Sbatti Snoop Dogg  in etichetta e altre storie tese su Netflix

Sbatti Snoop Dogg in etichetta e altre storie tese su Netflix

di Elena Di Luigi

Il lockdown è anche una scusa per passare piú tempo a leggere a casaccio e a vedere film quanto ne senti il bisogno. Anche questo è smart, almeno chez moi. Cosí si parte da una notizia che ti ricorda un film che ti porta a un documentario che ti fa riflettere su come sono cambiate le cose. Oppure no.

La prima notizia è che il rapper Snoop Dogg ha dato il suo volto a un vino rosso dell’etichetta australiana 19 Crimes. Snoop Cali Red è un blend di 65% petite syrah, 30% zinfandel e 5% merlot, e in estate arriverá sul mercato americano. Il nome 19 Crimes vuole rendere omaggio alle migliaia di uomini e donne che, a partire dalla fine del 1700, la Gran Bretagna esilió in Australia per svuotare le prigioni nazionali. Tra essi c’erano veri criminali e povera gente, copevole solo di aver commesso uno dei crimini di una lista stilata per la deportazione, tra cui rubare del pesce (n.10) o spacciarsi per un egiziano (n.5). Anche per questo molti hanno criticato la scelta di associare l’etichetta a un rapper di colore che, per il suo passato da criminale, aiuta a perpetuare lo stereotipo di ‘’quella etnia = quella condizione sociale”. C’é chi invece pensa che certi cliché finiranno quando si avrá il coraggio di non vederli piú come tali.

La notizia mi ha fatto ripensare a Uncorked, il film uscito a marzo su Netflix. Dico subito che non mi è piacituto per diversi motivi, tra cui anche quello di far passare il messaggio sterile secondo il quale conoscere un vino è come rispondere a quiz show e non tecnica e interpretazione. Le recensioni peró, cosí come le tantissime reazioni a #uncorkednetflix, dicono che il successo del film sta nel trasmettere la forza di una passione e nel dare la materia vino in mano a dei protagonisti di colore. Questo dimostra che uno stereotipo si puó superare anche attraverso un film mediocre quando per esempio scopri che dietro Uncorked c’è un pó della storia di D.Lynn Proctor, Best Sommelier in America nel 2008.

Il secondo spunto è partito leggendo la notizia che, in pieno lockdown e con la prospettiva di una crisi economica che toccherá tutti, il Comité Champagne ha contattato via telefono un agricoltore della Tasmania per avvisarlo che se avesse continuato a chiamare “champagne” il suo esperimento casalingo di rabarbaro fermentato, lo avrebbe denunciato alle autoritá competenti. Tutto è partito da un post che l’agricoltore aveva fatto su facebook dicendo che si era divertito a fare un infuso con del rabarbaro che gli era avanzato. Si è stupito quando, in piena pandemia europea, il comitato lo ha contattato privatamente, intimandolo a non usare la parola “champagne” invano. Viene da chiedersi di quanto aumenterá il consumo di champagne in Tasmania dopo questa mossa di marketing.

Anche qui è scaturita un’altra riflessione perché il concetto di appartenenza è anche il tema di Reign of Terroir, un episodio della serie Rotten su Netflix. Il documentario parte dalla Francia con una breve storia del Comité Régional d’Action Viticol e finisce con le cantine emergenti della Cina. Il CRAV è noto per le sue lotte decennali, fatte anche di atti terroristici contro produttori locali non allineati, per il rispetto del terroir, il contrasto alle importazioni e la riduzione delle tariffe. Nel documentario tutto è giusto o giustificabile fin tanto che si tratta di vendere il vino francese. Tutto cambia quando scopri che il tuo cliente sta diventando anche il tuo competitore piú temuto.

Come in tutto, è il punto di osservazione a fare la differenza.

1 Commento

avatar

marcow

circa 4 anni fa - Link

La vicenda dell'agricoltore della Tasmania è stata commentata su diversi giornali, anche autorevoli. Il fatto che, in piena pandemia, con i morti di coronavirus in Francia, il Comité Champagne si sia preoccupato di "pattugliare" i social e poi abbia "minacciato" il produttore di rabarbaro si è rivelata una scelta sbagliata... almeno per i tempi: il tono di molti articoli è stato ironico. __ L'articolo si conclude così: "Come in tutto, è il punto di osservazione a fare la "differenza". Frasi, anche brevi, come questa...fanno la "differenza" in un testo (e lo valorizzano) Penso che consumatori e produttori abbiano punti di vista diversi. A volte possono anche coincidere, ma sono, per ovvi motivi, diversi. E gli "ESPERTI" di vino, che si collocano tra produttori e consumatori, hanno un loro personale punto di vista? Distinguerei 3 categorie di esperti. 1 Ci sono gli ESPERTI schierati con i produttori, cioè che hanno fatto proprio il "punto di vista dei produttori" di vino. 2 Ci sono gli esperti che cercano di stare nel mezzo: non sempre ci riescono. 3 Ci sono gli esperti schierati con i consumatori, con i clienti. A questa categoria dovrebbero appartenere anche i "critici eno-gastronomici". __ In Italia sono pochi gli esperti della categoria n. 3.

Rispondi

Commenta

Rispondi a marcow or Cancella Risposta

Sii gentile, che ci piaci così. La tua mail non verrà pubblicata, fidati. Nei campi segnati con l'asterisco, però, qualcosa ce la devi scrivere. Grazie.