Tutto sul Sidro italiano e del perché dovremmo berlo

Tutto sul Sidro italiano e del perché dovremmo berlo

di Massimiliano Ferrari

Il mio primo contatto con il sidro avviene, in maniera casuale e involontaria, durante una vacanza di qualche anno fa nelle Asturie, aspra terra di mele divisa fra rilievi montuosi e affaccio sul mare. È a Oviedo che scopro come il sidro, o per dirlo alla maniera asturiana la sidra, sia pressoché un istituzione, la bevanda identitaria.

Qui i sidri spiccano per un’acidità graffiante, una volatile che non fa sconti e una frizzantezza che gli viene donata attraverso un particolare modalità di mescita, ma rimando ad un esaustivo articolo già apparso qualche tempo fa su Intravino per approfondire il discorso. Fatto sta che ne ho bevuto una quantità spropositata.

È stata quindi una bella combinazione scoprire che due diverse aziende producano versioni di questa bevanda dalle radici nordeuropee, celtiche direi quasi, sui contrafforti dell’Appennino parmense. Ho voluto approfondire quindi il discorso andandole a visitare, assaggiare e fare due parole con chi il sidro lo produce appunto.

Quando si parla di sidro sono convinto che il primo errore da evitare è quello di giudicarlo con gli strumenti critici e degustativi che vengono usati solitamente per il vino. Esagerando, in maniera consapevole, possiamo dire che il sidro sta al vino come un brano heavy metal sta ad una suite per violoncello di Bach. Troppo diversi negli esiti quanto distanti nella forma e nella sostanza.

Il sidro è sì un fermentato, alla pari del succo d’uva, ma di un frutto, la mela, di cui esistono stimate circa 7.000 varietà, con caratteristiche proprie, lontane da quelle di un acino d’uva. Il sidro possiede un timbro proprio, una voce ruggente, che poco hanno da spartire con il liquido che si ottiene dalla vitis vinifera.

Inoltre, mentre con il vino si riesce a mantenere una continuità seppur traballante durante le diverse annate, nonostante l’epoca climatica in cui siamo immersi, mantenere la barra dritta con il sidro diventa complicato. “Ogni anno il sidro che si ottiene può essere totalmente diverso da quello della stagione precedente”, mi spiega Marco Rizzardi, vignaiolo in quel di Crocizia e da qualche anno abile sperimentatore con i fermentati di frutta. Marco è uno dei due produttori di sidro che ho incontrato in un paio di scorribande appenniniche, l’altro è Filippo Valla dell’azienda Tre Rii, per approfondire il discorso e capirci qualcosa di più sul mondo-sidro.

Il sidro in queste valli aveva una sua ragion d’essere, si faceva e si beveva molto più diffusamente di adesso. Poi, come spesso succede, gli eventi prendono una loro piega del tutto indifferente e il sidro lentamente ha iniziato a sparire.

Un primo spartiacque è stato il periodo fascista che, per favorire il vino come simbolo di un’identità agricola nazionale, vietò la produzione di qualsiasi fermentato di frutta al di sotto di una certa gradazione alcolica. Quindi fare sidro divenne attività fuorilegge.

Il Dopoguerra vede poi l’affermarsi di importanti conglomerati che iniziano su scala industriale la trasformazione dell’uva in vino relegando la produzione di bevande alcoliche diverse a situazioni episodiche.

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L’eroe dei due mondi, dal vino al sidro…
A Tre Rii ci s’arriva inerpicandosi su una stradina tutta buche e spaccature, scalando le marce per non rischiare di fondere il motore.

Si lascia la provinciale che porta a Corniglio e si sale su una mulattiera travestita da strada che costringe a spingersi fino a raggiungere quasi 600 metri d’altitudine.

Una strettoia diabolica fra gli angoli di due case che minacciano gli specchietti e si varca il “centro” della piccola località. Una manciata di case sparse, una trattoria come se ne trovano solo salendo in queste zone di confine, facciate in sasso, boschi che circondano lo sguardo. Tre Rii è tutta qui, con quel nome che sa di villaggio da fiaba.

All’improvviso spicca la casa torre a cui sono diretto, una targa recente recante il logo dell’azienda e qualche vecchia cassetta in legno usata per la raccolta delle mele sono gli indizi che sono nel punto giusto.

È qui, in questo angolo di Appennino parmense, a cavallo fra Val Parma e Val Baganza, che Filippo Valla ha deciso di piantare la propria bandiera e diventare produttore di sidro. Ma Filippo è stato anche tanto altro. La sua è una bella storia che vale la pena raccontare.

Diplomato in Enologia a Milano, svariate esperienze al di là e al di qua dell’Oceano e quindi Stati Uniti, Australia, e poi Franciacorta. Ad un certo punto rientra a casa e rileva una bottiglieria storica nel centro storico di Parma. Una volta chiusa l’esperienza come oste torna infine nella valli natie come consulente per alcune realtà vinicole.

Galeotto fu il melo, così si potrebbe sintetizzare la seconda vita di Filippo.

È stato infatti il nonno di Filippo a metterlo sulla strada del sidro di mele, raccontandogli che la tradizione del vén’d pomm, questa la sua versione in dialetto, qui in Appennino era ben radicata.

Addirittura, mi racconta, ai tempi della sagra veniva eseguita una sfida in piena regola tra parenti dove si cercava di indovinare quale fosse vino di mele e quale vino d’uva.

La cosa curiosa è che Filippo non aveva mai assaggiato un bicchiere di sidro prima di decidere di produrlo. “No, mai bevuto prima!”, mi confida.

Caso vuole che il nonno oltre ad aneddoti e racconti gli lasci in dote anche un podere sul Monte Montagnana, 80 ettari di bosco ceduo e qualche prezioso melo selvatico che fanno  inevitabilmente pendere l’ago della bilancia.

Fare sidro, il vén’d pomm, quello che i vecchi ricordano come il vino dei poveri, il vino della montagna. Qui la vite non c’era sia per questioni climatiche che economiche. A certe altitudini, un tempo, la vite non cresceva e quindi occorreva un sostituto, una panacea contro la mancanza di vino. Inoltre mantenere una vigna e produrre vino aveva un costo, in termini di denari e tempo, che i contadini di questi luoghi non si potevano permettere. Non scordiamoci poi che la vendemmia era l’ultima incombenza alla quale ci si dedicava, prima c’erano le bestie, la legna da fare per l’inverno, i raccolti, quindi i pochi filari, per chi li possedeva, erano per esclusivo uso domestico e di autoconsumo.

E allora perché non trovare un altro frutto, bisognoso di meno cure, ugualmente produttivo per farne una bevanda fermentata assimilabile al nobile liquido vinoso?

E quindi vén’d pomm fu.

Alla domanda su quali sono le varietà di mela che raccoglie Filippo fa spallucce. “Sinceramente non lo so”, mi rivela sornione, “non mi interessa tanto sapere quale tipo di mela uso, questo è un ragionamento proprio del produttore di vino. Quello che voglio far emergere con il mio sidro è un’idea di territorio piuttosto che la varietà di frutto utilizzata.

Il desiderio è quello di mettere un territorio in bottiglia non una tipologia di mela. Quindi sidro della’Alta Val Baganza e Alta Val Parma piuttosto che un generico sidro di mele. Anche il sidro cerca una propria via di riconoscibilità territoriale.

A metà settembre si parte con il fuoristrada, si gira per strade sterrate, faggete e boschi, alla ricerca dei meli selvatici che ci sono in zona e si raccoglie. “Ora c’è anche qualche anziano della zona che, venuto a conoscenza del mio lavoro, mi da la possibilità di raccogliere le proprie mele.” 

Il lavoro di Filippo comincia ad essere conosciuto e le sue fermentazioni attirano anche stuoli di birrai incuriositi dai suoi sidri. Birre acide, grape ale, fermentazioni di frutte miste. Anche il mondo brassicolo sta conoscendo sconfinamenti e meticciati con altre materie prime.

Ma fare la birra è un’altra cosa, lì la cosa fondamentale è l’acqua, sentenzia lui.

Filippo produce due tipologie di sidro, una secca ed un’amabile con un residuo zuccherino più spiccato rispetto all’altro. “Ma chiamarlo amabile non mi piace, rischia di confondere le idee. Devo trovare una dicitura diversa.

L’ultima creazione di Filippo, in ordine di tempo, è un sidro di pere in versione metodo classico. Lo assaggio dalla vasca e la prima impressione è positiva.

Prima di salutarmi Filippo mi regala un assaggio di un’altra sua creazione, l’idromele, forse la bevanda fermentata più antica del mondo. Prodotto con miele millefiori è una bevanda delicata, nonostante i quasi quindici gradi di alcool, con la pungenza alcolica ben temperata dalla rotondità del miele. “Pensa che un ristorante a Parma me lo chiede per abbinarlo con i formaggi” mi svela Filippo.

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I sidri punk di Crocizia
Scendendo una manciata di chilometri, appena sopra il paese di Langhirano, terra eletta del prosciutto di Parma, si trova la strada che conduce a Crocizia. Toponimo storico oltreché nome della cantina, Crocizia sembra sospesa fra boschi e cielo, nascosta in un angolo di Appennino dove il tempo sembra battere ritmi diversi nonostante la distanza dal centro urbano sottostante sia minima.

I vini di Marco Rizzardi si conoscono da tempo, rifermentati in bottiglia quando farli non era ancora l’ottuso comandamento di ogni cantina, testimoni di una cultura vinicola tipicamente emiliana e di un fare naturale senza sconti.

Poi nel 2013 scocca la scintilla di produrre sidro. Il progetto non nasconde motivazioni spirituali, semplicemente ci sono alberi da frutto sparsi nel vigneto dietro la cantina e l’idea prende corpo velocemente, perché non usare quella frutta per fare qualcosa che non siano marmellate o torte della nonna?

Le prime prove sono pura pratica artigianale, con una produzione al limite del confidenziale di tre damigiane. Ma l’appetito vien mangiando come si dice e gli anni successivi vedono la produzione aumentare.

Oggi sono tre i sidri che si producono a Crocizia. Il Ciderpunk, una miscela ottenuta da tipologie di diverse mele che nel frattempo si sta cercando di censire. Il B-Side, sidro di sole mele a buccia verde, del quale ho assaggiato la 2017 e la 2018, versioni con esiti antitetici fra loro. chiaro, limpidissimo, profumato di fiori il primo quanto ricco nel colore dorato e dal gusto pieno e scalpitante il secondo. Il Lady Perry è invece facilmente intuibile un sidro di sole pere. Un sidro quest’ultimo che mi ha fatto sobbalzare sulla sedia, con una parte acida che ricorda una lambic e un dosata sensazione dolce che smorza il sorso tagliente.

Il processo per produrli è piuttosto elementare se vogliamo. Si raccolgono le mele, solitamente le varietà tardive intorno a fine ottobre, si pressano, dopo di che la pasta che si ottiene viene a sua volta torchiata. Ottenuto il succo, lo si pone in damigiane di vetro e lì inizia la fermentazione fino a primavera. Imbottigliato con una parte di zuccheri residui compirà una rifermentazione in bottiglia. Tutto qui. Pura attitudine punk, senza scorciatoie o manipolazioni.

Il laboratorio alchemico di Crocizia si compone anche di altri esperimenti, come li chiama Marco. Ad esempio sidri dove ad una base di mele è stato aggiunto succo di amarene, un altro viene prodotto solo con mele cotogne, “su suggerimento di un amico americano”.

Ma la sorpresa della giornata deve ancora arrivare. Marco scompare veloce e torna con una bottiglia senza etichetta, dove sfavilla all’interno un liquido che tende al corallo. Con una rapida stappatura a la volée l’incognita bevanda entra nel bicchiere. Colore da rosato meridionale, naso intrigante e il rapido sorso che butto giù è una combinazione di tannini fitti, misurata dolcezza e acidità fruttata. La sorpresa esplode quando scopro che nel mio bicchiere c’è un sidro di soli prugnoli selvatici, frutti boschivi simili a piccole susine molto diffusi in  queste valli appenniniche.

Chiamiamoli pure esperimenti ma, assaggiandoli, si trova una loro ragion d’essere, liquidi con un equilibrio, alcuni giocati su note più tanniche altri dove la bocca è sollecitata da riff amaricanti e acidi, ma tutti dotati di bevibilità e scorrevolezza. Che il futuro prossimo del bere passi anche da queste fermentazioni alternative?

Le incursioni fermentative a Crocizia trovano inaspettatamente alleati anche a tavola con la tradizione alimentare di queste contrade emiliane, per esempio con pane e salame o qualche scheggia di Parmigiano-Reggiano che Marco mi presenta sulla tavola dove continuano le chiacchiere e si scolano bicchieri dei suoi sidri.

Gli abbinamenti è un altro campo di gioco dove credo che i sidri possano dire la loro. Hanno acidità, giusta dose tannica, una effervescenza che da respiro alla bocca, insomma ha le carte in regola per giocare una degna partita a tavola.

Gli ultimi anni hanno visto una riscoperta del sidro di mele e di pere e di altri fermentati, si comincia a trovarne eccellenti versioni in qualche illuminata carta dei vini e in qualche ristorante stellato dove, insieme a sakè e altri fermentati, si sta facendo faticosamente strada in mezzo ad una giungla alcolica. Nonostante tutto gli stereotipi e falsi miti che gravitano intorno ai fermentati di frutta è ancora alta. Purtroppo è un prodotto ancora poco e male comunicato da chi dovrebbe e la dittatura di vino e birra è dura da ribaltare.

Scendo i tornanti che mi riporteranno in pianura, nel baule qualche bottiglia di entrambi i sidri che mi faranno compagnia nelle prossime settimane e la convinzione che il futuro apparterrà sì al vino, da bevitore me lo auguro, ma che nuovi prodotti verranno richiesti, bevande sperimentali che coniughino bevibilità con una componente alcolica meno accentuata, intrecci di fermentazioni fra frutti diversi, abbinamenti che spingano sulla diversità con kombucha, sparkling tea, miscele di tè a sparigliare le carte, tavole dove il vino possa cedere in qualche occasione il proprio scettro anche a qualche liquido ribelle.

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Massimiliano Ferrari

Diviso fra pianura padana e alpi trentine, il vino per troppo tempo è quello che macchia le tovaglie alla domenica. Studi in editoria e comunicazione a Parma e poi Urbino. Bevo per anni senza arte né parte, poi la bottiglia giusta e la folgorazione. Da lì corsi AIS, ALMA e ora WSET. Imbrattacarte per quotidiani di provincia e piccoli editori prima, poi rappresentante e libero professionista. Domani chissà. Ah, ho fatto anche il sommelier in un ristorante stellato giusto il tempo per capire che preferivo berli i vini piuttosto che servirli.

6 Commenti

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Tommaso Ciuffoletti

circa 4 anni fa - Link

Applausi.

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Carlo

circa 4 anni fa - Link

Decisamente notevole!

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Alex

circa 4 anni fa - Link

Ottimo articolo sul nostro (ottimo) Sidro

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Vera

circa 4 anni fa - Link

Ho sempre apprezzato il sidro, grazie per le informazioni

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Elena

circa 4 anni fa - Link

Adoro il sidro. Mi piace saperne di più. Grazie

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Massimiliano

circa 4 anni fa - Link

Grazie a te!

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