Podere Giardino, il fascino discreto del Lambrusco

Podere Giardino, il fascino discreto del Lambrusco

di Davide Bassani

Lambrusco ti voglio bene. Probabilmente lo avrebbe detto anche il Cioni Mario – anzi no, il Cioni ci si sarebbe ubriacato inveendo contro il destino cinico e baro che prima gli sfila le 4000 e poi, in mancanza del contante, gli piazza il Bozzone come padre adottivo. E poi il Cioni preferiva Berlinguer.

Dicevo del Lambrusco: ho trovato uno che gli vuole bene, anche più di me, forse perché lo fa. E lo fa per bene. Io con i vini sono così: prima li addocchio a mo’ di mezzo da ricognizione poi affondo il colpo in cantina. Ne avevo già parlato, nel mio resoconto sul mercato FIVI del 2019. Quel metodo classico a base di Lambrusco Marani non mi è più andato via dalla testa (ma dalla cantina sì). Lui è Marco Crotti e la sua azienda si chiama Podere Giardino – Reggio Emilia.

Pianura che più pianura non si può – “la nostra è alta pianura, le colline sono a pochi chilometri da qua”, città che nel volgere di pochi metri concede alle campagne ciò che fino a prima del boom edilizio era Reggio Emilia: “qua per fortuna siamo rimasti in un’area verde ed ora tutti riconoscono il fatto che questa sia una zona da conservare; oltre che a vendere un prodotto, si vende un terrritorio”.

Azienda fermamente biologica e rese in vigna non superiori ai 100 q.li/ettaro – “non spingiamo con le concimazioni, lasciamo il vigneto inerbito, non irrighiamo – avendo la falda alta non abbiamo mai avuto problemi di stress idrico, certo, nelle annate calde le piante rallentano ma non soffrono. Con la potatura giusta arriviamo a far produrre alla vigna quanto serve. Io sposo la filosofia della bottiglia e non mi interessano gli zuccheri, il colore, la quantità: io voglio anche altre caratteristiche”

Lo sono andato a trovare nel sabato più caldo dell’anno e la chiaccherata comincia subito con l’aneddoto inaspettato per chi crede di conoscere il mercato americano e gli americani, il Lambrusco e tutto il resto. Non stiamo più parlando di Red Cola, evidentemente. “Mi chiama il mio importatore a New York e mi dice: vogliamo fare una cena con alcuni ospiti, portami qualche vecchia annata. Io gli spedisco il rosato 2012, il rosso 2014, lo spumante 2016 ed in effetti, quando le ho stappate, son rimasto sbalordito: una freschezza stupenda ed un’armonia incredibile”.

Non abbiamo più a che fare con un vino di pronta beva ma che, con il tempo, diventa di “bella beva”, nonostante l’insistenza dei clienti per la Malvasia (un metodo ancestrale tappato a corona, a base di Malvasia di Candia aromatica): “son vini che hanno bisogno di tempo, ho dovuto mettere in vendita la Malvasia perché la gente mi pressava”. Assaggiata a temperatura cantina – attorno ai 16° – con la canicola fuori: piacevole anche se un po’ chiusa, moderatamente aromatica “anticipo la vendemmia di 4/5 giorni sulla piena maturazione ed aggiungo al mosto della malvasia normale – non aromatica – per diminuirne l’aromaticità ed allo stesso tempo elevarne l’acidità” è con il passare dei minuti (appunto) che il vino si apre e concede all’aroma spazio ai fiori freschi, all’erba appena tagliata, al fieno. Godereccio e dissetante, ideale per il pranzo della domenica all’aperto, per una scampagnata. Con la temperatura giusta, da frigorifero, sarebbe stata perfetta.

Nel Podere i Lambruschi fanno la voce grossa e sono declinati in tre versioni rosa (rispettivamente: un metodo charmat, un metodo ancestrale ed un metodo classico) ed in un paio di versioni rosse (il metodo charmat e l’ancestrale). Il Marani entra in purezza in tutti i rosati, anche per scommessa: “ho notato che spesso, nei rosati, viene usato il Lambrusco Salamino che è più sapido, minerale, ma per i miei gusti un po’ troppo fragrante e poi il Marani, se vuoi portarlo in cantina sociale, te lo pagano una sciocchezza cosa che non succede con il salamino”.

Il metodo classico poi è nato da un’annata storicamente sfavorevole, la 2014 – “annata con poco colore, pochi zuccheri, grande acidita” e da un’intuizione: “mi regalarono un atlante ampeleografico con un diagramma a cerchi concentrici sui quali erano indicate le caratteristiche organolettiche e sensoriali di diverse uve: notai che il Marani aveva parecchie cose in comune con i due Pinot (Nero e Meunier ndr) e poi ricordai che nel nostro disciplinare è previsto il Marani vinificato in bianco – Blanc de Noirs: mi si accese la lampadina! Volevo capire dove potevamo arrivare con un vino espressamente fatto per l’invecchiamento, capire dove potesse arrivare il Marani: son riuscito a sboccare per lotti il metodo classico (annata 2016 ndr) e l’ultimo è stato lavorato dopo 40 mesi di permanenza sui lieviti. Non sono molto esperto di Franciacorta e di Champagne ma, adorando le bolle, sono molto contento del risultato”.

I Lambruschi charmat sono imbottigliati con del residuo zuccherino – “siamo passati dai 10 g/l delle prime vinificazioni agli attuali 5-6” – ma mantengono un’ottima freschezza ed una flessibilità in abbinamento che – parer mio – solo i Lambruschi (quelli fatti con cura) hanno. E poi son buonissimi. In entrambi i casi non abbiamo di fronte dei vini d’annata tant’è che il rosato è un 2017 ed il rosso (uvaggio di Marani, Salamino, Oliva, Ancellotta e Malbo gentile) un 2018. Alla faccia di chi dice che il Lambrusco non invecchia – affina? – in bottiglia. A patto di conservarli per bene – “i miei son vini delicati, uso poco solfito (per la Malvasia nessun solfito aggiunto ndr) e, per mantenere una certa resistenza, mi affido alle caratteristiche intrinseche dell’uva, il tannino, quando c’è, l’acidità, la bolla”.

Tranquillo, io li conservo benissimo dato che, senza Lambruschi, “la veggo buia”. Cit.

 

Foto di copertina: Mauro Fermariello – Winestories

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