Pino Ratto: un ricordo dell’uomo solo di Ovada

Pino Ratto: un ricordo dell’uomo solo di Ovada

di Alessandro Morichetti

Filippo Ricagni è uno studente del Master in Cultura del vino italiano presso l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo. Questo articolo è la sua prova d’esame in Enogiornalismo e Wine Blogging.

Suo padre commerciava prodotti alimentari, Pino amava raccontare delle forme e del profumo di parmigiano di casa sua, come ricordava con piacere gli studi fatti alla scuola degli Scolopi, mentre dei suoi anni da giovane promessa del calcio amava ricordare fisicità, competitività e voglia di segnare un goal che fanno parte di questo sport.

Ma la musica, il jazz in particolare, gli donava la tranquillità ed anche il piacere dell’ascolto. Il suo strumento era il clarinetto, cucinava le carni in modo straordinario e il suo coniglio alla ligure era indimenticabile. Poco raccontava degli studi universitari, della laurea in farmacia e degli anni trascorsi a Genova dove praticò la professione.

Pino Ratto il farmacista, con un certo sarcasmo, con un poco di invidia e con un fondo di malignità era denominato dai viticoltori dell’Ovadese. Pino lo sapeva, ci giocava, e forse ci soffriva, ma lui non era mai stato uno di loro. Uno dei primi a giocarsi tutto sulla bottiglia, mentre in quegli anni il vino si vendeva sfuso in damigiana e i produttori di Ovada correvano tutti i giorni a Genova e, come diceva Pino, “pensano solo ai soldi, non a fare il vino buono” e neppure al futuro del loro territorio.

Pino Ratto non so se amasse i francesi ma per lui la Borgogna e la suddivisione dei loro vini in Grand Cru e Premier Cru erano un esempio da cui non prescindere per il rigore con cui hanno classificato e definito il loro territorio. Di un uomo così Luigi Veronelli non poteva che innamorarsi, ché per Veronelli prima c’era l’uomo poi il vino, espressione di chi lo produce.

Pino Ratto e i suoi due vini, due dolcetti, due vigne, due storie. Due storie, perché Pino Ratto aveva ben chiaro che il vino è una storia da raccontare, e la storia degli Scarsi e delle Olive la raccontava con sentimento, era la sua storia.

Gli Scarsi, la storia della sua famiglia, di suo padre che aveva acquistato quella cascina a San Lorenzo e, piantata la vigna aveva iniziato a produrre i suoi vini; Pino ne aveva ereditato la storia da continuare. Le Olive, la sua vigna, la storia che avrebbe dovuto continuare.

Pino Ratto era un vignaiolo scorbutico, controcorrente, contraddittorio, intelligente. La sua narrazione era fantastica, spesso conteneva concatenazioni di eventi e personaggi che andavano oltre la realtà ma che davano al racconto forza e carattere. I vini di Pino Ratto erano grandi e meno grandi, grandissimi nelle annate importanti: attendere la maturazione del frutto, vendemmiare qualche giorno dopo correndo qualche rischio perché poi l’uva ti ripaga con la qualità.

Assaggiare il mosto appena pigiato e confrontarlo con i fichi che maturano alle Olive era davvero interessante, nessun babo ma un confronto tra due frutti che maturano negli stessi giorni. Poi la vinificazione a botte chiusa, odiava i rimontaggi e ci ricordava che il vino, se l’uva è buona, si fa da solo, occorre tempo, occorre dargli “il tempo”. Oggi si definiscono vini naturali, come vini delle 3A, Agricoltori Artigiani Artisti.

Pino non avrebbe mai voluto essere catalogato in questo modo, ma Artista lo era davvero. Forse la sua vera A era quella di Anarchico, un anarchico senza catalogazione. I suoi due vini erano eleganti e longevi, maturavano in vecchie barriques che curava con molta attenzione, nel lavaggio aggiungeva una mistura d’erbe che, così diceva, regalavano profumi al legno usato.

Il tempo dell’affinamento, come per l’uva, era il tempo che occorreva concedere al vino per essere pronto, le barriques leggermente girate a destra, per evitare il contatto con l’aria, dovevano contenere il vino che doveva tranquillamente trascorrere il suo tempo. Nessun batonnage, nulla che potesse intralciare il vino nel suo percorso. Non sempre i suoi vini erano perfetti, qualche volta erano un poco ruvidi, qualche volta avevano qualche profumo impreciso. Erano i vini di Pino, gli assomigliavano sempre.
Vinificò anche la barbera, Luigi Veronelli ne esaltò profumi ed eleganza, anche per l’amicizia e la fiducia. Pino Ratto ci mancherà per sempre, indomito, irripetibile, intelligente.

Chi mi ha guidato in questo percorso attraverso la vita di Pino ha concluso dicendo ‘’per diverse annate Pino mi considerò uno dei suoi assaggiatori, esprimevo il mio giudizio sui vini che dovevano essere messi in commercio. Scendeva in cantina e risaliva con una o due bottiglie di vino, le stappava e in silenzio, mentre pranzavamo, attendeva il mio pensiero sul suo vino.’’

Filippo Ricagni

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Alessandro Morichetti

Tra i fondatori di Intravino, enotecario su Doyouwine.com e ghost writer @ Les Caves de Pyrene. Nato sul mare a Civitanova Marche, vive ad Alba nelle Langhe: dai moscioli agli agnolotti, dal Verdicchio al Barbaresco passando per mortadella, Parmigiano e Lambruschi.

1 Commento

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Il suonatore Jones

circa 7 anni fa - Link

Amava la Francia e i francesi me lo ha detto in più occasioni

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