente sfarzi e coreografie, c’è tutto il necessario per fare il vino e nient’altro!”, precisa Doktor Buscemi. Mentre si appresta ad aprire la grande porta scorrevole che ci separa dalla prima sala, sembra quasi di entrare in un hangar top secret dell’area 51. Dentro, infatti, sono custodite tutte le macchine e le attrezzature tecniche di sua invenzione (adesso è chiaro perché è stato definito l’Archimede Pitagorico del vino!).

Ci soffermiamo su una in particolare, forse la più importante: il depuratore per tappi di sughero. L’attenzione al tappo è maniacale, non solo deve avere un’ottima qualità di base, ma viene anche sottoposto al processo di sanificazione e controllato, negli anni, grazie alle operazioni di ricolmatura delle bottiglie di lungo invecchiamento.

Ma come la mettiamo con i vini spumantizzati?” – chiedo ingenuamente – “Mi vorresti dire che avrei dovuto usare quei tappi a fungo fatti di rondelle e agglomerato? Neanche per sogno! Ho trovato la mia strada anche in questo caso: un normale tappo di sughero sormontato da uno a corona! Poi ti faccio vedere…”.

Comincia a vacillare ogni certezza e intanto entriamo nella sala con i tini d’acciaio per la fermentazione: “niente controllo della temperatura?” – ci riprovo – “niente di niente! Cerchiamo solo di creare le condizioni ambientali ideali allo svolgimento dei vari processi e poi la natura fa il suo corso!” – bene, ci penso un attimo e intrepido aggiungo: “ma niente legno?” – sguardo truce del Doc, tachicardia – “certo che no! Non serve a niente! Solo acciaio e poi il vino deve evolvere in bottiglia!”.

Smetto di fare domande anche perché mi accorgo di aver toccato un nervo scoperto, delicatissimo, che riguarda la lavorazione standardizzata e industrializzata del vino, la perdita di un’identità e di un valore artigianale italiano, a favore del profitto e dei numeri. Poi c’è anche la questione del vino naturale che naturale non è, perché, nella maggior parte dei casi, viene vinificato secondo metodi industriali, generando tante contraddizioni. Il quadro è complesso, ma viene fuori la consapevolezza di fondo che l’approccio “purista” del Doc sia quasi estinto, del resto lui stesso fatica a trovare proseliti, si sente un alieno e la sua visione non trova terreno fertile (e questo si riflette anche sulle dimensioni del suo magazzino di stoccaggio che continuano a crescere…).

Eppure quello che dice non fa una piega. C’è tutta la forza e la coerenza di un’ideale che non riesce a far breccia ed è uno di quei momenti in cui parte La Valchiria di Wagner e sono pronto a sfidare gli eserciti, poi mi riprendo un attimo, è solo delirium tremens, non ho ancora bevuto nulla, fiuuu! Per fortuna intravedo la saletta degustazioni, ci sono diverse bottiglie già aperte ad attenderci e il Doc ne aggiunge altre due pescate dal frigo, si parte con quelle, sono bollicine, due vini frizzanti naturali, due Perle d’Uva:

Perle d’Uva fondo…in fondo 2014 
È ottenuto da un assemblaggio di più vitigni (pinot grigio, sauvignon clone non aromatico, friulano, ribolla gialla, malvasia istriana e verduzzo friulano) e annate diverse, presa di spuma dovuta alla fermentazione in bottiglia degli zuccheri delle uve (nessuna aggiunta), chiuso con tappo a corona.

Di un bel colore aranciato torbido come una doppio-malto non filtrata, ha una bollicina fine e cremosa e al naso note agrumate, pesca, ananas, fieno e lieviti. In bocca è rotondo ed equilibrato senza picchi di sapidità o di acidità. Va giù dritto e veloce, è chiaramente una bevuta appagante senza troppe velleità.

Perle d’Uva 2004
Anche in questo caso niente zuccheri aggiunti, ma solo quelli naturalmente presenti nel mosto. È assemblato con gli stessi vitigni del fratello minore, ha 10 anni di affinamento in più e due annate specifiche in cuvée: 2002 e 2003. Al momento dell’apertura colpo di scena: sotto al tappo a corona spunta quello di sughero! Nel calice la versata è d’oro colato e delicato perlage, metto subito al naso e il bouquet è strepitoso: accenni di idrocarburi, albicocche mature, miele, agrumi, erbette aromatiche, frutta tropicale, mineralità, e continua a cambiare. In bocca è elegante, pienamente cremoso, la bolla è perfettamente fusa nel corpo del vino, è molto equilibrato e persistente da far impallidire tanti blasonati metodo classico. Il Doc dice che la grande differenza sta nel raccogliere uve pienamente mature, ricche di complessità e non “crude” al solo fine di ottenere basi di grande acidità. Infatti l’equilibrio si mantiene meravigliosamente nel tempo, il vino non cede di un passo, ma acquista complessità e struttura. Prezzo scandaloso (ops…l’ho detto!)

Prima di passare ai fermi il Doc ci tiene a precisare che le bottiglie sono aperte da almeno due settimane e che non danno nessun segno di cedimento. Sono scettico, proviamo.

Braide Bianco 2017
Assemblaggio di diversi vitigni (pinot grigio, sauvignon clone non aromatico, chardonnay e vari) che, ça va sans dire, fa solo acciaio e bottiglia. E’ un vino che punta sulla facilità di beva, con una bassa gradazione alcolica di 12%, struttura più esile, slanciata e profumi meno articolati e più freschi di finocchietto, lavanda, mango e mentuccia. Pericolosamente piacevole, può finire in un attimo.

Alture Rosso 2007
Un merlot (con piccola percentuale di cabernet sauvignon) di una grande annata, deliziosamente rotondo e centrato sul frutto maturo (prugna e lampone). L’evoluzione, anche in questo caso, regala grande equilibrio, tannini soffici, spessore e consistenza in bocca, mantenendo sempre un’eleganza che non lascia spazio alle piacionerie tipiche del vitigno. Lascia in bocca delicate sensazioni balsamiche e lievemente amaricanti. L’anima leggera del merlot.

Esperienze 1988 da Uve Verduzzo – Ossidazione Estrema
In etichetta si legge: ”una bottiglia coricata troppo presto e molto presto rimessa in verticale per evitare l’uscita del tappo sotto la spinta di una pressione in aumento con il crescere della temperatura del vino. Una lenta ossidazione, che dura da allora, dovuta allo scambio gassoso attraverso un tappo di sughero meno ermetico perché non bagnato dal vino”. Un errore, insomma, ha generato un risultato straordinario, apoteosi dell’evoluzione ossidativa per un vino NON liquoroso.

Schermata 2018-06-28 alle 20.41.19

Il verduzzo, infatti, sembra aver mutato la sua natura in uno sherry, in un marsala, da cui prende tutta la gamma olfattiva: mallo di noce, fiori secchi, caramello bruciato, dattero, liquirizia, frutta secca, erbe medicinali. In bocca è ancora fresco e sapido, avvolgente e di una persistenza senza fine, ma soprattutto è un vino da 10,5%! In una sola parola: disarmante!

avatar

Alberto Muscolino

Classe '86, di origini sicule dell’entroterra, dove il mare non c’è, le montagne sono alte più di mille metri e dio solo sa come sono fatte le strade. Emigrato a Bologna ho fatto tutto ciò che andava fatto (negli anni Ottanta però!): teatro, canto, semiotica, vino, un paio di corsi al DAMS, vino, incontrare Umberto Eco, vino, lavoro, vino. Dato il numero di occorrenze della parola “vino” alla fine ho deciso di diventare sommelier.

9 Commenti

avatar

Igino

circa 6 anni fa - Link

Meno male che ogni tanto qualcuno ri-scopre Gaspare Buscemi. Un genio. Un altro che lo scoprì a suo tempo e lo cito' più volte è Veronelli. Scusate se è poco.

Rispondi
avatar

Marcovena

circa 6 anni fa - Link

..mi associo, bravo Alberto che riporta l'attenzione (che stra-merita) su un grande Artigiano...sopratutto ora in cui sono tutti pronti a saltare sul carro (vincitore) del vino naturale. Gaspare sì che è uno vero..peccato la scarsa reperibilità dei suoi gioielli (...E il mito cresce!). A proposito qualcuno può aiutarmi a trovare il Verduzzo Ossidazione estrema???

Rispondi
avatar

Alberto Muscolino

circa 6 anni fa - Link

Ciao Marco, grazie! Quando si fanno incontri di questo valore bisogna necessariamente scriverne! Per il Verduzzo se riuscissi ad andare direttamente in cantina ne troveresti a volontà, purtroppo è un vino che fa breccia difficilmente, ma è di una grandezza impareggiabile!

Rispondi
avatar

luis

circa 6 anni fa - Link

Tutte le volte, poche purtroppo, che ho bevuto i suoi vini sono rimasto esterefatto: mai banali, sempre con qualcosa da raccontare. Piccoli capolavori. Di fronte a Gaspare Buscemi ci si può solo inchinare.

Rispondi
avatar

Alessandro

circa 6 anni fa - Link

Qui dalle mie parti produrre vino come il "genio"Buscemi e la normalità,come dovrebbe essere nel produrre vino,rifermentazione in bottiglia,tappi a corona e via,i tappi di sughero servono solo ad alzare il prezzo è molte volte butti via il vino,il problema è che in Italia ormai fa notizia uno che vinifica normalmente,come si dovrebbe, senza aromi,autoclavi e sofisticazioni varie,le cantine fanno quasi paura sembrano stabilimenti chimici,chimica che poi il consumatore si ritrova nel bicchiere,magari anche a prezzi alti,sempre con l'aiuto del solito gran sommelier di turno che ci racconta quanto è buono il prosecco autoclavato o altre schifezze.Spero che questo Buscemi oltre ad un vino normale abbia anche dei prezzi normali e non da gioielleria,altrimenti solo buffonate per far soldi.

Rispondi
avatar

Capex

circa 6 anni fa - Link

Condivido

Rispondi
avatar

Alberto Muscolino

circa 6 anni fa - Link

Ciao Alessandro, ti assicuro che ho trovato i prezzi fin troppo bassi per alcune bottiglie con diversi anni sulle spalle e in splendida forma! Provare per credere ;)

Rispondi
avatar

antonio cosmi (antonellino)

circa 6 anni fa - Link

La semplicità fatta persona e metodo di lavoro. Credo che sia il punto di congiunzione più vicino tra artigianato e arte. Purtroppo riusciamo a prendere solo una minima parte e in piccole dosi la sua sapienza, servirebbe più coraggio. Inconscienza quasi.

Rispondi
avatar

Marcovena

circa 6 anni fa - Link

Buscemi è un grande EnoArtigiano che fa grandissimi vini a prezzi che dire onesti è poco...un esempio caro Alessandro?? Perle d'uva '07, dieci anni dieci sui lieviti 16euro! Che ne dici??

Rispondi

Commenta

Rispondi a Igino or Cancella Risposta

Sii gentile, che ci piaci così. La tua mail non verrà pubblicata, fidati. Nei campi segnati con l'asterisco, però, qualcosa ce la devi scrivere. Grazie.