Quel che so della famiglia Gravner

Quel che so della famiglia Gravner

di Sara Boriosi

C’è stato un tempo in cui sono stata molto giovane, molto stupida e molto felice; la felicità tipica della spensieratezza.
Quella felicità, nel mio personale archivio delle esperienze gustative, ha un sapore definito e chiaro: il sapore dei vini del Collio e del Carso. Zidarich, Kante, Podversic, Radikon, Gravner, i nomi dei produttori a cui sono più legata e dai quali proviene la mia iniziazione al vino, nomi pieni di consonanti che rimandano a imperativi marziali più che alle dolcezze di ricordi struggenti.

Di Gravner ho memoria di bottiglie stappate con incoscienza. Vini bianchi dal colore cupo, così diversi da quelli a cui ero abituata; assaggiandoli ne riconoscevo la potenza senza capire a cosa poterli paragonare, nel tentativo di trovare parole giuste per definirli; vini talmente sfuggenti di fronte alla mia inesperienza, ma così spudoratamente luminosi.

È passato più di un decennio da quelle bevute immeritate, tempo speso a farmi un palato, inciampando spesso e malvolentieri in goffi tentativi di emulazione da parte di produttori sprovveduti, nello sforzo di partire laddove Gravner è arrivato dopo una vita spesa a provare tutto e il contrario di tutto.

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Sono stati necessari alcuni giorni per liberarmi dal senso di gratitudine che mi si è appiccicato addosso, da quando ho sostato in località Lenzuolo Bianco dove la famiglia Gravner vive e lavora; una sensazione che avrebbe potuto viziare il racconto delle ore spese insieme, tra pranzi in casa e visite in vigna; una famiglia così unita e capace di capirsi più attraverso gli sguardi che a parole, e a starci in mezzo si ha la sensazione di violarne l’intimità, tanta è l’intesa fra i componenti. Di Francesco Josko Gravner si è parlato tanto, sarebbe ridondante, forse inutile descrivere ancora e ancora la sua storia personale e il Gravner-pensiero, così artatamente frainteso dai più maliziosi, da chi non vuole riconoscere la monumentalità del lavoro svolto da un uomo che si concede poco. A fare da filtro tra Josko e il resto del mondo, la presenza indispensabile di Mateja, la figlia.

I Gravner non parlano: emettono sentenze.

“La natura ti dà tutto, e ogni tanto se lo riprende”, così lo zio Franz ammoniva il nipote Josko di fronte alla drammatica grandinata del ’96. Una lezione dura, per natura umana difficile da accettare senza fatica.

La vita ha tolto tanto ai Gravner, più di quanto due spalle larghe e piedi ben piantati in terra possano reggere. Eppure la lezione dello zio deve essere stata un deterrente per non perdere la bussola nel momento più buio che un uomo possa affrontare nella propria vita.

Per sbloccare Josko dal vicolo cieco, è stata necessaria la presenza di Mateja, una donna esile dal sorriso timido e la schiena dritta, abituata a mettersi in gioco e buttarsi in scelte – professionali e personali – niente affatto conformiste, ponderate da pancia e cuore. Così è stato quando, appena ventenne, è diventata mamma in un momento in cui si è graziati dall’energia sufficiente per tirare su due bambini e guadagnarsi una laurea e molta autorevolezza, mentre il resto del mondo (tra cui la scrivente) è indeciso se optare per il gap year o ciondolare ancora un po’ alla facoltà di Scienza delle Merendine.

Con il piglio decisionista proprio del suo carattere, nell’urgenza del momento, Mateja è tornata a Oslavje per affiancare il padre e gestire l’export, mentre suo figlio Gregor (ora ventenne) viene formato da Josko nel lavoro in vigna e in cantina. Difficile non notare il rispetto e la deferenza che il giovane ha nei confronti del nonno; “preferisco essere amato severamente che con falsa condiscendenza”, sentenzia questo ragazzone con lo stile asciutto tipico della famiglia, quando gli si domanda se Josko richiede troppo rigore nel lavoro quotidiano.

In casa si parla in sloveno, dialoghi brevi e molti sguardi.

È Mateja, come sempre, a spendere energia ed entusiasmo nel raccontare la storia della cantina che si sovrappone a quella di famiglia; radici, visione, cambi di rotta, ripensamenti e ammissioni di colpa, ritorno alle origini.

In mezzo alle parole che girano intorno a Josko ci sono i suoi vini monumentali, totemici, che non sono frutto del caso e che vanno oltre il concetto del tempo a cui siamo abituati durante in nostri assaggi banali. Vini che alcuni ostinatamente fingeranno di non capire per posa o per capriccio, ma  ricada su di loro la responsabilità di negare sette anni di dettagli che rendono ogni annata inaccessibile alle mollezze della propria zona di conforto.

Sono passati alcuni giorni da quelli spesi a Lenzuolo Bianco, e il senso di gratitudine che provo è ancora vivido, presente. Forse dipende dalla fortuna di aver condiviso con la famiglia Gravner certe giornate settembrine ventose, di quel vento che fa impazzire gli animali, e la luce abbagliante che investe il Collio dopo che è passato un temporale; oppure per le poche parole che non riguardavano il vino, scambiate un momento prima di rimettersi al lavoro.

Ma questo, se permettete, è affar mio.

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Sara Boriosi

Vivo come un’estranea nella provincia denuclearizzata, precisamente a Perugia. Bevitrice regressiva, il mio cuore appartiene al Carso. Dotata di una vena grottesca con la quale osservo il mondo, più dei vini mi piace scrivere delle persone che ci finiscono dentro; lo faccio nel mio blog Rosso di Sara ma soprattutto per Intravino. Gestisco con godimento la migliore enoteca della città, ma lo faccio piena di sensi di colpa.

5 Commenti

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Lanegano

circa 4 anni fa - Link

Grandissimo, immenso Josko. Ne parlano con deferenza e gratitudine tutti i produttori che ho avuto la fortuna di conoscere in quelle zone baciate da Bacco. In Località Lenzuolo Bianco trovate anche Il Carpino : vini elegantissimi, macerazioni calibrate, sapidità e mineralità impeccabile. Prodotto da una coppia di persone squisite ed ospitali. Sono una delle etichette meno 'glamour' ed enofighette della zona (gran parte della produzione va' all'estero). Provateli se non li conoscete e godetene appieno.

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Luca Miraglia

circa 4 anni fa - Link

Per capire quanto "avanti" siano stati, da molti anni, i vini di Gravner (e per questo del tutto incompresi anche da palati esperti), basta rileggere il sintetico e lapidario giudizio che ne diede la Guida de L'Espresso nella sua edizione 2003: "anche quest'anno i vini di Josko Gravner lasciano poco spazio ai commenti e alle giustificazioni (!). Carichi nel colore, approssimativi nell'esecuzione (!) e privi di qualsiasi spunto fruttato, il Breg e la Ribolla 1998 sono così lontani dal nostro modo di concepire il vino (!) che non ci sembra nemmeno giusto esprimere una valutazione. Per amatori." N.B. I punti esclamativi li ho aggiunti io per sottolineare quanto i pregiudizi ed i preconcetti possano incidere in una valutazione che, per sua natura e per il contesto dove è stata espressa, avrebbe dovuto mantenersi su toni quantomeno oggettivi.

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Aurora N

circa 4 anni fa - Link

Se si va oltre il contenuto, che in parte mi sento di condividere, rimane una recensione coraggiosa. Come oggi è difficile trovare in una epoca di genuflessione conformista verso un certo tipo di vini. Anche se non la senti tua, ti ringrazio per averla pubblicata. Rimane peró il fatto che Josko Gravner è un gigante rispetto a tanti epigoni che all'improvviso hanno scoperto le virtù della terracotta. Su Edy kante totalmente d accordo. Vini straordinari con una capacità di arricchirsi di sfumature con l'evoluzione come pochi altri in Friuli riescono a fare. Giusto l'altro Edy. In Zegla. Sarebbe interessante sentire un commento di Gravner, anzi una sua sentenza, circa il fiorire improvviso e diffuso, in ogni provincia e con ogni vitigno,delle vinificazioni in anfora.

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Sancho P

circa 4 anni fa - Link

Eh già. L'ultima in ordine di arrivo è una nota cantina laziale, che fa numeri importanti ed è sempre attenta agli umori del mercato. Non poteva non entrare in sintonia con la moda del momento e recentemente ha presentato a Roma in grande stile, in una location a cinque stelle, il suo bianco in anfora. Dalle barrique nuove all'anfora. Il cerchio è chiuso. Ma Cara Aurora, storpiando una canzone che canta mia figlia, si sopravvive a tutto bevendo un bianco di zegla. Meglio se di Edy, ovvianente.

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Paola

circa 4 anni fa - Link

Brava Sara, mi hai ricordato la mia visita alla famiglia Gravner. Anche io ho avuto il privilegio di passare del tempo con loro, nella loro casa e in cantina, e quando persone così riservate ti aprono la porta di casa ti resta dentro un immenso senso di gratitudine e ricordi indelebili. Sapevo già, prima ancora di leggere il tuo pezzo. Intimo e bello, come sempre.

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