Un nuovo sommelier dopo il covid? L’intervista a Davide D’Alterio e Simone Lo Guercio

Un nuovo sommelier dopo il covid? L’intervista a Davide D’Alterio e Simone Lo Guercio

di Sabrina Somigli

Il virus dall’oggi a domani ha stravolto tutto, ed ora che futuro mi si  prospetta? La domanda ce la siamo fatta tutti, ed io non contenta,  la rivolgo a mia volta a due colleghi sommelier di tutto rispetto: Davide D’Alterio, sommelier presso Enoteca Pinchiorri, vari concorsi vinti, insomma tra i bravi sul serio e Simone Loguercio, sommelier presso Konnubio a Firenze e giusto il miglior sommelier d’Italia nel 2018.

Per noi sommelier, o più in generale per il personale di sala qualificato, la domanda di cui sopra, è ancora più rognosa ed ha a che fare non solo col futuro, ma col presente stesso. Senza un ristorante abbiamo sempre ragione di esistere come categoria professionale?  Con i ristoranti chiusi, non esistono sale, e non esistono clienti da servire.  Un cuoco resta un cuoco purché vi sia una cucina e non necessariamente deve essere quella di un esercizio commerciale.

Un cuoco può creare e dare gioia anche fuori da un locale pubblico. Altra storia noi personale di sala, altra cosa noi sommelier professionisti.  Addetti a creare piacere (e a riceverne indietro tanto dai clienti soddisfatti),  senza un ospite con cui creare un feeling  serviamo a qualcosa? Lo chiedo a Davide D’Alterio.
D.D.: Questa è la domanda ancestrale, che ora si palesa in tutta la sua essenza. Posso dirti che in questo momento non sento sminuita la mia identità professionale, anzi. Tu sai che esistono anche sommelier che non operano nel settore ristorativo, ma che si occupano esclusivamente della comunicazione o della didattica.  In questo momento noi sommelier che al contrario il vino lo comunichiamo al tavolo, forse siamo più attivi e visibili del consueto nella nostra azione di comunicazione, potendo utilizzare i canali social per esempio.

E da questa situazione stanno emergendo dei veri talenti comunicativi tra i sommelier. Questo momento può essere quindi un trampolino di lancio e forse significare  più opportunità lavorative nel futuro.

Ad esempio, dopo l’annullamento del Vinitaly, alcune aziende per farci assaggiare le nuove annate ci spediscono i campioni; l’assaggio diventa “virtuale” e condiviso sui social.  Quindi nella situazione difficile alla fine può emergere una nuova forma di collaborazione o di comunicazione del vino come in questo caso

A proposito di comunicazione, adesso on line è un susseguirsi di virtual tasting: ai comunicatori abituali si sono aggiunti anche altri, tra cui i sommelier di sala, che mettono a disposizione di tutti, gratuitamente, il loro sapere e la loro esperienza, e questo è sicuramente un aspetto lodevole. Simone forse ci stiamo conquistando uno spazio anche noi nella comunità fuori dalla cerchia degli esercenti?
S.L.G.: Per me è un bene comunque che si parli di vino, poi ognuno di noi può scegliere chi ascoltare: tutti sono liberi di avere la parola, e noi dal canto nostro siamo altrettanto liberi di non ascoltare ciò che viene detto. Sotto questo aspetto i social hanno un carattere democratico. La platea social a cui ci riferiamo adesso noi sommelier di sala è certamente più vasta, ma è diversa, prima di tutto perché non la vediamo. A me piace il contatto e quindi raccontare una bottiglia davanti a uno schermo all’inizio mi è sembrato per lo meno strano. Però noi sommelier siamo comunicatori, questo è il nostro lavoro, per cui alla fine ogni mezzo è utile pur di svolgere la professione.

Poi c’è quell’aspetto infingardo della condivisione.
S.L.G.: Assolutamente. Ti dirò che in questo momento, a casa, faccio fatica a bere da solo. Se apro le bottiglie lo faccio per lavoro, perché l’azienda mi chiede il parere sulla nuova annata o su quel campione, ma ciò che mi manca è la condivisione. Tant’è che ho iniziato a condividere le bottiglie aperte con i vicini; e in quel momento quel vino diventa migliore, mi dà una gioia ancora maggiore. In cambio ottengo fette di ciambellone, barattoli di marmellata..insomma non è male tutto sommato.

Il servizio del vino, nonostante lo sforzo e la volontà di molti di noi, di personalizzarlo sempre di più,  di costruirselo a misura di sé e del locale, conserva comunque dei riti. Una gestualità che non ha nulla di fanfara celebrativa. I gesti che compiamo sono i gesti che quel vino che noi conosciamo richiede. Le nostre azioni hanno un significato preciso, ovvero rendere quel vino ancora migliore, perché servito nel bicchiere più adatto, alla giusta temperatura,  in quella quantità ottimale, perché decantato, perché suggerito a un cliente che si è affidato a noi completamente.

Se davvero, come si vocifera, occorra “ripensare” la ristorazione nel post pandemia, mi chiedo, anzi lo chiedo ancora a Davide, pensi che in una ottica di “revisione” della proposta ristorativa, si possa fare a meno di queste gestualità?
D.D.: Situazioni ristorative come Enoteca Pinchiorri, ma come  molte altre realtà in Italia e nel mondo sono il risultato a monte di menti geniali e frutto di un lavoro di squadra meticoloso che considera ogni sfumatura del servizio, compreso quello del vino. Quindi se necessario troveremo il modo di servire il vino con le dovute cautele, ma senza perdere la magia del vino, perché al ristorante il vino, grazie proprio all’esperienza del sommelier diventa una magia. Quindi perdere il rito e la gestualità non credo sia la mossa più adatta per questo tipo di ristorazione.

Per Simone il ripensamento tocca più altri aspetti, direi davvero auspicabili e credo anche efficaci nel breve periodo.
S.L.G.: La sala mi manca, perché quello è il mio palcoscenico; poi c’è tutto il prima, per arrivare al servizio c’è tutta la preparazione a monte ma poi il momento bello è proprio il servizio stesso. Mi manca il rapporto con le persone, si, ma devo ammettere che tutto questo tempo a disposizione, inaspettato, mi fa fare cose  che in condizioni diverse non avrei potuto fare. Ripensare al servizio di sala, come del vino, la vedo difficile, le procedure sono frutto di tanto impegno e tante  ore di lavoro spese e fino a ieri hanno funzionato. Anche volendo modificarle ora è impossibile, perché in questo momento nel centro fiorentino manca la risorsa principale, ovvero il cliente che in larga parte è clientela straniera. Quindi ora ci vorrebbe un ripensamento sul centro fiorentino piuttosto che sul servizio di sala. Sarebbe bello che i fiorentini si riappropriassero del centro, ma non per noi ristoratori, per noi come comunità prima di tutto. Questo potrebbe poi significare una positività anche per noi ristoratori e una ripresa imminente, senza dover attendere il ritorno dei turisti.

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Sabrina Somigli

Chiantigiana di nascita, microbiologa di formazione, poi sommelier e ristoratrice per vocazione. Raccolgo erbe spontanee e non è colpa della laurea in scienze agrarie; amo il vermouth liscio e il brodo caldo ma non per questo so sferruzzare a maglia. Mi sono appassionata al vino più o meno vent'anni fa, quando lavoravo in Tasmania; ci rido ancora pure io, tranquilli. Credo nel bevi e lascia bere e raccontane se vuoi, ma sii breve.

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