Tre grandi vitigni italiani che il mondo ci invidia

Tre grandi vitigni italiani che il mondo ci invidia

di Salvatore Agusta

Quando si parla di uve autoctone, l’Italia appare come la regina incontrastata nel panorama dei paesi produttori di vino.

Volendo racchiudere le principali varietà in una lista, quest’ultima conterebbe tra le 300 e 400 voci, diversificate tra varietà a bacca bianca e a bacca rossa. Data per certa la premessa, ciò che non mi spiego è come mai, pur vantando tale abbondanza, quando in altri paesi decidono di coltivare uve internazionali, raramente scelgono le nostre.

Qualcuno potrebbe commentare: “ma caro Salvatore, le varietà italiane sono cosí legate al loro territorio che separarli non avrebbe alcun senso”. Sì, può anche darsi; d’altronde la penisola italica unitamente alle sue isole, rappresenta un luogo unico, difficilmente replicabile in giro per il mondo. Tuttavia, qualche interessante esperimento che riguarda le nostre uve l’ho scovato.

Si tratta di soluzioni alquanto creative, e pertanto vale la pena di menzionarle.

Chateau Maris, Vermentino 2018, Languedoc, Vin de France.
A mio avviso, Ch. Maris si trova in uno dei luoghi più belli della Francia. Siamo al sud del parco regionale naturale dell’alta Languedoc, guardando la mappa, ci troviamo proprio tra Montpellier e Tolosa.

In questo scenario incantato, Robert Eden (giusto giusto si chiama eden di cognome) ha rilevato nel 1997 un’antica tenuta, per lo più abbandonata. Agricoltura sostenibile, principi biodinamici e soluzioni naturali sono da sempre stati i paradigmi portanti di questo progetto, che ad oggi vanta più di una certificazione di sostenibilità.

Le uve principalmente coltivate da Robert sono la syrah, la grenache, la carignan e la viognier ma, recentissimamente, ha inaugurato un vermentino niente male.

Invero, il vermentino è sempre stata un vitigno declinato in diverse varietà; ad esempio negli stessi confini italici si ritiene che il pigato ligure e la favorita piemontese, siano suoi cloni. E anche in Francia c’è chi sostiene che tale uva non sia altro che la rolle transalpina.

Il vino in questione presenta una piacevolissima bilancia di sentori; è pieno ma non abbondante, con un corpo solido e strutturato. Note di frutta tropicale rossa si alternano a spunti di erbe di altura. Il sorso è soffice e generoso, con un finale lungo e complesso.

Mi ha colpito, poiché sembra aver preso il meglio dal vermentino ligure in tema di eleganza e il meglio della clairette blanche, varietà tipicamente corposa e aromatica. Con un costo decisamente contenuto si può usufruire di una bella esperienza all’insegna dell’equilibrio.

Point Ormond, Sangiovese 2016, Victoria, Australia.
Point Ormond, sulla battigia di Elwood, è un punto di riferimento per i locali nella città di Port Phillip. Ci troviamo nel sud dell’Australia, non molto lontano da Melbourne. Il nome in questione è stato utilizzato anche da una piccola cerchia di “winemakers” che hanno deciso qualche tempo fa di produrre vini da tavola che, in un certo qual modo, potessero rispecchiare un po’ della identità culturale dello Stato di Victoria. La presenza del sangiovese dunque ci rimanda alla massiccia immigrazione italiana avvenuta nel dopoguerra.

Nel loro sito web si legge “sono stati gli italiani a portarci la macchina per il caffè espresso e l’amore per i vini da tavola. Rendiamo omaggio alla loro influenza bevendo il loro pilastro toscano”.

Le vigne si trovano presso the Grampians dove ha inizio una catena montuosa che corre per 2000 miglia lungo la costa orientale dell’Australia. Si tratta di un vigneto singolo, con età media delle viti di 22 anni.

L’uva viene diraspata in contenitori di cemento aperti e immersa a mano; successivamente il vino viene invecchiato in grosse botti di rovere francese. È un vino molto semplice, con sentori di frutta rossa fresca e una leggerissima vena di legno francese. Va interpretato come vino da tavola, abbastanza gioviale, espressivo. Poco complesso, risulta essere amichevole e divertente.

Gli americani lo bevono con la pizza, il prezzo abbastanza basso ne facilità l’interesse.

L.A. Cetto, Nebbiolo Private Reserve 2014, Valle de Guadalupe, Baja California, México.
Questa è una storia da raccontare/può andar bene o finir male/ma di certo, va considerato/il grande amor per il passato.

La rima preannuncia il tono poetico della storia. Tutto nasce dal sogno o dalla nostalgica caparbietà di Don Angelo Cetto che, immigrato in Messico, cercò di attuare gli insegnamenti dei suoi nonni in Trentino. La caparbietà nasce dal fatto che, come potete immaginare, la Baja California è un tantino diversa dal Trentino. Tuttavia, quando l’idea prese corpo, oltre i confini del suo Stato aveva inizio il proibizionismo americano, pertanto il nostro buon Angelo non era soltanto affetto da saudade ma, da buon italiano, aveva fiutato il possibile business.

Infatti la legenda narra che moltissime delle celebrità americane usavano incontrarsi presso le cantine di Don Angelo per far festa.

Dovette venire in soccorso Camillo Magoni, giovane enologo svizzero fresco di diploma presso la scuola di enologia d’Alba, quando la seconda generazione della famiglia Cetto decise di operare un grande sforzo per concretizzare il sogno di Don Angelo e passare alla produzione di vini più pregiati.

Il vigneto in questione ha più di quaranta anni e fa parte di quelli riservati alla linea maggiore. L’altezza è di circa 300 m.s.l.m. e il mare dista circa 55 km in linea d’aria. La vinificazione è di stampo classico, e la maturazione avviene in legno francese per circa 14 mesi.

Il vino risulta molto aromatico, con sentori di ciliegia e amarena matura e mirtilli rossi. È caldo al palato ed estremamente avvolgente; i tannini sono molto docili ma presenti ed attenti. Vi sono note di terriccio e foglie di eucalipto che convogliano in un sorso piacevolmente complesso. Una declinazione del nebbiolo talmente particolare che per certi versi affascina ed attrae. Vi do una buona notizia, se siete curiosi di sperimentare qualcosa di eccentrico e particolare: questo vino è distribuito in Italia e talvolta è pure acquistabile online.

A questo punto, vi chiedo se avete alcune etichette da suggerire, magari qualcosa che vi è capitato di provare e vale la pena di menzionare.

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Salvatore Agusta

Giramondo, Francia, Lituania e poi Argentina per finire oggi a New York. Laureato in legge, sono una sorta di “avvocato per hobby”, rappresento uno studio di diritto internazionale negli Stati Uniti. Poi, quello che prima era il vero hobby, è diventato un lavoro. Inizio come export manager più di 7 anni fa a Palermo con un’azienda vitivinicola, Marchesi de Gregorio; frequento corsi ONAV, Accademia del Vino di Milano e l’International Wine Center di New York dove passo il terzo livello del WSET. Ho coperto per un po’ più di un anno la figura di Italian Wine Specialist presso Acker Merrall & Condit. Attualmente ricopro la posizione di Wine Consultant presso Metrowine, una azienda francese in quel di New York. Avevano bisogno di un italiano ed io passavo giusto di là. Comunque sono astemio.

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