Sta arrivando dall’Australia un bastimento carico di aglianico

di Antonio Tomacelli

Riscaldamento globale non è quando siete sudati dalla testa ai piedi. Anche Il più stupido degli scienziati sa che il pianeta terra ha caldo per colpa dell’anidride carbonica e degli scarichi industriali e le conseguenze sono già sotto i nostri occhi. Quando poi vi capiterà di bere il primo aglianico prodotto in Australia, ricordatevi di questo post e pensate: “Intravino l’aveva detto”. Già, ancora qualche anno e saremo invasi dai vitigni italiani allevati nel paese dei canguri o in America.

La recente legge che ha liberato dai vincoli di esportazione i nostri vitigni sta avendo i suoi effetti, se a questo aggiungi il fatto che un aglianico o un montepulciano reggono meglio alle alte temperature di un qualsiasi pinot, ecco che la frittata è pronta e servita. Il primo bicchiere lo hanno riempito nella cantina Pertaringa Wines e pare stia dando le sue belle soddisfazioni ai proprietari. “È davvero adatto al nostro clima caldo e asciutto e sopporta molto bene il calore. Proveniendo dalla parte meridionale d’Italia, conserva una buona acidità anche quando è maturo”. Vogliamo dare un colpetto anche al marketing? Toh, eccovi serviti: “Chi beve il vino è alla ricerca di qualcosa di diverso, con un sapore unico che gli faccia magari ricordare i luoghi che ha visitato”.

Mica fessi gli australiani, sanno già a chi venderlo e perchè. Insomma, il campanello d’allarme squilla impazzito e, conoscendo di cosa sono capaci laggiù, non starei troppo tranquillo. Se l’aglianico avrà un minimo di successo questi alla svelta ne piantano un centomila ettari da esportazione in vendita a cinquanta centesimi. Oh, io sarò pure catastrofista, ma vi ricordo che gli Aussie non hanno vincoli né leggi che possano tenerli a freno. Dio solo sa poi quanti altri vitigni pregiati sono nell’incubatrice per cui nessuno si senta tranquillo: domani potrebbe toccare al nebbiolo (paura, eh?). Ultima nota dolente: pare che il vitigno lucano si abbini egregiamente con il canguro stufato. Ettepareva!

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Antonio Tomacelli

Designer, gaudente, editore, ma solo una di queste attività gli riesce davvero bene. Fonda nel 2009 con Massimo Bernardi e Stefano Caffarri il blog Dissapore e, un anno dopo, Intravino e Spigoloso. Lascia il gruppo editoriale portandosi dietro Intravino e un manipolo di eroici bevitori. Classico esempio di migrante che, nato a Torino, va a cercar fortuna al sud, in Puglia. E il bello è che la trova.

19 Commenti

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antonio

circa 14 anni fa - Link

Sti australiani sono peggio dei cinesi vero? senza vincoli, signora mia. Tomacelli, ma chi te lo dice che produrre un vino in australia abbia un maggiore "carbon footprint", diciamo cosi, di un vino prodotto in Italia o in Francia? Magari li' si usano dei mezzi di produzione migliori e quindi l'impatto e' anche minore. O pensi che la colpa del riscaldamento globale sia dell'aereo che trasporta l'uva o il vino? Beata innocenza, povera scienza.

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Antonio Tomacelli

circa 14 anni fa - Link

la tua malafede è pari solo alla tua voglia di polemiche inutili. Ho solo detto che siccome lì fa sempre più caldo, sperimentano vigneti più resistenti alle alte temperature. La recente legge che ha sbloccato l'uso dei vitigni italiani li ha aiutati molto. Detto questo, chi dice che "produrre un vino in australia abbia un maggiore carbon footprint" o che io sia favorevole al km 0? Forse la tua malafede?

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gianpaolo

circa 14 anni fa - Link

non mi sembra che da quando in Australia e in Nuova Zelanda hanno cominciato a fare Pinot nero e Chardonnay in Borgogna non vendano piu' una bottiglia, delle due forse ne vendono di piu' di prima perche' chi impara ad apprezzare un vitigno alla fine vuole bere anche quello da dove lo stesso e' originato. Che invece non gli dia una mano a farlo conoscere nel mondo? Forse su questo tema gli Australiani sono un po' piu' bravi degli agricoltori del Vulture.

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Luca Risso

circa 14 anni fa - Link

Grazie a questo post abbiamo scoperto che: -Gli australiano stanno piantando aglianico grazie a "La recente legge che ha liberato dai vincoli di esportazione i nostri vitigni" 2-Gli Australiani "non hanno vincoli né leggi che possano tenerli a freno" (insomma degli animali) Ma è un post serio o umorismo involontario? Metto un link così, per farsi un'idea http://www.vinodiversity.com./ Luk

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Luca Risso

circa 14 anni fa - Link

Naturalmente al nebbiolo è già toccato, da tempo http://www.vinodiversity.com/nebbiolo.html Luk

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Antonio Tomacelli

circa 14 anni fa - Link

Vediamo di chiarirci le idee. Gli Australiani è da un po' che fanno il cavolo che gli pare. Che commercialmente parlando siano una variabile impazzita lo sappiamo anche se qualcuno tende a dimenticare. Cernilli per esempio, prese una delle sue topiche migliori additando la viticoltura australiana quale esempio da seguire. Sappiamo tutti come andò a finire. Evidentemente però gli Aussie non demordono e anzi rilanciano. L'occasione gliela offre la nuova OCM vino che ha recepito le conclusioni del WTO sulla protezione internazionale. Ne abbiamo parlato qui, tempo fa. Ora, che in Australia si potesse piantare l'aglianico non è cosa nuova. La novità sta nel fatto che lo preferiscono ad altri vitigni perchè più resistente al caldo lo dice anche il tuo link, caro Luca: "As more wineries and grapegrowers become more concerned about global warming they are looking for varieties like this one" Attenzione però: un conto è coltivarlo e venderlo in Australia e un altro conto è poterlo esportare in Italia e nel resto d'Europa. Con la nuova OCM vino, i vitigni che non sono stati protetti sono liberamente utilizzabili. La protezione era compito dei consorzi e noi abbiamo lanciato l'allarme tempo fa, non tutti però l'hanno fatto. Ora è possibile esportare anche in Italia (e nel resto del mondo) varietà che fino ad oggi erano protette dai trattati internazionali. Leggere a proposito questo documento del Gambero Rosso di cui riporto un passaggio: "Sulla protezione internazionale, le debolezze riguardano l’inconcludenza della Commissione negli accordi bilaterali , ma anche e soprattutto il vecchio sistema di approvazione delle DO e delle IG a livello dei singoli Stati membri, troppo improntato al riconoscimento dei più insignificanti campanili. A livello comunitario si registrano: —troppi vitigni, non più considerati esclusivi ed autoctoni. L’allegato XV parte B del Reg. 607 è ad esempio rigettato dall’Australia, intenzionata ad usare le menzioni Aglianico, Brachetto, Cesanese, Nebbiolo, Primitivo, ecc." Dopodichè rispondo a Giampaolo Sarei quasi d'accordo con te (e questo mi preoccupa) ma non puoi confondere un sistema francese basato principalmente su quattro-cinque vitigni e il sistema italiano che ne ha uno per ogni campanile. Oltretutto il nostro sistema non è basato sul terroir come la Francia, ma è un misto di vitigno e territorio (Brunello di Montalcino, Aglianico del Vulture)

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gianpaolo

circa 14 anni fa - Link

Scusa Antonio, ma come fai a proibire la coltivazione e la vendita dell'Aglianico a chiunque voglia nel mondo? L'Aglianico e' un vitigno, non e' una denominazione. Le denominazioni si possono e si devono proteggere, i vitigni vivaddio no. Non ti preoccupare di essere d'accordo con me di tanto in tanto, anche un orologio rotto segna il tempo giusto almeno due volte al giorno :)

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Antonio Tomacelli

circa 14 anni fa - Link

C'era la possibilità di proteggere alcune denominazioni quando queste coincidevano col vitigno, ma non tutti lo hanno fatto

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Francesco Fabbretti

circa 14 anni fa - Link

http://www.intravino.com/primo-piano/promemoria-per-montalcino-il-taglio-bordolese-e-passato-di-moda/ "Ma, in tempi di magra, segnati da un ritorno alla tradizione e al terroir, Bordeaux appare in totale controtendenza. Innanzitutto da quelle parti la parola territorio non è traducibile" ho criticato quest'articolo (non l'autore) e da "padrone delle ferriere" hai cavalcato lancia in resta a difendere in modo fazioso e non esaustivo oggi scopro che "il nostro sistema non è basato sul terroir come la Francia" ....cosa non si farebbe per voler avere ragione a prescindere; daje antò, facce ride! p.s. 20 maggio 2010 alle 21:58 (link) Stai attento a prendere posizioni così decise salvo poi dover far tripli salti mortali per dover cambiare posizione all’occorrenza

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Antonio Tomacelli

circa 14 anni fa - Link

"ma è un misto di vitigno e territorio (Brunello di Montalcino, Aglianico del Vulture)" Minchia fabbretti, hai tirato fuori il bilancino?

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Luca Risso

circa 14 anni fa - Link

@Antonio, Non siamo così importanti. Il mercato Italiano e in generale europeo, se escludiamo l'Inghilterra che fa storia a sè, è del tutto marginale per l'Australia, che proprio penso giustamente se ne impippi se adesso potrà esportare una bottiglia di barbera in Italia chiamandola con il suo nome. Eticamente poi non posso che essere contento che si possa importare Aglianico australiano, dopo che abbiamo impestato il mondo con cabernet e merlot del piffero, che non sono certo vitigni italiani, essendo del tutto falso poi che il sistema Francese si fondi su 4-5 vitigni. Solo nello Châteauneuf-du-Pape ne sono ammessi 13. Si può proteggere un toponimo, vedi vicenda Tocai, si può proteggere un nome storico tradizionale, vedi il marchio Brunello, non si può proteggere il nome di un vitigno, che giustamente deve essere un patrimonio universale. Luk

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Antonio Tomacelli

circa 14 anni fa - Link

@Luca Non è così semplice come tu dici. Chi ti scrive ha visto negli anni scorsi i produttori in ginocchio per colpa delle navi australiane che, al largo delle nostre coste, battevano all'asta milioni di ettolitri di vino per pochi centesimi al litro. Certo, se parliamo di un Aglianico australiano in bottiglia a 5/7 euro, nulla da dire, ma è un altro mercato. Il giorno che arriverà Nebbiolo o Aglianico per il PET da 5 litri a 3,50 euro, scomparirà il sorriso dalla faccia di molti. P.s.: è appena il caso di ricordare che la nuova OCM prevede il nome del vitigno anche sul vino da tavola P.p.s.: perchè secondo te, molte doc italiane non permettono il confezionamento in PET?

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gianpaolo

circa 14 anni fa - Link

C'e' una cosa, seria, da dire a proposito di chi e' messo in ginocchio dalla competizione internazionale. Il miglior modo per reagire non e' quello di maledire il destino cinico e baro che ha permesso agli australiani di essere competitivi, ma semmai trovare il sistema di esserlo anche noi. Eppoi, se tra Sicilia e Puglia il vigneto si estende per 240.000 ettari, contro i 150.000 dell'australia (cito a memoria, ma piu' o meno siamo li), e non ci sono sbocchi commerciali, forse bisognera' che qualquno prenda in considerazione l'opzione di espiantare la vigna e piantare altro, proprio come sta avvenendo in Australia. Guarda che non sono tutti fessi gli australiani Anto', qualcosa da imparare ce l'abbiamo anche noi, e forse loro anche da noi.

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Luca Risso

circa 14 anni fa - Link

@Antonio ".p.s.: perchè secondo te, molte doc italiane non permettono il confezionamento in PET?" IMHO per pura sindrome di Tafazzi. Se vendi vino in una confezione che costa più del contenuto (e succede) sei tagliato fuori in partenza. Il Problema di certe DOC, per non dire tutte, non è il contenitore ma quello che c'è dentro. Luk

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TERROIR

circa 14 anni fa - Link

finchè c'è scritto "prodotto in Australia"...e ho detto tutto...

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Alberto G.

circa 14 anni fa - Link

Ma cari ragazzi , mi sembrate troppo critici nei confronti dell'autore dell'articolo. Forse forse,in un momento in cui, in diversi paesi consumatori ,innanzitutto USA ed U.K.,(dopo anni ed anni di abboffate di cab.mer. e chard.e similari),si inizia ad ascoltare qualche piu' o meno famoso degustatore-wine writer-consulente o ristoratore,di quanto possa essere interessante qualcosa di diverso e magari quanto sia importante la varieta' di scelta che in particolare l'Italia (e non solo) offre , be' signori non mi sembrano considerazioni da folle integralista.Se io fossi un produttore italiano, con tutta la scarsa capacita' di fare squadra che in passato ci ha sempre contraddistinto,mi preoccuperei un pochino di trovare in un ipersupermercato aglianico o nero d'avola o gaglioppo o passerina o sagrantino o checacchio so a due sterline o meno.O magari liofilizzato a cui aggiungere acqua.Certo sara' made in Australia o Cina ma anche secondo me non sarebbe una bella concorrenza almeno per un po' di tempo.Quindi meglio trovare in anticipo delle contromosse, meglio associarsi e promuovere il prodotto,associarsi e ridurre costi di trasporto ma soprattutto marketing e fidelizzazione.Bo' forse siamo noi che ci preoccupiamo troppo,sicuramente i nostri esperti di marketing ed i figli dei nostri valenti produttori risolveranno tutti i dubbi e tutti i problemi,senza che èpaassi troppo tempo.Speriamo sia come dite voi.

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antonio Tomacelli

circa 14 anni fa - Link

Non ci giriamo intorno con superiore freddezza. Certe situazioni confondono i clienti esteri che già fanno una fatica boia ad identificare la Puglia o la Campania sulla cartina geografica. Giusta l'osservazione di Alberto G: i danni si sentiranno eccome. Tra l'altro con il cambio di legge, che permette il vitigno anche per i vini da tavola (senza indicazione di origine), c'è il rischio di pericolose triangolazioni.

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maurizio

circa 14 anni fa - Link

la pretesa di poter proteggere nomi di vitigno è puerile. Solo i nomi di territorio si possono proteggere. L'eventuale tutela del nome di vitigno in base alla ocm riguarda solo i vini non a doc (ex da tavola), se in Spagna vogliono fare una DO Nebbiolo di... nessuno glielo può impedire, e tanto meno in Australia.

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