Tutto quello che sappiamo sul Porto

Tutto quello che sappiamo sul Porto

di Samantha Vitaletti e Emanuele Giannone

È molto difficile trovare, e ancor più imbattersi per caso, in letteratura ambientata a Porto. Di contro, è molto facile trovarne di ambientazione lisboeta. Porto e Lisbona, due città dove il senso di malinconia, ma forse anche più quello di commozione, si avvertono nitidamente. Sono solo di qualità e di intensità diverse. Se si dà per buono il fatto che possa esistere una scala di tonalità della malinconia, allora si può dire che a Lisbona è vivace, è accesa, è musicale, quasi attesa e, in fondo, proposta anche dai cataloghi turistici (non è forse a cidade da saudade?) tanto da non destare più preoccupazione. È un modo d’essere, affascinante, che c’è e ci sarà sempre.

A Porto è diverso, quella che si respira è una malinconia in continuo divenire, più silenziosa, è uno scricchiolio, un ticchettio appena percepibile, una melodia intensa accennata sottovoce. È malinconia che non disturba affatto né il bello, né lo svolgersi della quotidianità. Fa venire voglia di indagarla sempre di più perché sembra che si rinnovi di continuo e che dietro l’apparire nasconda molto altro. Proprio come il Douro e le sue infinite increspature.

È difficile trovare letteratura ambientata a Porto, ma ce n’è. C’è, per esempio, un libro di Antonio Tabucchi, scrittore pisano che in Portogallo trascorse buona parte della sua vita e ci morì, dal titolo “La testa perduta di Damasceno Monteiro”. La storia si sviluppa intorno a un omicidio efferato avvenuto a Porto, con tanto di decapitazione e ritrovamento della testa nel fiume, ma è anche, e forse prima di tutto, un pretesto per descrivere nella maniera più sentita e vicina al vero possibile quella che può essere definita l’anima della città.

Città che al primo sguardo non ispira fiducia, lancia segnali di cupezza, quasi a sconfinare nella tristezza, ma che, a volerla conoscere dietro l’apparenza, rivela un tesoro di possibilità. In tutto il romanzo il vino è presente, si beve Alvarinho, Champagne, spumanti nazionali e bianchi della fattoria. Il Porto, però, compare solo alla fine del libro, nel momento in cui il caso viene risolto e giustizia sta per farsi. Questo non può che voler dire che anche nella percezione comune il Porto appartiene alla Porto bella e luminosa, quella che sa come aver cura della storia e della tradizione e come offrirle al forestiero, al visitatore, al curioso. Cupi e diffidenti, se non addirittura arcigni, saremmo stati noi se non avessimo colto l’invito all’assaggio, passeggiando dalla Ribeira (“la gloriosa Ribeira che appartenne agli artigiani, ai bottai, al popolo minuto dei secoli passati, adagiata sulle rive del Douro…”) a Vila Nova de Gaia attraversando il ponte Dom Luiz sul Douro (“vi navigano fin dai tempi più remoti i caratteristici Rabelos carichi di botti di rovere, portando alle cantine della città il prezioso nettare che, elegantemente imbottigliato, prenderà le vie dei più lontani paesi del mondo…”).

Il Porto è lento. Invoglia alla lentezza e ne soddisfa il desiderio. È un piacere fuori tempo nel quale la ratta contemporaneità, fatta per il consumo rapido, quindi di istanti e immagini in rapida successione, svapora; e in suo luogo aumenta la durata, che si dispiega come tempo e spazio in opposizione alla velocità. Noi siamo portòfili e con ciò dromofobici: perché crediamo, come uno scrittore ceco in voga negli anni della nostra gioventù e oramai non più, che vi sia un legame intimo tra lentezza e memoria, tra velocità e oblio; e che il grado di velocità sia direttamente proporzionale all’intensità del dimenticare. Il Porto e i suoi fratelli fortificati sono vini per la memoria e per la ricordanza, che non è la rappresentazione di una cosa ma il riflesso, la ripetizione, la ripercussione di un’immagine antica, come disse uno che ne sapeva molto.

Il Porto è il vino creato per rifugiarsi nel pomeriggio, coprirsi con il silenzio e così cercare le parole migliori. Il Porto è fatto per ascoltare i passi dei vecchi che a certe ore attraversano la strada e vanno a trascorrere le giornate nel caffè di fronte. Parlò così un altro che ne sapeva molto. E disse ancora: “Porto è solo la piccola piazza dove da tanti anni imparavo metodicamente ad essere un albero, cercando di diventare sempre più simile alla terra oscura del mio stesso volto”.

Il Porto è come la città. Ne condivide lo spirito esasperato e virile che ha reso il granito scuro delle sue pietre specchio della propria anima; lo spirito di città che ha ereditato dall’asprezza del suolo e dal suo fiume una solidità e una lentezza che conducono alle altezze dell’arte e del cuore. Anche queste sono parole di uno che ne sapeva molto.

Porto ha lunghe braccia magre, protese verso l’altra sponda del Douro. Un braccio è femmina, si chiama Maria Pia come una regina consorte giunta da Torino, sorella dello Statuto quale figlia del re che lo promulgò e di cui si fa tutti conoscenza alle Medie; il re perennemente indeciso tra riformismo e reazione e morto esule proprio qui a Porto dopo un frontale con Radetzky a Novara – al volante sedeva tale Chrzanowski – e l’abdicazione. Un altro braccio è maschio, porta il nome – Luis I – del Bragança che sposò la sorella dello Statuto e si allunga dalla Ribeira verso Vila Nova de Gaia, la città dirimpetto. Vila Nova è la cantina di Porto. Che le sponde sotto queste due e le altre quattro braccia siano ugualmente bagnate di Douro e di vino, lo indica chiaramente il dondolio dei rabelos ormeggiati di qua e di là a cullar pipas sopra coperta. Un tempo riscendevano il fiume dall’Alta Valle a pieno carico. Oggi sono ornamento ripario, memoria, segnaletica di cantine.

Già. Le cantine. Non erano in programma, anche perché un programma non c’era. Occasioni sì, Torre dei Chierici, Ribeira, Stazione di São Bento, Libreria Lello, Sé e crociera dei sei ponti; tutte, comunque, da intessere all’impronta sulla trama del tempo sospeso e vago, girovaghe, non prospettate. Sono successe così, come gli incontri con i cantanti e musicanti di strada, gli ubriachi, De Andrade, le osterie. Senza ricerca. Sono successe così.

Numerazione note: 1) Samantha Vitaletti; 2) Emanuele Giannone.

QUINTA DO NOVAL

Extra Dry White. 1) Sa prima di tutto di uva e poi di brina e di sole che asciuga la brina. Gusto e freschezza ciò che ne resta. 2) Verdeggia di mela, verbena, lime e oliva tenendo sullo sfondo nocciola e sesamo. Tutto a trazione anteriore, corpo e slancio, non particolarmente lungo ma pieno di verve e freschezza.

Black. 1) Dolce come è dolce un uomo dolce di natura quando è ubriaco. 2) Un Ruby tutti-frutti, tutti dolci e maturi, con il tannino che fa del suo meglio per incorsettare cicce polpe e dolci plenitudini ma soccombe. Più che un Porto, un portone.

LBV Unfiltered. 1) buono perché essenziale e avvolgente, senza strafare e senza assordare. Una lisca di sardina come struttura e intorno polpa sostanziosa e gustosa. 2) Terragno e salmastro. Ampio ventaglio olfattivo con cenere, humus, fichi secchi, mallo di noce, ciliegie sotto spirito, datteri, creosoto. Bocca fresca con tannini nettanti e minuti a punteggiare il sorso. Frutta da guscio, resina, oliva, chinotto e canditi. Grande persistenza.

Silval 1996 Vintage. 1) gaudente ed elegante nel gaudio. Brillante e complesso, sfaccettato e profondo, pan di zucchero, ricciarelli e polpette al sugo, tutto in proporzione da Regina Madre: ovvero, se beve bene, beve tanto, beve a corte. 2) Grande concentrazione di aromi, comme il faut per un fortificato di quest’evoluzione, nitidi sia nel frutto, sia nei cenni terziari. Mora, uva passa, datteri, cappero e conserve di pesce, il dolce in prima battuta e il sale in seconda. Sorso compito e sobrio, fresco, ritmato da tannini piccanti. Tabacco, noce, paprika e humus a introdurre il lungo finale sapido e caldo, che chiude in dolcezze di canditi e creme.

Tawny 40 Years. 1) caleidoscopi e specchi deformanti, sembra grasso, poi sembra magro, si allarga e si dimezza, gioca di proporzioni come se trattenesse il fiato e poi scoppiasse dando fiato a una tromba. Al gusto? Quello che vuoi: dal chewing-gum all’arrosto con salsa di mirtilli. 2) Ricordi del secolo prima, roba di un’epoca lontana, um cartão postal da cidade do Porto fitto di dettagli e spunti. Frutta da guscio, sigaro, coppale, muschio, incenso e miele di castagno. Sorso trascinante per energia, potenza e pienezza, apre caloroso e seguita agitando sapori in moto vorticoso, un turbine di frutta matura e candita, sale, mollusco, crema catalana, noce moscata, timo e un rancio finissimo di fondo. In allungo riavvampa e rimanda gli aromi in loop. Ampio, ricco e solare.

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BURMESTER

Prendere posto a tavolacci sciancati e sghembi come a una partita di serie inferiore, con gusto, ché a guardar giocare e osannare sempre e solo i divi pedatori siam tutti bravi… oh no, qui c’era voglia di levità e disimpegno, di accomodarsi in leggerezza e rialzarsi leggerissimi. Così, in effetti, sarà dopo il quintetto che inizia con l’Extra Dry: 1) Un abbraccio di benvenuto imbarazzante, tremolante e sudaticcio. 2) Immediato, floreale, aereo: un’oliva del Martini ma meno accessoria, verace, un’oliva trascendentale. E poco più. A seguire il Ruby: 1) Morbido come un cuscino inamidato col marshmellow. 2) Badiale, gioviale e caloroso con prugne e more in confettura, terra e croccante, tannini solidi a impalcare il sorso. Quindi il Rosé: 1) Oh sì. Rosé. Chi gli avrebbe dato due monetine? Ne ha vinte quattro! Petali da schiacciare sul palato e chiodi di garofano da succhiare, su lisca e dietro le quinte di sardina. 2) Pericoloso per la sfrontata bevibilità, brioso e goloso di rosolio e crema, profumato di rose e lamponi. A seguire il White: 1) Il bianco ingrassa. Se sa di meringa e sardina e cornetto e arrosto di vitello direi che si possa definire complesso. 2) Morbido e senza cascami, intenso nei profumi d’anice, cedro, pastiglie Leone alla verbena, fresco e sapido. Per finire il Tawny: 1) Tawny Manero che arriva e dice “Hey!” col pollice alzato. Dal cacao alla curcuma ma non è questo quello che conta. Avvolge, diverte e rellena. E nel rellenar m’è dolce questo mar. 2) Sapido e pastoso, con note dominanti al naso di noce e caramello, goloso, e stratificato al palato con amarene, liquirizia, marzapane, anice e miele di castagno.

KOPKE

Dry White. 1) Acqua di olive. 2) Qui ci rivelano la ricetta del Porto in bianco: se la fermentazione viene interrotta dopo tre giorni, ecco fatto il Dry. Dopo cinque o sei si va al quadro successivo. Qui prevalgono gli aromi primari didascalici, mele e fiori, creme e altre morbidezze e pastosità, tutte lautamente imbevute di alcol. Ha corpo in ridondanza, incede lasco e molle, con poco nerbo.

Fine White. 1) Polpa e oliva, corteccia. Sale, corpo. 2) Cambiano ritmo e motivo. Mela disidratata, pepe bianco, mandorle, cedro candito e anice stellato. Ripropone la morbidezza del primo ma con slancio, profondità e persistenza adeguati. Freschezza e sapidità a stemperare la dolcezza d’approccio.

Vintage 2006. 1) Nocciola e mirtillo e lieviti. Sale e sinuosità marine e terrestri. 2) Suggestivo e ampio, composte di mora e amarena, cenere, camino, noce moscata e corteccia. Tannini maturi e croccanti, bella presa, freschezza ingente a equilibrare lo zucchero e la sua dolcezza fondente e fruttata e a stemperare il calore, rilanciando gli aromi di frutta e spezie. Persistenza lunga e nel segno, o piuttosto nel graffio, del tannino.

Tawny 20 Years. 1) Caffè e torrefazioni, vivo, snello e corroborante. Tawny Dallara. 2) Ossidazione fine, rancio di pulizia e dettaglio rimarchevoli. Mallo di noce, legni aromatici, nocciola, tabacco, china, tamarindo e rabarbaro candito. Attacco fresco e grande struttura sostenuta in agilità; sale, arancia amara, noce e note ossidative in progressione e nelle caudalies, in un lento sfumare. Un lascito di sale e nocciole. Squisito.

Colheita 1978. 1) Biscottificio e olive verdi succose e piene. 2) La grande compressione aromatica risulta in un profilo austero e introverso, che si concede per sottigliezze: polvere di cacao, terra, tabacco dolce, chinotto, kirsch e borovnica. Bocca di concentrazione appassionante, svolta con grazia e grado. Lunga progressione e lenta, cenni fruttati e speziati in connubio, noce e cannella, terra e tabacco, alla distanza la nota ossidativa fusa a sensazioni fresche e sapide, delicata e durevole.

FERREIRA

Tawny. 1) Finezza, pan di Spagna, erbe varie, acetosella, zabaione e olive verdi. 2) Opulento. Composte, tamarindo, pasticceria, fichi secchi. Pieno di frutta nera matura, alcol e corpo equilibrati dalla freschezza ingente, tensione che cresce e lancia un finale da cornucopia. Una partenza a razzo, un inizio da epuloni.

Tawny 10 Years. 1) VOV e marsala, rosmarino e sassi, gesso e castagne, fine e delicato ma anche molto lungo. 2) Inversione di marcia. Serio, composto e maturo. Frutta da guscio, fieno greco, pigna e concia. Serio anche il sorso, elegante e dinamico, con tannini forti e gustosi, dapprima caldo e potente, arioso quando si attenua il calore e l’ossidazione si fa presente con un ventaglio di note sottili. Dolcezza che sfuma in una coda salata e amaricante.

Tawny 20 Years. 1) Meno immediato dei precedenti, da cercare tra i rovi. Pasticceria, farmacia con speziale. Certamente curativo. Bocca di puntaspilli, sale e salamoia con zucchero di canna. 2) Altre atmosfere, vecchie cambuse, vecchie ebanisterie, salamoie d’antan, traversine e treni, eteri e polveri, rum cake, olive e canditi. Bocca che rilancia in freschezza con rancio ben presente ma dritto, pungente il giusto, coeso agli altri aromi. Grande persistenza sapida e verde di oliva, cappero, malva e sedano. The Revenant.

Ruby. 1) Nero di seppia, more, sano, profondo e fresco di acqua di olive. Petrolio e gas. Minestre toscane di legumi. Carne e rabarbaro ed Ernesto Calindri con la giacca che sa di naftalina. Per riassumere: Erensto Calindri che ordina spaghetti al nero di seppia al ristorante della stazione di servizio, in Toscana. 2) Spigliato, divertente, estroso. Petrolio, erbe amare, inchiostro e frutta nera. Sorso coinvolgente, subito sapido, ripete il refrain d’erbe amare insieme a spezie, rabarbaro, conserva di more. Dolcezza delicata e di mero dettaglio.

LBV 2014. 1) Mare e abissi, acciughe in filodiffusione su ritmo di more di gelso e acqua di colonia. “Pronto? Pronto?” torni a chiamarlo più volte perché senti che ha ancora molto da dire. 2) Amaro, terragno, concentrato. Humus, erbe amare, felce, ceralacca, salamoia. Cavalca la dolcezza con tannini radenti e sapidità saliente a condurre un sorso pieno, fitto, dolce e fruttato ma animatissimo. Oaky e caldo il giusto, giusto in coda.

Vintage 1999. 1) Quando avverto sentore di Pedro Ximenez solitamente mi metto in fuga. Ma qui c’è corteccia, c’è il Cantabrico con tutte le alici sopravvissute, ci sono gherirgli di noce e respiri pesanti. E poi gusci, datteri e carciofi. 2) Di bene in meglio. Naso profondo, eccentrico, con malta, vinile, mora di gelso, alga, inchiostro, carciofo. Bocca dolce ma non glassata, leggera, dai connotati prettamente amari, erbe e radici. Prevalgono ancora le tinte scure. Mallo, fumo e corteccia infusi in una trama setosa. Impressione tattile energica e diffusa, progressione galoppante e chiusura con china e spezie scure. Grande vino.

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CALEM. Vini di taglio, forse sarebbe meglio dire taglia, tra curvy e oversize, di mole e gourmandise più che di slancio e droiture. Vale per tutti eccetto uno. White & Dry: 1) Fresco e di compagnia, versatile anche se forse troppo fruttato, dolce e di banana. 2) Cannoneggia a salve di banane acerbe, ananas e robinie, in bocca cannoneggia ancora e stavolta miele, creme caramel e kerosene. Naso californiano innestato su una paffuta teutonica in vacanza a Rimini, civile ma un po’ molle e timida. Lagrima: 1) Come sopra ma qui lo salvano le sardine. 2) Se sopra si cannoneggiava, qui si chardonneggia: ecco un pingue ma leggiadro pasticcere che hop-là!, saltella per la Zona Ribeirinha e dispensa crema catalana, toffee, dulce de leche, torte di mele e gelatine d’uva spina a tutti. Sorpresa: tutti i suoi dolci hanno il cuore di menta e sale. Tawny 10ys: 1) Caramella mou, menta e lonzino. Se prima c’era stato Tawny Manero, ora c’è Tawny Binarelli. 2) Un gagà di legno e composte, molta materia e buona amarezza di fondo, molta sapidità ma poco slancio. Freschezza messa all’angolo, quasi al tappeto, da zucchero e alcol. Tawny 20ys: 1) Pop corn caramellati, negroni, limone, erbe. 2) Siete vecchi di buona memoria e nostalgia del Telefunken? Ricordate Cambusa One, l’amaricante? Erbe officinali, speziatura fine e legni aromatici in evidenza con frutta nera matura, mallo di noce e demi-glace, e poi qua un chinotto, là un aranciotto. Pienotto. Simpatico. Corpo da taglia forte, dolcezza e pastosità plastiche, ben gestite in progressione. Materico e molto dolce ma mobile, dotato di sale e freschezza quanto basta per tenerlo saldamente oltre il limite del diabete mellito. Tawny 30ys. 1) Caramella Rossana, anice e finocchietto sopra un fiume di rum. 2) Grosso, grasso, erbaceo, fruttato maturo, mielato e speziato. Naso suggestivo e complesso con malto, kümmel, uva sultanina, vaniglia, vinile e spezie dolci. Il sorso ti abbindola con un’esca salata ma è un trucco, è un’ancata che ti atterra e poi ti pomicia, ti fodera di dolcezze, volente o nolente. Amore lasciati andare, sarò per te melassa e marzapane.

Tawny 40ys. 1) Minestra toscana, cappelletti e stufato. 2) Centro, finalmente! Che buono, l’acciugone! Colatura di pesce e poi caldarroste, arachidi, Sauerteig, tamarindo, sandalo, confetture di prugna e di amarene, cuoio. Bocca salata e magra, raffinata, evoluta, longilinea e nervosa. Filigrane di frutti avvolte a un rancio fine, traente e persistente.

PORTOLOGIA. Un capitolo a sé. Tra le occasioni da intessere a caso sulla trama del tempo, poteva starci anche un luogo di classe analoga a quella del Solar do Vinho do Porto a Lisbona, visitato in una puntata lisboeta di qualche anno fa. Non lo avevamo cercato ma si è fatto trovare lui.

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Dry Whites

Vieira de Sousa Extra Dry. 1) Cetrioli sottaceto aperti da qualche giorno. 2) Dal naso si imparano gli esiti della rara fermentazione lisergica: cotogna, giardiniera, latte condensato, limoncello e bottarga. Bocca compartimentata, fresca e poi dolce e poi magra e poi di nuovo dolce, dalla progressione scalare, poco graduale. Cala a fine mano il tris cera, noce e miele.

Quinta do Infantado Dry. 1) Savoiardo con acciughe, agrumi e zabov. 2) Bel ventaglio olfattivo, coinvolgente, ampio e coeso: arancia, oliva, verbena, zabaione e mandorla tostata, in profondità canfora e anice stellato. Bocca di dolcezza mimetica che evolve in sapidità infusa e freschezza istante. Tensione, calore e ossidazione dosati, progressione continua, sottigliezze in chiusura, definite e durevoli (mela, cedro, artemisia).

Dalva Dry 10 Years Old. 1) Naso timido, bocca esplosiva. Sale e tanto altro ma tutto troppo. 2) Timido e ombroso: un cenno erboso, uno salmastro. Bocca sullo stesso registro, magra, quasi incerta. Ineccepibile per la pulizia e le peculiari suggestioni aromatiche – cerfoglio, triple sec, genziana, neroli – e apprezzabile per la vena sapida; difetta di tensione e tenuta, parte e procede dimesso e chiude declive.

Correia dos Santos Heritage Dry White 20 Years Old. 1) Cappelletti in brodo di anatra, che non sai se lo stai mangiando o bevendo. Poi ti accorgi che lo stai bevendo perché, nonostante la materia e la polpa, ha una struttura d’acciaio. 2) The Herbalizer. Aneto, dragoncello, lavanda, pot-pourri di fiori, genziana e nocciole tostate. Bocca splendida, sviluppo tutto pressione e profondità, freschezza ornata di morbidezze delicate, composte di frutta, lardo, cera, un rancio finissimo. Lungo finale sapido con spezie bianche, china, affumicature e nocciole tostate. Something Wicked This Way Comes (vabbè, per capirci)

Correia dos Santos Heritage Dry White 30 Years Old. 1) Complesso e ricco, pulito, lungo, salato e gustoso. Ha due anni più di me e, obiettivamente, sta molto meglio di me. 2) Non concordo, sta meglio lei ma comunque naso fine e dai tratti nitidi, erbe fini, menta, salmastro, tabacco e mallo, frutta secca e spezie sullo sfondo: ventaglio olfattivo elegante e corale. Bocca umbratile e magra, riservata, declinata in finezza. Sapidità e freschezza infuse a condurre lo sviluppo, delicatezze tattili e gustative con pepe verde, oliva, cedro, zafferano, arancia candita, albicocca disidratata, note di tostatura e soprattutto il fine tocco di rancio a comporre un quadro a tinte tenui ma di grande impressione.

Tawny

Correia dos Santos Heritage Tawny 20ys. 1) 6) Figlio degli Eighties, più sghembo e storto ed esagerato nelle movenze. Sbuffa erbe di qua e dolcezze di là, rumina e gorgheggia e lascia il segno del passaggio. 2) Intenso e caleidoscopico. Confetture di amarene e more, oaky, canfora, cappero, dattero, fichi secchi, nocciole tostate, goudron. Una profondità che riverbera in bocca con un sorso subito pieno e molto dolce, a mo’ di sciroppo, quindi evolve leggero e presto molto e con grande definizione d’aromi, asciutto e amaricante, descrivendo nello sviluppo spezie ed erbe amare, frutta da guscio, genepy, cacao e il proverbiale, finissimo rancio. Il terziario avanzato.

Colheitas

Quevedo 1974 (imbottigliato 2013). 1) Composto e ordinato, naftalina, detersivi e pulizia. 2) Verzure, lavanda e radici, humus e mare, goudron, alghe, noce e cedro. Definizione, intensità e unità espressiva. Bocca nitida, calda in attacco e poi subito sapida, dalla progressione piana e piena di delicatezze, frutta da guscio, spezie e tamarindo su tutto, con note fumé, china e more a chiudere. Persistenza lunga e leggera.

Dalva 1985 (imb. 2018). 1) Vino dalle braccia spalancate. 2) Spessore, densità e corpo. Freschezza inattesa e noce quintessenziale. Ampio, concentrato, dorato. Si svolge piano, progressivo, di una presenza gustativa che coniuga in ordine potenza e poi finezza, lascia lo zucchero ai prodromi e sfodera presto un corroborante connubio di calore e asciuttezza. Sfuma in caudalie di erbe amare, salagione, zafferano, datteri e noce con un rancio fine, caloroso e solare di sfondo. Cover my thoughts in gold / I’m your flower, watch me unfold. Squisito.

Bulas 1996 (imb. 2015). 2) Dopo le sottigliezze, ecco uno che gioca forte. Acciuga, melassa, prugne secche e malto. Largo e caldo, un sorso di spessore. Buono e saporoso ma raffrenato nello slancio dall’irruenza dell’alcol e dalla dolcezza insistente.

Quinta do Infantado 2007 (imb. 2017). 2) Arioso, lineare, essenziale, fresco. Tanto equilibrato, cesellato, educato da non coinvolgere più di tanto.

 

ISPIRAZIONI

1. Giusto per ripassare: Antonio Tabucchi, La Testa Perduta di Damasceno Monteiro. Feltrinelli 1997

2. Il boemo passato di moda era Milan Kundera (La Lentezza).

3. Il primo che ne sapeva molto era un recanatese, il secondo questo qui (che Tabucchi tradusse in italiano):

“Mas a cidade o que tem, sobretudo, é carácter – um carácter que faz do cidadão do Porto o mais belo estilo de ser português.

Esta cidade, cujo espírito exasperado e viril fez do granito escuro das suas pedras espelho da própria alma; esta cidade, cuja gente tem uma rudeza de fala e de gestos que lhe vai a matar com o seu ódio à futilidade e à hipocrisia; esta cidade, que herdou da aspereza do solo e do cartão duro do rio uma solidez que leva às cisas da arte e do coração; esta cidade, deixai-me repeti-lo, com o seu carácter eminentemente democrático e popular, torna o resto do país com excepção do Alentejo e do Alto Douro, completamente amorfo.” (E. De Andrade, A sombra da memoria, 1993)

“O Porto é só uma certa maneira de me refugiar na tarde, forrar-me de silêncio e procurar trazer à tona algumas palavras, sem outro fito que não seja o de opor ao corpo espesso destes muros a insurreição do olhar. 

O Porto é só esta atenção empenhada em escutar os passos dos velhos, que a certas horas atravessam a rua para passarem os dias no café em frente, os olhos vazios, as lágrimas todas das crianças de S. Victor correndo nos sulcos da sua melancolia. 

O Porto é só a pequena praça onde há tantos anos aprendo metodicamente a ser árvore, procurando assim parecer-me cada vez mais com a terra obscura do meu próprio rosto. 

Desentendido da cidade, olho na palma da mão os resíduos da juventude, e dessa paixão sem regra deixarei que uma pétala poise aqui, por ser tão branca”. (Eugénio de Andrade, in Poesia e Prosa 1940-1980).

4. Nascosto tra le righe c’è anche A. Prete, Trattato della Lontananza, Bollati Boringhieri 2008.

5. Portologia: alla Ribeira, in Rua de São João 28, si trova la sede apud tripeiros del produttore e distributore Julien Dos Santos. Suoi sono i vini Heritage – Correia dos Santos, l’assortimento è completato da una curatissima e vasta selezione di prodotti di piccole quintas.

6. E giacché alle osterie si è fatto fugace riferimento, voici notre minima estiatoria, giusto due. Da sottoproletari dello spirito e del gusto, godiamo immensamente del piacere di scendere dalle stelle micheline agli stalli malandrini per famiglie in uscita domenicale, fescennini, innamorati in gita, vecchi aficionados dell’osteria di palazzo, cuoche grifagne e rauche appollaiate sull’ennesima pausa-Marlboro. Il Porto ci ha messo appetito. Lo abbiamo soddisfatto al Tá-se bem di Vila Nova de Gaia, Largo Sampaio Bruno, comida caseira e ambiance tra Kaurismäki e un dopolavoro anni ’60, raschiando il fondo di una poderosa cataplana de marisco, una sorta di satura lanx servita col talassòmetro; e alla Tasquinha dos Lóios a Porto, nel cuore della Baixa, ambientazione minimal ma riscaldata dalla grazia del personale e cucina robustamente tradizional-tripeira. Qui fu dove scoprimmo l’alheira com ovo. C’erano anche tanti bei ristoranti à-la-page, è stato tanto bello vedere i sorrisi sparati, gli sparati, le cravatte minimaliste blu in poliestere con motivi paisley, i giacchini bon ton, la cucina fusion e il fado di circostanza, veramente un gran bel vedere. A guardarlo da fuori.

4 Commenti

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Claudio Ferrucci

circa 5 anni fa - Link

Bellissimo articolo. Senza nulla togliere alla parte sulla degustazione, la parte su Porto, la lentezza e la memoria è davvero bella. Da leggere magari con un bicchiere di Porto Vintage vicino.

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Emanuele

circa 5 anni fa - Link

Grazie Claudio. Sono d'accordo anche sulla secondarietà delle note. Con buona pace dei notisti.

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Nelle Nuvole

circa 5 anni fa - Link

Che bello scritto, grazie davvero! Mi avete regalato minuti preziosi di lettura atmosferica.

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Samantha

circa 5 anni fa - Link

Grazie Raffaella!

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