Se altri tremila ettari di prosecco vi sembrano pochi. Ecco come la vede Michele Antonio Fino

Se altri tremila ettari di prosecco vi sembrano pochi. Ecco come la vede Michele Antonio Fino

di Pietro Stara

Ho chiesto a Michele Antonio Fino (professore, viticoltore) che pensa dell’allargamento della denominazione Prosecco, ben tremila nuovi ettari. La risposta è alquanto articolata, insomma ne è uscito fuori un post. Ecco a voi.

Leggendo la notizia dei 3000 ettari di aumento della DOC Prosecco, deliberati dal Consorzio con il risultato di farne, di gran lunga, la più grande DO italiana, mi sono posto alcune domande, cui ho cercato di dare risposta. Un modo di condividere opinioni che ovviamente partono dal background personale per arrivare, se possibile, a un bilancio di previsione.

1. 3000 ettari in più sono la risposta giusta alla “Prosecco passion” dilagante? 
Beh, possiamo ben dire che nel campo la Francia insegna. I vini iconici d’Oltralpe, a mano a mano che il loro successo cresceva a livello internazionale e quindi si allargava la platea dei possibili acquirenti, hanno adottato storicamente tre strategie sinergiche: definire, gerarchizzare e tutelare la denominazione (in termini di nome geografico e know how) e quindi definire limiti alla zona di produzione che hanno garantito, in progresso di tempo, un crescente reddito ai proprietari inclusi, in un determinato momento storico (o immediatamente dopo, come ben ricordano nella Aube), come esito finale e progressivo di un aumento dei prezzi frutto della asimmetria tra una domanda sempre crescente e un’offerta irrigidita.

Nel Proseccoshire assistiamo festosamente al contrario.

Solo 10 anni or sono, un allargamento che tale non può nemmeno definirsi, perché si passò da una striscia collinare tra Asolo e Conegliano a due intere regioni del Nord-Est (e ora la terza già chiede: e io?). Con il risultato di creare la più grande area spumantiera e viticola d’Italia a DO in un sol colpo, offrendo possibilità potenzialmente infinite di aumento del potenziale viticolo. Le colline infatti hanno versanti e limiti naturali. Le pianure, molto meno. 3000 ettari sono tutto sommato un aumento contenuto considerando quanta terra agricola c’è (per ora) in Veneto e Friuli. Tuttavia, la crescita a fronte della domanda globale sembra sottintendere quello che chiamerei il “bisogno del surfista”: non importa a che prezzo (invariato, in media), ciò che conta è rimanere sull’onda. Perché se ne scende non si sa se e quando ritornerà.

Dunque, poco male se la redditività per bottiglia tendenzialmente rimarrà limitata a pochissimi euro: i numeri e il presidio delle carte mondiali dedicati allo sparkling valgono bene uno sforzo gigantesco. Forse c’è un po’ di carenza di fiducia nelle possibilità di un vino, in tutto questo, e magari anche un po’ di autoconvinzione, che tutto sommato il Prosecco DOC non possa esimersi dall’essere un prosecchino. Ma non tocca a me pronunciarmi. Tuttavia posso portare un esempio analogo di numeri aumentati per cavalcare l’onda delle bolle, quella volta dolci: quando un prodotto continuamente svilito da un’industrialità massificante e sfacciata ha visto passare la moda, i dolori sono emersi fortissimi e tutti, o quasi, per la parte agricola. Il caso è l’Asti e la resa ridotta recentemente a 60 quintali /ettaro ( tre anni fa superava i 100…) la dice lunga su chi tenga il coltello dalla parte del manico. L’agricoltura ha tempi diversi dall’autoclave: un Prosecco DOC si fa e si vende in giorni, mentre know-how e capacità agricola richiedono anni, producendo una rigidità che necessariamente soccombe.

2. Ci sono, fra Friuli e Veneto, 3000 ettari vocati o basterà piantare (o che sia piantato)?
Sicuramente 3000 ettari vocati alla viticoltura da destinare a Glera da Prosecco DOC non mancano, tra Veneto e Friuli. La prima è pur sempre la regione leader in Italia per produzione di vino. Tuttavia, esiste una consistente probabilità che gli ettari migliori siano già impegnati per coltivare altri vitigni, al fine di produrre altre denominazioni o indicazioni geografiche. Tra Veneto e FVG, infatti, ci sono oggi circa 100mila ettari di vigneto, ragionevolmente già collocati in massima parte sulle aree più vocate. Tutto questo porta a due conclusioni: l’impatto sulla viticoltura esistente, dell’aumento di 3000 ettari della superficie a prosecco DOC si farà sentire.

Secondo le regole in vigore dal I gennaio 2016, il Veneto ha diritto ogni anno a circa 700 ettari di nuovi impianti, su TUTTE le denominazioni. In FVG gli ettari sono all’incirca 200 ogni anno, sempre per tutte le denominazioni. Quante se ne potranno riservare al Prosecco DOC e anche in tal caso, quanto lo sviluppo del Prosecco DOC impatterà sulla possibilità di sviluppo delle altre DO e IG? Certo bisogna tenere conto dei diritti in portafoglio delle aziende, che si possono piantare fino al 2020, ma a parte i diritti acquisiti rocambolescamente a fine 2015, con la spesa dell’ultimo minuto, adesso il mercato è chiuso e chi non ha comprato non può più farlo. Inoltre, manco a dirlo, i diritti in portafogli non significano automaticamente avere terra buona da vite.

Infine, esiste certamente un bacino di glera oggi non iscritta ad alcun albo che potrà venire “nobilitata” divenendo, anche formalmente, idonea a Prosecco DOC. Tuttavia, si tratta di un bacino la cui entità non è valutabile in base a dati pubblicati.

3. È questo un esito scontato della programmazione vitivinicola e agricola in generale?
Non necessariamente. Il sistema delle autorizzazioni mette in mano alle Regioni il pallino delle decisioni su come far crescere il loro vigneto: in generale, non solo quello del Prosecco DOC. In questo senso, i 3000 ettari sono una proposta al governo di Zaia e Serracchiani. I due presidenti potrebbero varare decisioni che non siano collimanti con le entità e i tempi stimati dal consorzio DOC: magari, l’ipotesi è meramente scolastica, per ragioni di tutela ambientale e paesaggistica. Direte voi: e chi se ne frega di dove pianti Glera? Perché la Regione dovrebbe sindacare o ostacolare la decisione del consorzio? Beh, le cose non stanno proprio così. Piantare vite a fondovalle perché le colline ne sono coperte o eliminare ogni traccia di biodiversità agricola o selvatica dai luoghi migliori per mettere giù ancora qualche barbatella, ha dei pesanti costi per tutti. Costi che sono, innanzitutto, paesaggistici ma possono sconfinar nelle questioni di salute pubblica. Le peggiori avversità per la vite prosperano nelle pianure, nei fondovalle e sui versanti ombreggiati, più e meglio che in collina, dalla parte giusta. Dunque, tanto più si pianta in luoghi inadatti e tanto più occorrerà essere generosi nella difesa attiva.

Non direi che le Regioni debbono necessariamente subire le decisioni consortili, anche se non c’è dubbio che rispetto alla DOC Prosecco l’atteggiamento sembra sino ad ora decisamente accondiscendente.

4. 3000 ettari in più giovano a tutti ugualmente?
3000 ettari in più di prosecco DOC significano un numero di bottiglie certamente superiore ai 50 milioni/anno, in aggiunta agli attuali. E la stima è volutamente molto prudenziale, sotto ogni punto di vista. Se questo implicasse portare alla luce bottiglie che oggi anche grandi aziende producono da vigneti non iscritti alla DO, con vitigno e linee del Prosecco DOC, per etichettarle come Spumante, genericamente inteso, se ne gioveranno tutti i produttori delle DOC e delle DOCG. La concorrenza di vini spesso presentati in modo del tutto analogo, ma con prezzo ulteriormente ridotto, rispetto alle già basse medie del Prosecco DOC, rappresenta certo una subdola forma di concorrenza suicida o al massimo fratricida.

Tuttavia, non nascondiamo che è pura teoria un’ipotesi di 3000 ettari interamente o in maggior parte votati all’eliminazione di quel cuscinetto di prodotto anonimo: lo spazio e la richiesta per quel tipo di bottiglie rimarranno sempre, dunque perché rinunciare a presidiare la fascia ultra low cost? Dunque la spiegazione che in termini di probabilità sembra meglio attagliarsi ai dati circolati è che i 3000 ettari servano a presidiare una domanda che non è disponibile ad aumentare la spesa per il Prosecco DOC anche se è certamente molto incline ad acquistarlo. A livello mondo, lo sa chiunque giri i ristoranti anche in altri continenti, prosecco è da un pezzo sinonimo di spumante, che ci piaccia o meno. Un sigillo di acquisita fa e anche una condanna alla “commodityfication” che i Francesi hanno vittoriosamente combattuto nel caso dello Champagne, perseguendo una strada di sviluppo del tutto diversa da quella che sembra imboccata a Nord Est.

Dunque, tra tutti i produttori, questi 3000 ettari gioveranno in modo particolare a quelli che producono grandi numeri di bottiglie, per i quali far girare a pieno regime gli impianti costituisce innanzitutto un razionale uso degli stessi, anche se il margine primo per bottiglia confezionata non sarà che di qualche decina di centesimi.

Rimarranno esclusi dai benefici ed anzi, avranno ancor maggiore necessità di trovare strade diverse per comunicare e vendere il loro prodotto, i produttori delle aree DOCG (Asolo e Montello; Conegliano e Valdobbiadene) che possono però almeno contare su denominazioni dotate di menzioni tradizionali superiori e areali meglio delimitati e coerenti. Chi rimarrà con il cerino in mano, sono i piccoli produttori di qualità collocati territorialmente nella DOC Prosecco: decine di milioni di nuove bottiglie da primo prezzo con cui condividono la denominazione di origine potrebbero, da un lato, invogliarli a rinunciare alla denominazione stessa, e dall’altro, spingerli a cercare nuove e virtuose vie di specificazione produttiva, che ne attestino le aspirazioni fuor di commodity: esaltazione di terroir, tecniche produttive tradizionali e/o sostenibili, vinificazioni peculiari (metodo classico invece del Martinotti; rifermentazione in bottiglia in luogo dell’autoclave).

5. Esiste un effetto di sistema di un simile ampliamento della DOC Prosecco? Esso può costituire un modello o un rischio emulazione? Il maggiore rischio connesso ad una estensione tanto massiccia della DOC Prosecco è in realtà strettamente connesso al pessimo esempio, in termini normativi, rappresentato dalla DOC stessa.

Attraverso il ben noto escamotage che si è basato sulla frazione di Prosecco nella Giulia profonda, si è inserito nel disciplinare, come territorio della denominazione, un’area ovviamente disomogenea, data l’ampiezza, per altimetria, giaciture e composizione dei suoli. Con l’unico elemento unificante del vitigno Glera e della tecnica di spumantizzazione che De Rosa perfezionò a Conegliano, prendendo le mosse dal metodo Martinotti, si è virtualmente omogeneizzata, nella capacità produttiva, una miriade di areali diversi, che per secoli hanno sviluppato viticolture e attitudini colturali peculiari. E in Emilia l’evoluzione della DOC Pignoletto dimostra che l’emulazione è già iniziata.

Il risultato c’è già stato, ma aumenterà con i nuovi 3000 ettari: andiamo incontro all’abbandono di policolture oggi in auge a vantaggio della Glera da Prosecco, in uno con la riconversione di terre, oggi , vinegade con vitigni diversialla monocoltura.

Gli effetti sono già sotto gli occhi degli appassionati: già oggi DOC afflitte da anni di prezzi bassi e poco appeal, come Lison Pramaggiore, vedono abbandonare i tradizioni vitigni per il nuovo eldorado con le bollicine. E anche vitigni storici, che hanno nei secoli assunto, addirittura, il valore di sinonimo di uva bianca da vino, come la Ribolla in Friuli, cedono ettari alla riconversione o al sovrainnesto.
Il pericolo nel medio termine è la fine del paesaggio viticolo cui l’Italia deve una storia tormentata ma anche ricca di premesse per il futuro: un paesaggio punteggiato di cultivar autoctone spesso di areali molto limitati, movimentato da consociazioni agricole e policolture spesso ingegnose e sempre adeguate dalle generazioni ai caratteri del luogo, con una varietà di tecniche di allevamento diversificate per vitigno e giacitura del terreno.

Il pericolo, a lungo termine, è la creazione di un colosso dai piedi di argilla: una capacità produttiva gigantesca che secondo il più trito dei modelli riduzionisti punta su una crescita costante ed illimitata, che non esiste in natura. Ma con per di più una notevole asimmetria di rischio, poiché chi detiene gli impianti di spumantizzazione può certamente cambiare vitigno se la Glera dovesse tirare un po’ meno. Chi coltiva la terra, per riconvertirsi, avrebbe tempi certamente diversi. E nel frattempo, la biodiversità perduta difficilmente potrebbe tornare.

Michele Antonio Fino

avatar

Pietro Stara

Torinese composito (sardo,marchigiano, langarolo), si trasferisce a Genova per inseguire l’amore. Di formazione storico, sociologo per necessità, etnografo per scelta, blogger per compulsione, bevitore per coscienza. Non ha mai conosciuto Gino Veronelli. Ha scritto, in apnea compositiva, un libro di storia della viticoltura, dell’enologia e del vino in Italia: “Il discorso del vino”.

20 Commenti

avatar

Matteo

circa 8 anni fa - Link

A leggere il post pare che la bolla del Prosecco (tutt'altro che all'apice) sia destinata a scoppiare presto. Solito metodo italiano...

Rispondi
avatar

Paolo

circa 8 anni fa - Link

Devi specificare cosa intendi per "bolla": si tratta di un fenomeno che si riferisce ad un aumento rapido, eccessivo, ingiustificato dei prezzi, trascinato da una crescita repentina e limitata nel tempo. Le caratteristiche sono diverse, dal mercato immobiliare a quello finanziario. Nel caso agricolo, mi pare che l'articolo sia ben fondato, e anche nelel conclusioni chiarisca il rpoblema: discrasia tra andamento della domanda e struttura produttiva nelle sue articolazioni: la terra, gli impianti di vinificazione. Essere lungimiranti in questo caso, cioè ragionare sulla diffrenza tra commmodity con cui inondare il mercato e la vigna da cui produrre, non mi pare un esercizio inutile. Tutt'altro. Cinelli Colombini pubblicò qui alcuni articoli sulla secolare storia del distretto del Brunello, che ben spiegavano questi tempi, e le difficoltà di adattare le strutture agrarie alle mutevoli situazioni storiche. Mi pare una riflessione utile, anche per capire una volta di più la distanza tra la rincorsa dell'andamento contingente del mercato e le conseguenze strutturali a lungo termine sull'intero settore/distretto.

Rispondi
avatar

Lorenzo Biscontin

circa 8 anni fa - Link

Ma l'alternativa è tra l'abbandono dei vigneti di merlot Lison Pramaggiore per il Prosecco oppure il loro abbandono per costruire dei capannoni (persa la capacità di paesaggire, diceva Zanzotto). Anzi no, abbandono tout-court, perchè anche i capannoni sono abbandonati. Recriminare sull'istituzione della DOC multiregionale significa dimenticare che nella situazione precedente c'era il Prosecco IGT che copriva un'area ancora più grande, aveva rese più alte in vigneto in cantina e prezzi in proporzione più bassi rispetto alle DOC Conegliano Valdobbiadene e Asolo Montello. Tutto "prosecco" per la gran parte di consumatori (persone) sia in italia che all'estero. Tra l'altro con la possibilità di produrre "Prosecco" ovunque in Italia ed all'estero. Per me l'operazione non solo è positiva, a sacrosanta. Anche perchè non implica automaticamente un aumento di produzione rispetto alla vendemmia 2015. Non vi annoio oltre, ho argomentato il ragionamento in un post pubblicato domenica scorsa (che non linko perchè non so se è maleducazione, dovrò studiare più netiequette)

Rispondi
avatar

gianpaolo

circa 8 anni fa - Link

Non bisognerebbe evitare di evidenziare come il Prosecco sia visto a livello mondiale come un successo fenomenale che molti, moltissimi vorrebbero replicare altrove. La notizia dell'allargamanento della DOC, tra le altre cose, serve anche a disinnescare l'allarmisimo fatto circolare ad arte sulla possibilità di una carenza di Prosecco nei mercati internazionali, proprio da quei competitors che si stanno mangiando le unghie perché vorrebbero una fetta di quel mercato. Quello che è il prosecco ha fatto nel mondo, non è infatti togliere mercato allo Champagne, che come giustamente detto ha un altro mercato (in generale, anche se a Pasqua c'era champagne da Tesco a 7,99, giusto lo stesso prezzo del Prosecco DOCG), e neanche tantissimo al Cava, un altra grande denominazione che sii trova schiacciata tra le due realtà. Quello che i dati indicano chiaramente, sopratutto in USA, è che il Prosecco ha CREATO un nuovo mercato di consumatori che prima non c'erano, o che non bevevano vino, o che non bevevano spumanti, o che li bevevano solo durante le feste. E molti, anche al di la' dell'oceano, devono sentirsi e infatti si sentono, grati al fenomeno Prosecco. I bassi prezzi, giustamente. Ma i prezzi sono IL motivo per il quale il Prosecco ha avuto il successo che ha. Sono sostenibili? Non sta a me dirlo, certo un conto è fare metodo classico (Champagne, ma anche Cava) e un conto autoclave, i conti li deve fare l'imprenditore, difficile che sia piu' bravo lo stato, la regione, la provincia a farli. Il fenomeno finirà? Certamente nulla è eterno, ma il Prosecco ha creato un solco che puo' proteggere per lungo tempo, se riesce a consolidare la propria leadershio e rimanere rilevante per il consumatore? E chi vuol fare qualita, cosa deve fare? Certo, chi percorre una strada diversa di qualità si trova oggi schiacciato dal grande fenomeno della popolarità al prezzo di ingresso che ha. Certo, non si puo' avere il traino del nome, e il grande valore al tempo stesso, senza fare nulla. La DOCG non basta, chi vuole investire nella qualità non ha altra strada che differenziarsi con stili alternativi (col fondo, metodo classico) e percorre la strada di associarsi con produttori di stessa mentalità per creare un gradino che li porti al di fuori della mischia, anche senza per forza che sia una denominazione ufficiale. Vedi il Germania i VdP, che da soli rappresentano un marchio di qualità che nel tempo li aiuto' ad uscire da quello che era piu' o meno lo stesso problema, che è quello di grandi denominazioni famose per il basso prezzo. Vedi lo stesso che sta accadendo nella Rioja, dove produttori come Artadi hanno deciso di abbandonare la denominazione per seguire strade autonome. Oppure, per restare nel Cava, la DOC Penedes, che consente di puntare piu' in altro. Gli esempi ci sono, non sono facili, ma neanche impossibili. Evitiamo pero' di autoflagellarsi quando qualcosa ha successo, please.

Rispondi
avatar

michele fino

circa 8 anni fa - Link

Grazie delle preziose considerazioni. A scanso di equivoci non c'è alcun intento autoflagellatorio nel post. Ma non c'è nemmeno la misconoscenza di quanto la DOC Prosecco aiuti in maniera ben diversa piccoli e grandi produttori. E nemmeno tace il fatto che il quadro normativo di riferimento non collima con una DOC (altro è il discorso per la previa IGT) grande come Veneto e Friuli. Il carattere di irripetibilità richiesto perché la DOC sia fondata, qui, appare difficile da individuare. Anyway, grazie ancora.

Rispondi
avatar

gianpaolo

circa 8 anni fa - Link

Certo, infatti non era un riferimento al tuo articolo, misurato e ben calibrato. D'altro canto, per quanto riguarda le ragioni che delimitano le DOC, pur se formalmente le cose stanno come dici, nei fatti ognuno ha sempre poi piegato la teoria alla realpolitik del caso. E gli esempi piu' lampanti e clamorosi sono peraltro nei vini spumanti: Champagne, con l'Aube, che è a 100 km dalla zona originaria di Reims, Ay, etc. E il Cava, che puo' essere praticamente prodotto in tutta la Spagna!

Rispondi
avatar

gianpaolo

circa 8 anni fa - Link

mi è presa la curiosià di verificare su google map: REIMS - BAR-SUR-AUBE 152 km, TREVISO - PORDENONE 67 km

Rispondi
avatar

Armando Castagno

circa 8 anni fa - Link

Se siamo il paese delle differenze, dei 200 dialetti, dei 500 vitigni, delle mille microzone, delle mille culture, delle diecimila ricette e dei quattrocento formaggi, allora 67 km sono una enormità, dieci volte i 152 da Reims a Bar-sur-Aube. Se no è troppo comodo.

Rispondi
avatar

Michele A. Fino

circa 8 anni fa - Link

Su strada, Asolo-Prosecco(TS) sono 171 KM. MOndi messi in conttto. La Aube, come dimostrano i fatti dal 1908 al 1936 rappresentava il bacino di uve delle maison della champagne quando noi non avevamo ancora pensato la prima DOC (Marsala, 1950). Secondo me i casi vanno quindi distinti.

Rispondi
avatar

gianpaolo

circa 8 anni fa - Link

Mi verrebbe da dire che storicamente il Syrah del Rodano veniva usato nel Claret a Bordeaux, ma non per questo si penso' di estenderne la AOC a Hermitage... Comunque, capziosità a parte, riconosciamo che tutto il mondo è paese, e come qualcuno ha già detto, il Prosecco è il nuovo "capannone" del Nord-Est e andiam avanti.

Rispondi
avatar

gianpaolo

circa 8 anni fa - Link

"on ne peut pas gouverner un pays qui offre 246 variétés de fromages". Charles de Gaulle, 1962.

Rispondi
avatar

Stefano Cinelli Colombini

circa 8 anni fa - Link

Scusate, forse sono rimasto indietro ma proprio ieri ne discutevamo in Avito (l'associazione dei vini toscani) e risultava che tutte le Regioni hanno chiesto più ettari rispetto a quelli disponibili, per cui non c'è nessun avanzo da ripartire. Con solo 900 ettari disponibili per tutte le DOC e DOCG di Veneto e Friuli, come fa il solo Prosecco ad averne avuti 3.000?

Rispondi
avatar

Michele A. Fino

circa 8 anni fa - Link

Caro Stefano, innanzitutto l'aumento non è in un solo anno. Poiché la norma generale prevede l'umento dell'1% all'anno, ogni anno Veneto+Friuli hanno 950/1000 ettari, ma ovviamente non solo per il Prosecco. IL primo impatto quindi sarà senza dubbio sulle altre DOC: ci sarà a mio avviso una corsa alla conversione colturale e al cambio di albo. Poi c'è l'imponderabile quantità di ettari a glera non iscritti ad albi SO e IG attualmente.

Rispondi
avatar

Stefano Cinelli Colombini

circa 8 anni fa - Link

Dunque, allora è tutta un'altra cosa. Se Zaia e Serracchiani vogliono arrivare a un aumento di 3.000 ettari dovrebbero riservare al Prosecco metà dell'assegnazione per un triennio (mi domando come la prenderanno le altre DO, da noi sarebbe guerra) più ipotizzare 500 ettari all'anno di iscrizione di vigne esistenti. Dura da realizzare, ma mettiamo sia possibile. Sono 1.000 ettari all'anno, ovvero 1,1 milioni di bottiglie. Su 500 milioni prodotti all'anno, è lo 0,5% di aumento. Sbaglio, o stiamo parlando di nulla?

Rispondi
avatar

Stefano Cinelli Colombini

circa 8 anni fa - Link

Ops, mi è scappato uno zero. Sono 11 milioni di bottiglie, pari al 5% di incremento annuo. Comunque poco per una DO che da tempo cresce a passo di carica. Le domande in effetti erano per 30.000 ettari in un anno, quelli sì che avrebbero cambiato le cose. Non credo in meglio.

Rispondi
avatar

andrea

circa 8 anni fa - Link

La ribolla tira ancora. Il nome piace. Le sostituzioni stanno avvenendo a scapito del pinot grigio. Anche in collina.

Rispondi
avatar

Alessandro

circa 8 anni fa - Link

Ho letto un'articolo riguardo l'attribuzione di questi 3000, ed è stato esplicitato che la metà saranno destinati a aziende "storiche"... ma cosa vuol dire ciò.??? Dargli a chi sapeva già da prima della liberazione di questi 3000 ettari? Bifolchi disonesti bugiardi. Ad ogni modo il mercato sparkling risulta essere la locomotiva trainante del presente e di un futuro, più o meno lontano. Meglio salire su questo treno, sperando che ognuno faccia in maniera eccellente il proprio lavoro

Rispondi
avatar

Gianluca

circa 8 anni fa - Link

Darli alle aziende storiche significa che sono riservati a chi gia' produceva Prosecco prima del blocco di alcuni anni fa'. Ricordo ancora quando la Igt divenne Doc moltissimi inclusi vari personaggi di blog o twitter dicevano che il Prosecco era un prodotto morto che i prezzi sarebbero crollati a 0,40 euro e che era meglio piantare Pinot Grigio, chi pianto' Glera in quegli anni lo fece con un pizzico di rischio ma si chiama rischio di impresa.

Rispondi
avatar

Gianni Usai

circa 8 anni fa - Link

Mettiamo il Prosecco anche a Pontassieve-Firenze, così facciamo contento anche il premier...

Rispondi
avatar

Luca Ferraro

circa 8 anni fa - Link

solo per seguire i vari commenti

Rispondi

Commenta

Sii gentile, che ci piaci così. La tua mail non verrà pubblicata, fidati. Nei campi segnati con l'asterisco, però, qualcosa ce la devi scrivere. Grazie.