Nove bottiglie di Stanko e Saša Radikon per riflettere sulla bellezza del vino

Nove bottiglie di Stanko e Saša Radikon per riflettere sulla bellezza del vino

di Emanuele Giannone

Le orme dei padri sono esperienza e memoria, non prototipo. I passi dei figli le seguono: se vi si attagliassero perfettamente, sarebbero facili esercizi d’emulazione. Saša ha camminato sulle tracce impresse dal padre senza sviare, né ricalcandole pedissequamente. Ha affiancato Stanko per lungo tempo prima di ricevere da lui il testimone; ha regolato il passo su quello del primo, illustre frazionista, senza necessariamente imitarlo. Con il risultato, per nulla scontato, che oggi il suo vino non è semplicemente quello del figlio di, e che quello di ieri, da par suo, non fu vino esclusivamente del padre. I pochi che hanno potuto seguire da vicino le prove quotidiane di questa staffetta, e tra questi Sandro Sangiorgi che ne ha raccontato alcuni brani, sanno quanto sia riduttivo e capzioso liquidare un passaggio di testimone come mera questione d’eredità o avita saggezza:

S.S.: «E dopo tutte le sperimentazioni, con quante certezze siete rimasti?»

S.R.: «Ovviamente con nessuna.»

C’era una volta la nota, scritta tempo fa e dimenticata in un taccuino, su un vino indimenticabile per bontà e per contesto. Un compagno di letture:

Jakot 2003 Radikon
Bevevo. Intanto leggevo una pagina presa a caso: recitava che le parole sono pietre (C.L.). Questa è una verità, o quanto meno dovrebbe esserlo. Ma le parole, salvo rarissimi casi, non sono più pietre. Semmai aria. E se pure è vano pretendere che siano veritative e riferiscano della realtà, quella invocata abusivamente a modo e comodo nostro, che siano almeno scabre e gravi. Incisive. Ruvide e traccianti: che la segnino, la verità. Le parole sul vino, in particolare, sono invece il più delle volte surrogati. Ammennicoli ancillari. Parole tirate per sbigottire: tiri a effetto – perché è sempre l’effetto che si cerca, non il centro – ma ampiamente fuori dallo specchio della porta. Di conseguenza questo vino dovrebbe restare non parlato. Parla già lui, che è campione di poliglottismo e polisemia. Parla per farsi ascoltare, non per fare effetto. Quindi dice sempre il giusto. Per esempio: dice giustamente che le parole sono pietre e ponca, che hanno sapori e significati che sfuggono a capricci, limiti e storture dell’effabile.

Chiuso il libro, l’abitudine riprende il sopravvento. E la penna. Tanti anni portati splendidamente. Fresco, dalla beva trascinante, pieno di slancio, succo e consistenza. E che presa, che presenza, che progressione. Un bouquet ricco per definizione e stratificazione degli aromi (agrumi, mirabelle, frutta esotica candita, radici, spezie dolci), avvincente. Degli Jakot di Radikon e sodali è tra i migliori mai assaggiati, forse il più compiuto.

La nota è ricomparsa un paio di giorni dopo l’incontro con Saša Radikon a Porthos. Poche parole e nove vini per riflettere. Anche sul riscontro non banalmente utilitaristico, propagandistico o esornativo fornito dal pregio dell’invecchiamento. I più maturi sono stati i più buoni, ciò che è valso specialmente per gli Jakot.

Jakot I.G.T. Bianco Venezia Giulia 2005
Apertura in guisa di Sercial. Concentrazione, composizione e complessità, un soffio nobile d’ossidazione, asprezze e dolcezze agrumate, nocciole, marzapane, frutta disidratata, muschi e alghe. Calore e pungenza non invandenti, fanno da vettori olfattivi e sostengono la beva in progressione e profondità. Apertura sferzante per acidità e sapidità, lo sviluppo come un fugato di frutta candita e mare. Fase centrale piena e materica, lungo finale con cenni di mollusco, fico, frutta candita, cola, erbe e tanto sale. Cangiante e serrato. Indicazione di movimento da ricercarsi tra i tempi veloci.

Jakot 2008
Di più distesa eleganza, aperto e partecipe nell’ampio e lento bouquet di scorze d’agrumi candite, arancia amara, pot pourri di fiori, rosolio e rabarbaro. Qualche minuto ed erompe la nota alcolica, che è calore ed essenza al modo dei migliori distillati, un rimando a palinka e šljivovica, acquavite di albicocca, idromele. Bocca energica e radente con pesca e albicocca in primo piano – Sangiorgi: «La pesca del Tocai» – mandarino, anice stellato e china. Finale nettamente sapido, di grande pulizia.

Jakot 2009
Difficile ritrovare nella memoria un altro vino, almeno uno che non fosse vendemmia tardiva o passito, tanto immediato per chiarezza e ricchezza di frutta gialla matura e candita, nostrana ed esotica, con gli agrumi in primo piano. Ne ha i profumi, ne ha i sapori con tanta polpa dolce e morbida ma innervata di freschezza vibrante, disinvolta, tale da rendere il sorso agile nello sviluppo, succoso, goloso per articolazione e definizione dei sapori. Freschezza e sapidità salienti, finale lunghissimo e solare, allegro e pieno di dettagli.

Jakot 2011
Aperto al naso, effusivo ed esuberante. Non si fa desiderare, piuttosto si offre disteso e netto nei profumi di pesche, arance, mirabelle e ibisco. Bocca in contrappunto: risolutamente serrata, piena, nervosa, connotata da freschezza infiltrante, grande concentrazione e impressione gustativa perdurante. Denso e ad alto potenziale.

Ribolla I.G.T. Ribolla Gialla Venezia Giulia 1995
Presenta generosamente, in grande parata, la raggiunta maturità con fieno, liquirizia, radici, nocciole, burro d’arachidi, pomodoro confit e un punto di rancio. Bocca eminentemente salata, dalla tensione risolta, agita in scioltezza. Sviluppo di avvolgente rondeur e sostenuto da freschezza infusa, alternato tra le note di frutta matura e quelle di china, miele amaro, rabarbaro e spezie dolci. Finale lunghissimo e profumato di rose passe, caloroso, corroborante. Una bottiglia delle ottocento prodotte e mai messe in commercio, una sorta di prova d’autore che ci aveva già conquistati.

Ribolla 1998
Prevalgono le note tostate di arachidi e caffè e quelle amaricanti di china e cola, il frutto – candito: agrumi, papaya e zenzero – resta sullo sfondo. Il sorso è contraddistinto da un respiro più calmo e regolare, tannini morbidi e avvolgenti, sapidità saliente in attacco e frutto candito di conserva, con le note di erbe officinali a segnare la cadenza insieme a sale e terra.

Ribolla 2003
L’annata ribollente e sfibrata per antonomasia regala una Ribolla di freschezza ed energia intatte. Slancio, effusioni e grazia giovanili, naso di grande complessità e concentrazione con agrumi, albicocca, mora di gelso e cotogne, note salmastre e speziate, vaniglia e muschio. Prende il palato per diffusione ed energia, incede teso e cadenzato da tannini potenti, ha allungo, sapidità e una riserva di freschezza inesausta che riverbera in persistenza.

Ribolla 2008
Naso pindarico: vola repentino e senza il conforto di facili paracaduti, noncurante delle convenzioni, tra spessore e ariosità, droiture e volume, amarezze e dolcezze (le radici, i canditi, il marzapane), il soffio alcolico del rhum agricole e l’acqua di rose. Verde di erbe, rosso di arancia, fico d’india e rabarbaro, bianco di sakè e di gelso. Bocca vibrante per freschezza e nerbo, dritta, di grande e ancora irrisolta concentrazione. Lunga vita a lui e a noi per seguirlo.

Ribolla 2016
Il vino non è ancora in commercio ma a Saša è piaciuto condividerlo qui. È buono, è in nuce, chiede paziente attesa per farsi grande. Quel che è ora, è ovvio: ritrosia, tensione, concentrazione. Frutta matura, mandorla, nocciola e spezie accennate. Sorso all’insegna di sostanza e impressione tattile, carnoso e sapido, fresco, dalla presa marcante, decisamente robusta in attacco e carezzevole in progressione. A chi sa formulare giudizi estetici basandosi sulle radiografie – io non sono un radiologo – potrà bastare.

Emanuele Giannone

(alias Eleutherius Grootjans). Romano con due quarti di marchigianità, uno siculo e uno toscano. Non laureato in Bacco, baccalaureato aziendalista. Bevo per dimenticare le matrici di portafoglio, i business plan, i cantieri navali, Susanna Tamaro, il gol di Turone, la ruota di Ann Noble e la legge morale dentro di me.

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