Perché non mi piace il vino del winemaker

Perché non mi piace il vino del winemaker

di Salvatore Agusta

Signori della corte, oggi voglio portare al tavolo degli imputati tutti quei vini che vengono prodotti a partire da un obiettivo finale, piuttosto che da un terroir d’appartenenza.
Esatto, parlo di tutti quei vini che si presentano come blend portatori di sovrastrutture, con percentuali ben definite e passaggi di vinificazione che immagino avvenire nei laboratori segreti di Batman.
La mia non è tanto una critica di stile, né tantomeno di risultato, piuttosto uno sfogo verso questo approccio che svilisce il senso stretto della vinificazione, intesa come espressione di una cultura e di una storia.
Gli americani hanno acuito questo fenomeno, esasperando al massimo quelle che erano vecchie abitudini e soluzioni bordolesi per far fronte alle cattive annate.

In California, la faccenda è sfuggita un po’ di mano e la contaminazione ha ormai colpito anche l’Argentina, l’Australia ed il Cile.
D’accordo che si tratta di nuovo mondo, il che implica l’assenza di una tradizione così come la intendiamo noi, ma l’opulenza fine a sé stessa produce un fenomeno di appiattimento che, nel lungo termine, porta ad una limitazione nei confronti della potenziale diversità di stili e generi che quella zona potrebbe nascondere.
La maggior parte dei vini a cui mi riferisco hanno di base le stesse varietà, si modulano secondo processi di vinificazione speculari e quando riescono a distinguersi è solo in virtù di sensibili differenze climatiche (ad esempio, in California, la differenza che può intercorrere tra Mendocino County e Alexander River Valley or Russian River Valley che notoriamente sono più fresche e ventilate).
Non a caso che gli americani hanno coniato l’espressione winemaker, sebbene in inglese esistesse già il termine oenologist.
Quando penso ad un winemaker immagino sempre una scena alla Frankenstein junior (si-può-fare!), dove l’alchimista perfetto incontra la formula magica.

A testimonianza di questo mio personalissimo sfogo, porto “Kuleto Estate, Native Son, Napa, California 2016
Premetto che si tratta veramente di un gran bel vino, con ottima tenuta e soprattutto un equilibrio che, a leggere le prossime righe, anche voi penserete ad un trapezista che si esercita sotto le fiamme.
Blend di 22% malbec, 20% merlot, 20% petite sirah, 11% tempranillo, 27% zinfandel.
A queste varietà aggiungono quando è possibile anche cabernet sauvignon e sangiovese. ll tutto, proveniente dalle colline più alte della zona, che si affacciano sulla valle di Napa; il blend finale matura per 16 mesi, diviso in ugual misura tra rovere francese nuovo, americano e ungarerese.
Il vino in questione viene presentato dall’azienda come l’incontro tra vecchio e nuovo mondo, dove i fattori essenziali di entrambi gli stili si incontrano e sposano in un sorso caldo ed avvolgente.
Nulla da eccepire, vino per nulla pacato ma con una trama sottile ed affusolata che porta ad un finale lungo e prorompente.
Insomma uno di quei vini che a volte vengono definiti golosi o polposi ma contestualmente calibrato e per nulla sopra le righe.
Allora vi chiederete, cosa non va?
Beh, e questo è solo un pensiero personale che condivido con voi, come lui ce ne saranno altri cento mila e alla fine non è riuscito a trasmettermi nulla che vada oltre la sua essenza più superficiale.

E tutto questo mi trasmette un misto di noia e tristezza.

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Salvatore Agusta

Giramondo, Francia, Lituania e poi Argentina per finire oggi a New York. Laureato in legge, sono una sorta di “avvocato per hobby”, rappresento uno studio di diritto internazionale negli Stati Uniti. Poi, quello che prima era il vero hobby, è diventato un lavoro. Inizio come export manager più di 7 anni fa a Palermo con un’azienda vitivinicola, Marchesi de Gregorio; frequento corsi ONAV, Accademia del Vino di Milano e l’International Wine Center di New York dove passo il terzo livello del WSET. Ho coperto per un po’ più di un anno la figura di Italian Wine Specialist presso Acker Merrall & Condit. Attualmente ricopro la posizione di Wine Consultant presso Metrowine, una azienda francese in quel di New York. Avevano bisogno di un italiano ed io passavo giusto di là. Comunque sono astemio.

14 Commenti

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Andreuccio

circa 5 anni fa - Link

Magari con un po di brett la tua esperienza sarebbe stata diversa?

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Angela

circa 5 anni fa - Link

Onestamente condivido in pieno il post, sarà che sono reduce da una recente esperienza Californiana...e devo dire che se avessi trovato un po' di brett in mezzo a tutto il legno e ai golosi frutti che ho sentito...beh...sarei tornata forse un po' più felice!

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Salvo

circa 5 anni fa - Link

Sai cosa Angela, presi singolarmente sono ottimi vini, che volendo rappresentano uno stile ed un approccio ben definito. Tuttavia, nel complesso, si finisce per esser inondati da un panorama monotematico che ti lascia con una sensazione di staticità. Infatti, con il mio post non voglio scoraggiare il lettore dall'esperienza, piuttosto vorrei condividere le mie sensazioni, anche per sentire qualche punto di vista diverso dal mio.

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Angela

circa 5 anni fa - Link

Infatti la mia nota è molto legata ad un preciso stile che li rappresenta, vini spesso troppo carichi, almeno per il mio palato, ben fatti nei loro eccessi niente da dire. Però mancava qualcosa, un'identità forse, nonostante avessero molto. Accanto a questi ho avuto modo di bere anche qualcosa di meno costruito, ho cercato di capire come la pensano loro...ci sono aziende che producono vini meno artefatti, magari in biodinamica...l'unico problema è che non è facile trovarli e sono ancora in forte minoranza. Molte le potenzialità.

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Tre Galline

circa 5 anni fa - Link

Leggo solo ora l’articolo del 15 maggio, che condivido al 100%: il “Vino” si fa solo in Italia e Francia , nelle altre parti del mondo si fanno cose a base di uva, talvolta buone, da bere. Per fare il “Vino” ci vuole terroire, storia, esperienza, cose che mancano al nuovo mondo. E te lo dico da persona che vive in Valle di Guadalupe, la zona vitivinícola piú affermata del Messico ! In quanto al Vino portato in esempio, di Pat Kuleto, amico carissimo anche se non vedo da tempo, mi ricordo lo stupore che provai quando visitammo il vigneto (2004) dove aveva organizzato un piccolo treno che attraversava i vari vigneti per arrivare ad un piccolo laghetto: tutto artificiale...come il vino!!

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ALESSANDRO

circa 5 anni fa - Link

Per me queste sono santissime parole. Prodotti standard figli di calcoli, ricerche di mercato e fogli excel. Niente di più noioso davvero.

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hakluyt

circa 5 anni fa - Link

La domanda sorge spontanea: avv. Agusta, come ha fatto a "sentire" tutte quelle bellurie nel vino se è astemio ???

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Salvo

circa 5 anni fa - Link

ahahahahha, non sono astemio, era una battuta.

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hakluyt

circa 5 anni fa - Link

Beh, una battuta ci sta in un post ma non in un "curriculum"...

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Salvo

circa 5 anni fa - Link

Corretto, infatti quello non è il mio curriculum; al massimo una simpatica biografia in stile Intavino.

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Patrick Jane

circa 5 anni fa - Link

Ma scusate, se questi vini vengono ancora prodotti significa che vengono ancora venduti, e cioè che incontrano il gusto di una parte dei consumatori. Sicuramente la parte meno cosciente, ancora più sicuramente quella meno modaiola. Perché quella del vino naturale come piace a voi, oltre a legittimo tentativo di affrancarsi dall'omologazione è pure moda, e perniciosa. Ma francamente, che si voglia partire da un pastiche di uvaggio arlecchino con mix di botti nuove per categorizzate un intero mondo espone i vostri preconcetti e la vostra coda di paglia. Vi vorrei vedere a recensire un Vega Sicilia Unico, vino prodotto nello stesso stile internazionale che deprecated, al giusto punto di maturità. Vi verrebbero i lacrimoni.

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Franco

circa 5 anni fa - Link

no dai, credo che nessuno volesse deprecare niente... semplicemente riflettere su uno stile che non vediamo come nostro. Credo che se passassero dall'Unico con giusta maturità ne riconoscerebbero l'anima e il valore. Il punto è che la produzione finalizzata ad incontrare un tipo di gusto è un paradigma totalmente opposto a produrre quello che la vigna di quel terreno mi offre: quale delle due strade garantisce eterogeneità dei risultati? Direi la seconda... è così bello il capitalismo... ognuno può scegliere la strada che ritiene migliore per sviluppare il suo business... forse alla lunga avran ragione queste piccole e sparute realtà che fanno con quello che hanno senza cercare ossesivamente un target per incontrarne i gusti... o forse no. Detto questo, ammiro quei produttori che se ne fregano del gusto di un target di persone e producono quello che credono senza esoterismi. É fastidioso essere preso come obiettivo per un determinato prodotto...

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Giorgio

circa 5 anni fa - Link

Non è una regola infallibile, ma di solito quando una cosa piace a molta gente, significa che è di scarsa qualità. È un problema questo? Assolutamente no, nel mondo c’è spazio per tutto, basta essere chiari e consapevoli.

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claudia

circa 5 anni fa - Link

Come Intravinici fate un post sui winemaker e non sparate a zero su Cotarella? State invecchiando davvero. Ma tornando al post in oggetto .L'enomondo è grande e c'è spazio per tutti , poi la versione social mi fa molto ridere , la bonta' e la piacevolezza del vino a volte la fanno i follower ed i like.

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