Perché raccontare il vino è una faccenda complessa

Perché raccontare il vino è una faccenda complessa

di Redazione

Lisa Foletti è una sommelier con notevole esperienza di lavoro e ci ha inviato questa interessante riflessione. A noi è piaciuta molto e crediamo piacerà anche a voi.

Raccontare il vino è una faccenda complessa, spinosa, che sta fra l’esercizio di stile, il virtuosismo tecnico e la velleità poetica. Tra professionisti e appassionati, il dibattito sul linguaggio del vino è sempre aperto e ci si interroga spesso sulla maniera più efficace di parlarne, finendo col dividersi tra opposte fazioni.

I sostenitori della scheda tecnica e della disamina analitica, cioè i fautori dell’oggettivazione, guardano con malcelato fastidio i divulgatori, coloro che al dato tecnico preferiscono la metafora, la suggestione, l’emozione. Da un lato c’è l’esigenza di inquadrare un prodotto sotto il profilo organolettico e oggettivo, secondo una precisa metodologia che consenta di prescindere da fattori soggettivi ed emotivi, dall’altro c’è l’urgenza di trasferire ciò che il vino porta con sé in termini emozionali, intimi, viscerali. I due approcci paiono entrambi validi e di pari interesse da un punto di vista concettuale, ma rispondono a esigenze completamente diverse, e come tali andrebbero utilizzati: nel caso di degustazioni tecniche, finalizzate a compilare guide e stilare classifiche, o assegnare denominazioni, l’approccio scientifico e analitico è probabilmente il più adatto, oltre che il più efficace; ma nelle degustazioni divulgative, nella stesura di testi e articoli o nella mescita al banco e ai tavoli dei locali, affidarsi alla sola tecnica e ai descrittori codificati può risultare penalizzante, se non controproducente.

Sembra facile, dunque, distinguere le due circostanze e individuare le relative sfere di applicazione: ma la realtà è molto più nebulosa e insidiosa, e spesso individuare l’approccio giusto per ogni singola situazione richiede parecchia sensibilità.

Quante volte ci si imbatte in trafiletti, post e articoli di blogger, giornalisti o appassionati, che già alla seconda riga fanno calare la palpebra e morire di inedia per l’asetticità e la serialità dei contenuti? O quante volte capita di partecipare a degustazioni e serate, anche di un certo prestigio, in cui il degustatore di turno si fissa in dissertazioni tecnico/scientifiche, perdendo di vista l’aspetto comunicativo, l’empatia e il racconto del vino? Per contro, può accadere di incappare in qualche scheda tecnica che, dietro una manciata di termini altisonanti, cela lacune profonde dal punto di vista scientifico e analitico, facendo dubitare della sua stessa serietà e attendibilità.

La qualità di essere allo stesso tempo un abile degustatore e un affabulatore non è di tutti, e sovente chi è bravo in una cosa non riesce altrettanto bene nell’altra. Le conoscenze tecniche e le abilità analitiche si sviluppano con lo studio, la ricerca, la pratica e l’esperienza. La capacità di raccontare, creare suggestioni, accompagnare le persone in un viaggio presuppone cultura, talento nella comunicazione e predisposizione a entrare in empatia con gli altri, caratteristiche che non vanno necessariamente di pari passo con la conoscenza tecnico scientifica. Per poter parlare alla gente, occorre padroneggiare non solo il mondo del vino, ma anche il mondo al di fuori del vino, e trovare il nesso fra il cervello e le viscere, fra il prodotto e le emozioni che esso sa generare.

Descrivere sinteticamente la limpidezza, la consistenza e gli aromi di un vino, il più delle volte significa descrivere mille vini e nessuno: molti profili organolettici si assomigliano, e al di là del dato tecnico, non contribuiscono a incuriosire, catturare l’attenzione né imprimersi nella memoria; il vino, così scomposto in un infinito di oggettività fino a scarnificarsi, si approssima a un giudizio universale e assoluto, algido e perentorio. Creare immagini e suggestioni, invece, apre la porta all’emotività e può rendere unica l’esperienza di un vino. C’è poi chi si fa prendere la mano in tal senso, e l’afflato poetico/letterario dilaga al punto tale da svincolarsi completamente dall’oggetto descritto, così che l’ascoltatore, o il lettore, si sente preso per i fondelli: “ma non si stava parlando di vino?”.

Ecco, la difficoltà sta proprio nel rendersi credibili, padroneggiando una solida base tecnica e, all’occorrenza, sapendosi abbandonare al racconto, sempre con il calice ben saldo nella mano.

Lisa Foletti

8 Commenti

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Fabrizio Bandiera

circa 7 anni fa - Link

tipo usare "afflato" nel testo di questo articolo

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Lisa Foletti

circa 7 anni fa - Link

"Afflato poetico" è una locuzione in uso. E l'ironia, ahinoi, sconosciuta.

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Davide Baietti

circa 7 anni fa - Link

Lisa molto brava. Complimenti bellissima riflessione.

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sergio

circa 7 anni fa - Link

Mi sono soffermato più volte sulle considerazioni del post che individua bene i poli entro cui parlare di vino. Ma è un dibattito antico. Più o meno sono d'accordo con la soluzione che viene suggerita, ma do più importanza alla valutazione analitica. Io penso che tra non molto avremo delle macchine in grado di fare analisi sensoriali più precise e obiettive degli umani, che, comunque, integreranno la scheda della macchina-robot con valutazioni personali.. Il cliente avrebbe più strumenti per scegliere. Agli umani resta ancora la descrizione del vino sul lato delle emozioni ecc... che un robot (ancora) non ha. Su questo secondo aspetto sono d'accordo ma poi, in concreto, ognuno preferisce uno stile narrativo che può essere molto diverso da quello che preferisce un altro. . Il cliente, poi, dopo aver letto la scheda del robot, dell'umano-esperto e ascoltato il racconto dovrebbe scegliere in base al proprio gusto, sperando che i primi tre abbiano lasciata intatta la sua autonomia e libertà. . Ma il problema è ancora più complesso e coinvolge aspetti forse anche più rilevanti, che qui vengono, forse, dati per scontati.

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Emanuele

circa 7 anni fa - Link

Io sottoscrivo. Long live the correlative objective.

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vinogodi

circa 7 anni fa - Link

...un articolo che mi è piaciuto tantissimo . Mò ci rifletto sopra un po' ...

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Michele Coratti

circa 7 anni fa - Link

Brava Lisa, concordo !

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Sisto

circa 7 anni fa - Link

Io vi posso certificare che i mitici guru che parlano per ore quando presentano uno champagne o un barolo o un tokaji, se gli dai in mano un bicchiere di "provincia di Pavia IGT-bianco frizzante" e gli chiedi di parlartene, sembrano degli incapaci mentecatti. Troppo comodo essere dei guru così.
E con ciò valido quanto descritto nell'articolo.

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