Quattro modi di bere Veuve Clicquot Rosé

Quattro modi di bere Veuve Clicquot Rosé

di Alberto Muscolino

Sono stato a Modena Champagne Experience e mi è piaciuto. In fin dei conti è un modo abbastanza comodo e veloce per avere una panoramica ampia sul “vino delle celebrazioni”. Le 115 maison, tra grandi e piccole, offrono tutto ciò che si possa desiderare in quanto a tipologie, stili, approcci e filosofie produttive.

Certo, la location potrebbe essere qualcosa di meglio di un capannone triste e scuro dove lo spazio c’è, ma manca la grandeur, manca la rêverie... Ad ogni modo sono andato per un motivo specifico, non per sollazzarmi con gli avventori patinati, né per fare la mia personale selezione, ma per partecipare alla Masterclass sul rosé di Veuve Clicquot con Chiara Giovoni.

I motivi sono semplicemente due: cercare di capire se il pregiudizio atavico contro i grandi produttori è sempre fondato; provare ad approfondire meglio la tipologia dei rosé d’assemblage, partendo dalla maison che l’ha inventata. Già perché 200 anni fa, dopo l’intuizione della maison Ruinart che nel 1764 cominciò a colorare lo champagne con le bacche di sambuco, Madame Ponsardin Vedova Clicquot perfezionò la tecnica, assemblando, con i bianchi, anche del rosso di Bouzy. Quel vino rosso era, ed è ancora oggi, il pinot nero che, in quella posizione a sud-est della Montagne de Reims, acquista una peculiare eleganza fruttata e polposa, raggiungendo il culmine qualitativo nel famoso Clos Colin, vero e proprio cru monopole.

Il pinot nero è, dunque, il cardine dell’intera produzione aziendale, ha sempre la percentuale preponderante in assemblaggio e viene chiaramente esaltato nella versione rosata dove, a seconda delle annate, l’apporto del vino rosso ne determina nettamente l’espressività e gli equilibri. Le rispondenze, come sempre, vanno ricercate nei calici e per poter apprezzare una qualsiasi evoluzione si parte da una base semplice, solida e affidabile allo stesso tempo.

Rosé, S.A.
L’essenza è il frutto, si potrebbe chiosare così e chiudere la faccenda, perchè questo prodotto di ingresso nel mondo Veuve Clicquot in rosa è tutto giocato sulla piacevolezza dei profumi: fragoline e caramella alla fragola, pesca, brioche. In bocca è equilibrato e rotondo, non si scompone, non scalpita, non guizza. Il motivo è semplice: è stato costruito per essere universalmente piacevole, utilizzando una percentuale abbastanza alta di vini di riserva (dal 25 al 40%) che smussano ogni asperità, un dosaggio di 10 gr/lt e il 12% di vin rouge che conferisce carattere, ma senza esagerare.

Col secondo calice si entra nella galassia dei millesimi e, precisamente, con uno dei migliori degli ultimi 20 anni.

2008 Vintage Rosé
L’annata eccezionale è accompagnata da un cambiamento altrettanto clamoroso: Dominique Demarville diventa chef de cave e introduce, tra le altre cose, una novità assoluta: vinificazione e affinamento del 5% dei vini in botti di rovere. L’obiettivo dichiarato è quello di arricchire e intensificare l’espressività delle cuvée e qui si percepisce una netta virata dai profumi nitidi di frutta, a quelli più complessi di un bouquet in cui risaltano sentori agrumati, leggermente tostati, di pasticceria e di vinosità più marcata. La bocca è cremosa e sostenuta da un’acidità maggiore rispetto al S.A., pur mantenendo un grande equilibrio di base. La struttura si avvale di un maggiore apporto di vino rosso (14%) che ne intensifica anche la persistenza, dosaggio ancora da brut (8 gr/lt).

Il terzo vino è un omaggio alla signora della champagne.

La Grande Dame Rosé, 2006
Per questa blasonata cuvée si usano solo uve Grand Cru con l’aggiunta di vino rosso esclusivamente dai vigneti del Clos Colin. Tutto lascerebbe presagire un’apoteosi espressiva a tutti i livelli e invece trovo un naso un po’ chiuso, che si concede timidamente a sentori freschi di ribes, uniti a piccola pasticceria e a sbuffi iodati, nient’altro. Al palato è il più teso, intriso di una venatura acido/sapida molto verticale nonostante sia sempre presente una certa cremosità, una grassezza che fa da filo conduttore. L’apporto del vino rosso è del 15%, dosaggio a 8gr/lt, il tutto perfettamente integrato in un’intelaiatura pensata per sfidare il tempo. E’ un’eleganza sussurrata e affascinante, non pienamente compiuta, ma estremamente tesa verso il futuro.

La chiusura di questo breve excursus è riservata a una bottiglia proveniente dalla Cave Privée Veuve Clicquot.

Cave Privée Rosé, 1990
Un lunghissimo affinamento sui lieviti, fino alla sboccatura a Marzo 2011, ha evoluto meravigliosamente questo champagne, frutto di un’annata eccezionale che ha anche registrato un insolito record di ore di sole. Il risultato è di un’intensità opulenta al naso che mi ricorda un vecchio emporio parigino, dove i profumi sono stratificati e amalgamati e solo a tratti si può riconoscere un accenno di cipria, l’incenso, dei fiori appassiti, acqua di colonia, resina, composta di susina, caramello salato e una leggera venatura ossidata. La bocca è altrettanto imponente, gustosa e grassa, con un ritorno finale di liquirizia e sale. Di certo i pregiudizi sono duri a morire, ma quest’ultimo assaggio mi ha fatto vacillare.

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Alberto Muscolino

Classe '86, di origini sicule dell’entroterra, dove il mare non c’è, le montagne sono alte più di mille metri e dio solo sa come sono fatte le strade. Emigrato a Bologna ho fatto tutto ciò che andava fatto (negli anni Ottanta però!): teatro, canto, semiotica, vino, un paio di corsi al DAMS, vino, incontrare Umberto Eco, vino, lavoro, vino. Dato il numero di occorrenze della parola “vino” alla fine ho deciso di diventare sommelier.

8 Commenti

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pirri

circa 5 anni fa - Link

Può essere vero dire che sia più semplice assemblare piuttosto che fare un de saignée? L'uno mi sembra più costruito dell'altro, il risultato meno imprevedibile e molto più controllabile... quindi concettualmente più semplice. Lo champagne rosé nasce con metodo saignée o per assemblaggio? grazie

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Andrea Gori

circa 5 anni fa - Link

Lo champagne rosè può nascere in entrambi i modi. Teoricamente sembrerebbe più semplice l'assemblaggio ma in realtà il problema ogni anno è avere lo stesso punto di colore e il vino rosso stesso ogni anno cambia anche in maniera più drammatica di quanto cambi la parte dell'assemblaggio "bianco". Pensa a come può essere stato diverso un rosso da pinot nero fatto in Champagne nel 2015 rispetto ad uno del 2014... La scelta dell'uno è dell'altro spesso è questione di carattere a seconda se si voglia privilegiare masticabilità corpo e spessore oppure finezza ed eleganza. Ma ci sono esempi di finissimi ed eleganti rossi da saignèe e corposi e masticabili rossi da assemblaggio quindi come spesso in champagne dipende dal manico e dalle scelte aziendali

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pirri

circa 5 anni fa - Link

storicamente i produttori di champagne han cominciato producendo de saignée o assemblaggio?

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Alberto Muscolino

circa 5 anni fa - Link

Se si esclude il primo tentativo di Ruinart che si avvale delle bacche di sambuco come colorante, per quello che ne sappiamo, lo champagne rosé nasce dall'intuizione di Madame Clicquot. Sulla nascita esatta del metodo "de saignèe", invece, mi riservo di indagare meglio, perchè non sembra esserci una fonte altrettanto conclamata che ne attesti l'origine.

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pirri

circa 5 anni fa - Link

Attendo trepidante

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Andrea Troiani

circa 5 anni fa - Link

Celebrazione? Champagne va bene sempre, anche a colazione. 😁

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pirri

circa 5 anni fa - Link

Grazie, sulla nascita intendevo, storicamente han cominciato producendo de saignée o assemblaggio? Con gli additivi che vende l'AEB oramai colore e corpo mi sembrano controllabili al micron...

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D.F.

circa 5 anni fa - Link

A proposito di Saignèe, ma cosa si intende di preciso: salasso o macerazione pellicolare? E le due tecniche, si posso considerare affini o portano a risultati qualitativamente diversi?

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