Se anche sulla longevità ci sono da fare dei distinguo

Se anche sulla longevità ci sono da fare dei distinguo

di Jacopo Cossater

Credo di poter affermare senza particolare preoccupazione di smentita che nel vino la longevità è considerata da tutti come una virtù, sempre. Ci mancherebbe, è piacevolissimo scoprire che un vino di qualsiasi colore o tipologia è in grado a distanza di più o meno molti anni di esprimere un certo numero di qualità.

Ricordo come fosse ieri il corso da sommelier: come immagino molti altri è stato in quel contesto che mi sono avvicinato per la prima volta a una terminologia che prima è entrata a far parte della mia quotidianità e che poi con il passare del tempo è in parte uscita dal mio personalissimo lessico del vino. Ricordo per esempio con chiarezza quanto fosse centrale nella degustazione di allora il termine “persistenza”. Solo dopo ho capito che la questione non doveva, e non poteva, essere squisitamente numerica: che non è possibile misurarla in termini aritmetici, in secondi. Ho capito che aveva più a che fare con la qualità della persistenza -con la finezza- che con la sua durata. Un esempio banale: esistono vini mediocri che riescono a lasciare una traccia sul palato particolarmente lunga, significativa, ma che nulla hanno a che fare con la purezza, in generale la bellezza, che i grandi vini lasciano dietro di sé dopo il loro passaggio. Un approccio questo che credo possa valere per ogni aspetto della degustazione: è la qualità di un elemento a delineare la finezza di un vino, non la sua intensità.

Da qualche tempo mi chiedo se un approccio del genere abbia senso anche con la longevità, come se sia possibile distinguere tra una longevità “buona” e una longevità “cattiva”. Una riflessione che non è nata dall’oggi al domani ma che anzi è andata formandosi con il passare dei mesi e dopo un certo numero di assaggi che inevitabilmente puntavano nella stessa direzione: vini anche celebratissimi, considerati come dei riferimenti per le rispettive aree di produzione, che a distanza di anni dalla vendemmia -5, 10 e anche di più- continuano oggi a dimostrare una innegabile freschezza ma pochissima dinamicità. Vini che quando aperti in compagnia provocano ogni volta stupore e la stessa reazione, declinata in varie forme ma riassumibile in un grande classico: “hey, wow, sembra imbottigliato ieri”.

Vini -soprattutto bianchi ma non solo- che a distanza di molto tempo sembrano scontare un certo peccato originale, una ricerca ossessiva della freschezza che finisce per portare a un esito per certi versi grottesco: l’incapacità di tendere a una vera maturità, come se ci si trovi di fronte non tanto a un’evoluzione nobile del vino quanto a una sorta di immobilizzazione delle sue caratteristiche organolettiche. Non che io voglia demonizzarne la freschezza, anzi, è solo che dopo un certo numero di anni mi aspetto che un vino sia anche capace di superarla ed esprimere qualche cosa in più: una sorta di saggezza, un equilibrio non necessariamente legato alla sua vivacità ma anzi vicino a una certa idea di crepuscolo. Sfumature insomma diverse da quelle, magari squillanti, che ne hanno caratterizzato i primissimi anni di bottiglia.

Jacopo Cossater

Docente di marketing del vino e di giornalismo enogastronomico, è specializzato nel racconto del vino e appassionato delle sue ripercussioni sociali. Tra gli altri, ha realizzato i podcast Vino sul Divano e La Retroetichetta, collabora con l'inserto Cibo del quotidiano Domani e ha cofondato il magazine cartaceo Verticale. Qui su Intravino dal 2009.

11 Commenti

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vinogodi

circa 6 anni fa - Link

...forse lo stupore di chi afferma , dopo decenni, che un vino "sembra imbottigliato ieri" ritengo derivi dall'aspetto cromatico non deviato significativamente da un colore originario e non evoluto negativamente (giallo dorato "stanco" che vira all'arancione per i bianchi , mattone con riflessi aranciati decrepiti per un rosso) e non una imbalsamazione delle altre caratteristiche . Chiaro che il concetto di "invecchiato bene" corrisponda ad un "terziarizzato bene" , dove i profumi terziari e gradevolezza al palato debbano essere corrispondenti ad una fase della sua evoluzione nel tempo che provoca piacere con un cambiamento in positivo , in termini di complessità aumentata oppure , comunque , di sensazioni di godimento profondo che un vino d'antan, ben conservato, può provocare nel bevitore per lo più esperto e con un certo percorso di conoscenza e consapevolezza enoica...

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Massimiliano Puccio

circa 6 anni fa - Link

Il vino è qualcosa di vivo. Ciò significa che evolve più o meno velocemente in positivo e negativo. L'affermare di un vino longevo "che sembra imbottigliato ieri" non è a mio avviso corretto, concordo con il commento precedente che sarebbe meglio dire è "invecchiato bene".

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landmax

circa 6 anni fa - Link

Sarebbe interessante qualche esempio da parte dell'autore per comprendere meglio il suo punto di vista. Mi rendo conto che l'esempio negativo non suoni bello, ma quanto meno qualche esempio di tipologia in cui lui ha ravvisato il problema che denuncia nel testo sarebbe utile averlo. Se si parla di bianchi e di freschezza, ad esempio, certi bianchi di Borgogna o Loira possono stupire a distanza anche di molti anni dalla vendemmia, ma in generale non lo trovo un difetto, a patto che ciò che gli cresce attorno sia un vino comunque più articolato, complesso, sfaccettato di quanto non fosse in gioventù. Diverso è il caso della "mummificazione" di un vino (magari nato già "pesante" di suo), causata magari da un eccesso di solforosa. A cosa si riferisce esattamente l'autore?

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Jacopo Cossater

circa 6 anni fa - Link

Eh sì, l'abuso di solforosa è innegabile porti verso una certa mummificazione, come giustamente sottolinei. Difficile fare esempi però, per quello che vale l'impressione, da qui, è che il mondo dei bianchi italiani sia pieno di vini del genere. Vini che a distanza di anni sono ancora godibilissimi ma che sembrano come intrappolati nell'idea che li ha generati.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 6 anni fa - Link

La questione non mi sembra ben posta. Longevità non è la capacità di mantenersi giovane nel tempo, e nemmeno quella di mantenere freschezza o colore inalterato. Longevità è la capacità di un vino di continuare ad evolvere positivamente nel tempo. Un Brunello tra i dieci ed i venti anni (ma attenzione, questo varia a seconda delle annate) è sicuramente migliore di un Brunello di cinque anni, perché è nella sua specificità di essere "pronto" dopo un lungo numero di anni. Non tutti i vini hanno questa caratteristica, e non è un pregiò in sé; alcuni vini danno il loro meglio nei primissimi anni di vita, e non per questo sono vini da poco.

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Jacopo Cossater

circa 6 anni fa - Link

Stefano è esattamente quello che scrivevo: vini che non sono in grado di evolvere maturando e che anzi sembrano per certi versi "congelati" in una certa condizione di eterna giovinezza non possono che appartenere a quella che scherzosamente ho definito "brutta evoluzione".

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Radici

circa 6 anni fa - Link

Esperienza personale: non ho un curriculum "serio" di champagne bevuti, ma una sera con amici ho "affrontato l'Everest senza esser mai salito sul Monviso" e si è aperto un Salon del 1996. Parliamo di due anni fa, quindi vino di vent'anni che... "sembrava imbottigliato ieri". Acidità al vetriolo,. C'era chi sosteneva che l'apertura dovesse esser posticipata di un altro decennio... Difficilmente, con quello che costa, avrò occasione di verificare.

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Cristian

circa 6 anni fa - Link

Salve a tutti, a parer mio dopo aver avuto una modesta esperienza mi sono reso conto che i vini "di una volta" cioè prima del 2000 erano molto più tannici di conseguenza col passare degli anni i vini (parlo dei rossi) si ammorbidivano e si arrichivano di profumi e sapori saggi,mentre al giorno d'oggi la longevità è caratterizzata più dall' acidità che dal tannino e di conseguenza i vini rossi importanti affrontano tranquillamente i 15 anni ma sembrano sempre uguali, come se avessero fermato il tempo, per passare poi dal sapore che ha in gioventù al decadimento dovuto dal tempo.. praticamente non ce evoluzione.. sono un grande appassionato di vini e rimpiango molto di non poter bere bene come 15 anni fa i grandi Barolo invecchiati degli anni 80 e 90.... un saluto

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Andrea

circa 6 anni fa - Link

Grazie. Non ho mai sopportato i bianchi limonata che forse saranno buoni fra 10 anni ma che di sicuro adesso sono imbevibili. Mi sorprende invece spesso come bianchi da subito equilibrati ma sopra le righe in tutte le componenti evolvano positivamente sui 5-8 anni.

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vinogodi

circa 6 anni fa - Link

...in decenni (tanti) di bevute vintage , ho maturato la convinzione che non esista una sola variabile che comporta la capacità di invecchiare bene , ma l'equilibrio fra varie componenti . Avendo avuto la fortuna (perché di fortuna si tratta ) di bere vini quasi centenari e averne potuto osservare, più volte, l'evoluzione negli ultimi quarant'anni , ho notato che non sempre la capacità di evolvere positivamente coincideva con il giudizio "storico" della grande annata . Vini come Brunello ( ho esperienza soprattutto con vecchi Biondi Santi e Fattoria dei Barbi Colombini ... due emergenti poco conosciuti) , come vecchi Bordeaux , Barolo, Taurasi , vecchi Rioja avevano proprio questa caratteristica che li accomunava . Chiaro , la conservazione con corretti parametri ambientali sono indispensabili (il vino è un laboratorio biochimico che sottende alle leggi naturali legate di cinetica chimica) così come il culo di una chiusura ermetica adeguata (tappo) però quel fil rouge che unisce i grandi vini d'invecchiamento ha tratti molto comuni... PS: bevuto un mese fa Brusco dei Barbi 1972 ... annata del piffero? Boh ... era meraviglioso ...

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Alessandro

circa 6 anni fa - Link

Non sarei cosi sicuro nel ricevere smentite sul fatto che la longevità rappresenti una virtù nel vino. Sicuramente lo era 30/40 anni fa, vini tecnicamente imperfetti, e solo il tempo poteva smussare i 100 difetti. Oggi esordiscono perfetti. Bianchi longevi ??? Virano in un anno inesorabilmente, perdendo profumi e fragranza, con il progredire dell'ossidazione.

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