Tutte le idee circolate al convegno sul futuro del vino di qualità. Quali teniamo e quali invece no?

di Andrea Gori

Si sono riuniti in Franciacorta per una giornata tutti i più influenti e informati protagonisti del vino italiano di oggi e, soprattutto, di domani per decidere insieme quale possa essere il futuro del vino di qualità. C’eravamo anche noi di Intravino ma non saprei dirvi in quale categoria (influenti? Informati?). Scopo dichiarato della riunione la produzione di un qualche tipo di documento (diremmo white paper in certi ambienti) da consegnare al mondo della politica perché faccia i propri ragionamenti in merito.

Sviscerate le tendenze in atto, il simposio ha in effetti affrontato diversi temi interessanti, cercando soprattutto di definire questioni spinose come “la qualità è legata solo alla piacevolezza” o se debba essere sempre in relazione con elementi di tipo sociale e ambientale.

Al di là delle diverse opinioni si è sentita forte in tutti i relatori l’esigenza di costruire insieme una nuova grammatica, capace di spiegare il vino ai nuovi consumatori senza rifugiarsi in tecnicismi e astrazioni, evitando tuttavia le facili banalizzazioni. L’organizzazione del Convegno promosso, lo ricordiamo, dal patron di Ca’ del Bosco Maurizio Zanella, ha suddiviso gli interventi secondo ambiti diversi: mondo della produzione, critica, blogger, mercato, stampa generalista.

Di seguito riportiamo i passaggi più interessanti dei relatori, ma ci piacerebbe molto il vostro punto di vista: nessuno come un buon commentatore è in grado di distinguere il solito bla-bla dalle idee vincenti. Enjoy!

Alexandre Chartogne, produttore di Champagne
La storia è importante ma la cosa più importante è il futuro e l’Italia non deve mai dimenticarlo. Da voi esistono le migliori condizioni per produrre il vino ma le nuove generazioni non riescono a fare tesoro del passato. Bisogna trasmettere ai figli un suolo più vivo e meno inquinato possibile: si possono fare cose straordinarie senza tornare indietro ma la certificazione non deve essere un ostacolo.

Angiolino Maule, produttore Vin Natur con La Biancara
Sono d’accordo con Alexandre: 6 anni fa sono scappato dalla moda del biologico e della biodinamica che secondo noi sono un punto di partenza e non di arrivo. Ogni anno ci finanziamo con la manifestazione Vin Natur e abbiamo cercato un metodo scientifico per studiare il suolo che è la fonte dei nostri problemi e risorsa del nostro futuro. La fertilità biologica è fondamentale. Stiamo studiando rame zolfo e altro per capire come permangono e resistono nel suolo e, con l’università di Verona stiamo approfondendo il funzionamento di lieviti e batteri. Abbiamo perso tanto tempo inseguendo la facile chimica e ora dobbiamo recuperare conoscenza. In Europa ci sono 115 milioni di ettari ma nel 5% di questo c’è vino con troppi pesticidi e metalli.

Marco Pallanti , produttore Castello di Ama
Molto ambizioso parlare di vino di qualità, soprattutto nell’ottica del consumatore che guarda al vino con altri fattori. È venuto il momento di occuparsi di etica del vino? Può darsi, di sicuro il vino del futuro dovrà essere quello che racconta il territorio e il racconto dovrà essere autentico. Il futuro è realizzare vini non solo da bere ma che siano in sintonia con la natura e le istanze bio del consumatore. Io sono ci lavoro dall”82 e ho visto il passaggio dall’enologia empirica a quella scientifica, ma oggi vedo il pericolo della troppa fiducia nella scienza con vini molto hi-tech e, all’opposto, una visione antroposofica, quasi psuedo scienza, che fa fare passi indietro alla qualità. Concludo con frase di Jayer: “bisogna conoscere bene l’enologia per poterne fare a meno”

Maurizio Zanella, Ca’ del Bosco
Noi italiani dovremmo essere uniti… Il vino di qualità richiede l’intervento di uomini, quindi naturale di per sè non può esistere. Il vino è nobile e grande quando è in sintonia con il territorio, non è analizzabile se non tenendo in considerazione il terroir, la passione e la tradizione, quella buona. Vanno valutate anche le risorse economiche e la dedizione, ma non sempre le etichette bio sono compatibili con queste istanze.

Enrico Finzi, Astra Ricerche
Ci sono almeno quattro  megatrend in atto di cui tener conto. Molto ceto medio si sta ritirando dal vino di qualità sopra i 5 euro. È un rifiuto dovuto alla scelta troppo vasta che genera solo caos. Di conseguenza non c’è più posto per tutti e non solo in Italia. Altro aspetto dovuto alla crisi è il ritorno al prodotto: c’è insofferenza nei confronti del marketing invadente, insofferenza per la retorica delle retro etichette e del modo di presentare il vino nei ristoranti e nelle enoteche. Il quarto trend è il focus dei consumatori sulle caratteristiche organolettiche del prodotto, soprattutto il profumo il cui peso e stimolo è sempre più importante del colore o di altro. Il biologico ha avuto declinazione specialistica non tanto per derive quasi religiose, ma per una sensibilità di massa verso il meno chimico. La tendenza a consumare prodotti eco e bio peró si sta riducendo. Perché?

1. se tutti sono bio, nessuno lo è: si chiama effetto todos caballeros

2. non c’è credibilità negli enti di certificazione, soprattutto in Italia e di riflesso anche di chi è certificato

3. esiste un fattore prezzo che in tempi di crisi è più grave, c’è meno disponibilità a pagare di più o lo stesso se qualità non è altissima (tutte fasce di reddito)

4. bisogna tornare a valorizzare il prodotto e la sua specificità al di lá delle caratteristiche tecniche

Dopo la contrazione economica nessuno si aspetta la crescita degli anni scorsi. L’italiano sta riducendo le aspettative, e intanto fa downsizing di sogni e bisogni. Back to basics, insomma, con una certa insofferenza per la manipolazione chimica e un ritrovato gusto per la semplicità, l’intensità del gusto e del profumo. Qualcosa che la comunicazione non può più cambiare. Ci saranno in futuro meno operatori di successo per ciascun livello e spazio per operatori con più prodotto che comunicazione.

Antonello Maietta, Presidente Associazione Italiana Sommelier
La discriminante della qualità non deve essere solo il prezzo. Si deve comunicare la capacità di un bene di soddisfare certe richieste, ma il vino non è un bene replicabile come l’acciaio o altro. Chi fa formazione stabilisce i canoni e ha una certa responsabilità, pensiamo ad esempio al concetto di torbiditá e velatura che non influenza più il giudizio come in passato. Noi proviamo a incrementare l’interesse verso il prodotto vino, ma in Italia c’è un grosso problema di distribuzione. Il consumatore è più preparato ma, al momento dell’acquisto, non trova le bottiglie: Servirebbe più dinamismo nella distribuzione con la speranza che la nuova legge sui pagamenti non crei scompiglio nei mercati.

Ian d’Agata
Il vino italiano di mode ne ha viste tante e la critica deve stare attenta a non cavalcarle: vino genuino più barrique, vitigni internazionali, autoctoni, vino dell’enologo, anfora, macerato, senza zolfo…La critica deve essere aperta all’innovazione senza star dietro alle mode perchè la tecnica di produzione non sarà mai discrimine di qualità. Bisogna mantenere una visione aperta, guardare al futuro senza dimenticare il passato.

Fabio Giavedoni, Slow Wine
Torna in questo convegno l’intuizione del “buono, pulito e giusto” che abbiamo applicato sul vino: giudicare non solo il risultato finale ma anche come ci si arriva. Noi premiamo vini sostenibili ma devono essere comunque buoni. Ma cosa è buono? Ogni produttore deve poter fare il vino che vuole ma deve esserci una nuova grammatica della qualità stabilendo anche i difetti (brett, volatile, riduzione). Darsi, insomma, delle regole come per la scrittura: Benni o Baricco vanno bene ognuno a modo suo ma rispettano la grammatica.

Franco Ricci, Bibenda
Noi cerchiamo di educare con i corsi e tanto altro. Ci sono canoni per farsi capire, ma mi interessa di più la squadra Italia. La qualità sta nel marchio del produttore, non in una Docg che soffre di cattiva comunicazione.

Marco Sabellico, Gambero Rosso
Siamo sempre più in giro per il mondo ma comunichiamo solo la punta dell’iceberg del vino italiano. Cosa vogliono i consumatori nel mondo? Senso di salubrità, autenticità, fedeltà al territorio e quindi vini buoni secondo i propri criteri ma anche buoni da pensare, vedi Levi Strauss. Il Regolamento bio è ormai compromesso, poco significativo e purtroppo con troppo accento sulla solforosa. Meglio allora il conceto di sostenibilità piuttosto che bio, guardando più a terra che in cantina. Aiutarla a respirare e trovare equilibro vuol dire oggi avere vini più buoni ma la sostenibilità è anche sociale ed economica. Insomma forse molto rumore per nulla…

Enzo Vizzari , Espresso
Ci sono spazi per il vino di qualità in tutto il mondo.Per me l’emozione è il primo discrimine ma oggi non può prescindere dalla salubrità. Non dobbiamo, però, cadere nel tranello di sposare mode ma dobbiamo leggerle e interpretarle, con un atteggiamento laico perchè, alla fine, parla bicchiere non l’etichetta. Non sono indifferente ai vini bio, sono solo ostile ai vini cattivi e tra i vini bio ce ne sono così come in quelli non bio. Neanche il concetto di autoctono mi interessa più di tanto, non può influenzare il mio giudizio.

Andrea Gori, Intravino (vedi intervento completo qui)

Un vino può essere ricercato voluto perché comunicato come unico e foriero di una storia o di un territorio, un vino che secondo i parametri magari non raggiunge i fatidici 90 punti o 18/20 ma che appaga il nostro bisogno intellettuale di conoscenza ed esperienza gustativa. Detto questo, siamo a porci domande sul futuro come tutti ma siamo certi di almeno due cose ovvero che la grammatica con cui si scriverà e si comunicherà di vino nel futuro deve ancora essere scritta ma che soprattutto non sarà scritta da chi ha gestito fino ad ora la conversazione in materia e neanche da chi ha cominciato a farlo sul web. La grammatica futura della comunicazione del vino sarà scritta dal web stesso e dalle dinamiche che animeranno l’infosfera del vino.

E prima che la qualità, nel comunicare e far conoscere un vino conterà il modo con cui il consumatore cercherà informazioni sul vino stesso, qualcosa che possiamo monitorare costantemente ma che non abbiamo idea in cosa potrebbe evolvere.

Marco Baccaglio, I Numeri del Vino (vedi post)

Il concetto di qualità va comunicato con un marchio. Il valore del marchio va coltivato ed è importante per identificare il prodotto di qualità e consente di “staccare” il valore del prodotto dal suo valore intrinseco. Quindi, c’è una chiara correlazione tra la qualità del prodotto, il valore del marchio e il ritorno economico di chi lo produce. Il prodotto FIAT oggi perde soldi, il prodotto BMW guadagna il 5-6% del fatturato,  il prodotto Porsche il 10%, il prodotto Ferrari oltre il 15%. Il “lusso” paga e questo deve certamente essere vero anche nel mondo del vino.Il tema del “biologico” può essere un complemento a costruire la qualità di un prodotto ma certamente un vino di qualità deve prima “essere considerato buono” dai consumatori e avere un marchio che ne esprima un concetto, così come il marchio BMW esprime performance superiori e il marchio Mercedes solidità.

Michel Bettane
Tema magnifico, potremmo parlarne per ore. Un proverbio francese dice che il diavolo è molto intelligente e fa vedere che il suo vino è più naturale e buono di altri e se c’è lo zolfo è solo per proteggerlo. Servono, al solito, regole di buon senso, trasmissione tra generazioni, concetti da trasmettere ai figli, saper vedere e amare la natura. Anche se il gusto è individuale una grammatica comune è fondamentale, non dobbiamo dimenticare che il vino di qualità non è solo una caratteristica intrinseca ma dipende dal fatto che questo vino circola e le persone lo bevono.

Luciano Ferraro, Corriere della Sera
C’è una terza via, ovvero rivolgersi al pubblico comune spaventato da paroloni sensoriali. Il problema sta nella comunicazione troppo legata a redazionali e comunicati stampa. Altro aspetto di cui dovremmo tener conto è che il messaggio qualità è molto difficile da spiegare all’estero. Anche sulla stampa in genere per il vino c’è poco spazio rispetto al food. Meno degustazioni, quindi, e più storie, raccontando di più. L’esempio di Farinetti ha dato risposte semplici con il Vino Libero alle tante domande delle persone comuni.

Giorgio Orefici, Il Sole 24 Ore
Il regolamento bio non è poi così tremendo come lo si dipinge. Il vino bio è comunque una nicchia che soffre di sovraesposizione sui media. Il vino di qualità è già presente e quello italiano è già molto in alto, ora dobbiamo spostare l’attenzione sul mercato, il rapporto qualità prezzo, ad esempio, va ripensato quando si superano i 10 euro a bottiglia.

Andrea Scanzi, Il fatto quotidiano
Bello il confronto tra bio e tradizionali che ha fatto saltare il banco e ha portato alla luce temi come la digeribilità e la salubrità. È possibile una dialettica tra bio e gli altri? Maule vs Zanella sarà per sempre? La qualità non è standardabizzabile: qualità è soprattutto  non avere difetti, spigoli magari si, ma difetti no. Poi un vino di qualità deve raccontare storia, emozionare e somigliare a chi lo fa.

Serena Sutcliffe, Master of Wine
Occupandomi di aste ho scritto molto di tracciabilità non solo legale ma proprio del legame tra uomo, territorio e vino. In California è grazie a Gallo che le persone hanno cominciato ad apprezzare vino ma non tutti lo fanno allo stesso modo. In molte aeree del mondo la qualità é un processo di standardizzazione e non dobbiamo scandalizzarci. Io, peró, cerco nel vino personalità e carattere. Di certo un suolo morto e artificiale non potrà dare vini con personalità ma, attenzione, anche la Champagne è stata una discarica per anni ma non si è mai smesso di decantarne le lodi perché comunque  produceva grandi vini.

Penso che l’identità del vino è come un DNA fondamentale che non va perso perché diventerebbe un prodotto banale e se non lo banalizziamo noi forse lo farà qualcun altro. Quindi comunicazione incessante, sia per falanghina che per il Beaujolais, fatti bene e piacevoli prima che certificati e burocratizzati. Non credo che gli architetti possano fare grandi vini, li possono fare i grandi uomini e i grandi ragazzi che in questo momento vanno incoraggiati.

Conclusioni
Vabbè, abbiamo semplificato ma emerge dal convegno una forte unione di intenti nel salvare il vino di qualità dalle banalizzazioni ma anche dalla comunicazione tutta lustrini e argomenti fumosi e incomprensibili. Non emerge il bio come strada obbligata, anzi semmai più come moda passeggera che lascerà tracce positive senza esaurire il tema della qualità fortunatamente. Di certo è necessario che il vino italiano in primis, trovi il modo di definire una nuova grammatica che sia costruttiva e che sensibilizzi il consumatore senza vittimizzarlo o farlo sentire inadeguato. Allo stesso tempo il vino italiano deve trovare compattezza e fare squadra perché il mercato globale non richiede solo vini senza solforosa o genericamente bio ma vini sempre più piacevoli e a prezzi spesso non particolarmente remunerativi.

E soprattutto c’è dannatamente bisogno di una nuova forma di comunicazione del vino sia in Italia ma anche verso l’estero e i nuovi mercati, qualcosa che il web ancora non è riuscito a far nascere, o almeno così pare.

Andrea Gori

Quarta generazione della famiglia Gori – ristoratori in Firenze dal 1901 – è il primo a occuparsi seriamente di vino. Biologo, ricercatore e genetista, inizia gli studi da sommelier nel 2004. Gli serviranno 4 anni per diventare vice campione europeo. In pubblico nega, ma crede nella supremazia della Toscana sulle altre regioni del vino, pur avendo un debole per Borgogna e Champagne. Per tutti è “il sommelier informatico”.

3 Commenti

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Andrea

circa 11 anni fa - Link

Sicuramente condivisibile il problema dell'unione tra i produttori italiani, forte in alcuni contesti ma assolutamente assente in altri. Nonostante io pensi che ogni azienda debba fare il proprio mercato e i propri affari, l'unione e l'affiatamento nella promozione di un territorio o di un prodotto è fondamentale. Da cosa vedo tra i miei coetanei(25), la nuova generazione di produttori tende ad essere più compatta e in collaborazione reciproca. Purtroppo a volte sono i "vecchi" che tendono a dividere, ma questo accade ancora nelle zone meno evolute dal punto di vista commerciale. La comunicazione è un aspetto fondamentale che va rivisto globalmente...sempre secondo me il vino deve tornare ad essere bevuto quotidianamente per avere una crescita qualitativa rilevante e riconosciuta da tutti. le nicchie da 20-50-100.000 bottiglie non fanno il mercato. L'impegno che però tutti devono mettere è nella ricerca della massima qualità già nei vini base e non solo nei top di gamma! In sostanza il mio appello è......spazio ai giovani ma coadiuvati dall'esperienza e cautela dei più datati!

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Alessandro - VinNatur

circa 11 anni fa - Link

Spazio ai giovani ci piace!

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laura

circa 11 anni fa - Link

Il futuro? Un Franciacorta biologico in un territorio bonificato. Oggi purtroppo, la Franciacorta è un territorio fortemente compromesso, con la presenza di numerose discariche legali e non, siti contaminati che richiedono bonifiche e siti dove sono state scaricate le stesse scorie della famosa Caffaro, proprio vicino a molte coltivazioni delle più grandi etichette. Oggi l'incidenza dei tumori infantili in Franciacorta è in notevole aumento. Come può un vino essere eccellente se nasce in un territorio contaminato? Io credo che il futuro della Franciacorta, vada nella direzione di fare da traino, diventando leader alla conversione delle colture in biologiche e da linfa nella sensibilizzazione della bonifica della Franciacorta. Non basta un eccellente enologo per questo purtroppo. Il futuro: i grandi produttori franciacortinini come leader della rinascita " pulita" della Franciacorta.

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