Non esiste una sola neve, non esiste un solo vino

Non esiste una sola neve, non esiste un solo vino

di Samantha Vitaletti

E’ da tempo ormai che un pensiero mi si ripresenta di continuo: ricerco, o forse è meglio dire desidero, una dimensione più intima dell’assaggio, ma ho difficoltà a definirla con chiarezza. Descrivere per sottrazione un po’ mi aiuta: è più facile stilare una lista di quello che non mi piace che tracciare un identikit utile di quello che mi piace. Per esempio: non mi trovo più a mio agio alle fiere mastodontiche. Oltre a girarmi la testa, me ne vado sempre pensando a tutto quello che mi sono persa invece di concentrarmi su quello che ho assaggiato, sbuffo se la fila col bicchiere in mano si fa troppo lunga e mi dispiaccio di non riuscire, il più delle volte, a scambiare due parole con il vignaiolo assediato.

Allo stesso modo, in maniera diametralmente contraria, non mi ritrovo più in quelle serate che assomigliano a celebrazioni eucaristiche o a comizi elettorali, né tantomeno quelle dove è tacitamente richiesta l’adesione a una sorta di culto della personalità. Quelle serate in cui sembra di andare ad assistere a un’esibizione canora da cui fondamentalmente differiscono per l’assenza di banchetto con merchandising. Ecco, in queste situazioni ormai mi trovo a disagio e a risentirne è il benessere che tutte le volte che prendo un calice in mano mi auguro di provare.

La chiave forse è proprio in questo termine: disagio. L’assaggio che mi piace è quello in cui mi sento a mio agio. E questa sensazione non pretende di essere una regola che vada a fissare una situazione immutabile. Perché oggi mi sento a mio agio così, domani potrei tornare a desiderare atmosfere diverse. Ma quello che conta è l’oggi e per fortuna esistono, e insistono nell’esistere, condizioni in cui l’assaggio felice è realtà. Ordunque, senza girarci ancora tanto intorno, sono io in grado di portare un esempio concreto? Sì. Ce ne sono più d’uno, ma di uno parlerò.

Tanti anni fa, quando la letteratura scandinava in traduzione era davvero merce rarissima, uscì un libro di per sé non memorabile che, tuttavia, all’epoca mi colpì molto per una caratteristica della sua protagonista. Smilla è una inuit che vive in Danimarca e, come tutti gli inuit, grazie ad una miscela di sensibilità e cultura, è in grado di distinguere i tanti diversi tipi di neve e di chiamarli ognuno col proprio nome. Per noi la neve è neve. Ma nella realtà non esiste una neve sola.

Quando ho conosciuto Daniela Paris mi è tornata in mente Smilla, semplicemente sostituendo la parola vino alla parola neve. Il senso di Daniela per il vino. Dalla sua sensibilità e dalla sua cultura prendono vita momenti di assaggio che si sposano perfettamente con la mia idea di dimensione intima. Daniela è italofrancese e si muove tra Francia, Italia e Svizzera andando alla ricerca di vini coinvolgenti e di umanità ricca di storie da condividere. Spesso organizza pomeriggi di assaggio in posti piccoli e con pochi produttori alla volta, “piccoli saloni di Vignerons tra quattro mura”, per citarla.

La grazia e l’entusiasmo con cui prepara questi incontri e l’innata sensibilità nella scelta dei vini che presenta fanno sì che l’affluenza sia sempre alta senza che però ci si trovi invischiati in un ingorgo. Soprattutto si va via con addosso un senso di benessere e di festa. Si scoprono cose nuove e fuori dall’ordinario e c’è modo di coinvolgere anche il quinto senso, quello che spesso resta fuori: l’udito. Sono passati già dei mesi da quando sono stata al pomeriggio “Le Clos” e ancora porto dentro nitido il ricordo dei vini assaggiati, i volti e soprattutto le voci dei vignaioli presenti.

Io mi auguro intensamente di non trovarlo mai il vino perfetto, ma con la stessa intensità mi auguro anche di avere sempre un cantuccio come questo per continuare a cercarlo.

Domaine Dandelion – Bourgogne Hautes-Côtes de Beaune Rouge 2017
Ritrovare la Borgogna in un sorso confortevole in cui la giovinezza non è un limite ma l’invito a godere della freschezza del frutto, del calore avvolgente e dell’eleganza della grana. Del domàn non v’è certezza.

FRANÇOIS DE NICOLAY
Aligoté 2017
 – Un naso sottovoce che lascia subito il campo a una mineralità squillante addolcita dalle curve morbide di frutta matura. ,

Coteaux de Champlitte Chardonnay 2017 – Leggerezza e insieme concentrazione, come questo sia possibile in Borgogna lo sanno bene. Bocca gustosa e potente lanciata verso l’alto come una freccia.

Ladoix Les Briquottes Rouge 2017 – Radici, liquirizia, cenere e frutta a scalpitare dietro le quinte, pronte all’ingresso in palcoscenico. Tamarindo e arancia amara a dissetare. Molto propenso al dialogo, con un linguaggio pulito e senza sgrammaticature.

DOMAINE DE SAINT-PIERRE
Arbois Blanc Trois Terroirs 2017 – Svettante e vivace, un bianco che sollecita memorie e ricordi, olio di tonno e manciate di sale a volontà.

Arbois Rouge Le Rouge 2017 – Il profumo invoglia ad addentarlo. In bocca è vegetale e silvano. Schietto e scherzoso, divertente e divertito.

CHÂTEAU DE BÉRU
Chablis Terroirs de Béru 2017 – Per nulla facile e scontato. Strani intriganti fumi, profumi e profumi di fumi si susseguono nel bicchiere e conducono in un’atmosfera chiesastica e mistica. E’ di quei vini di cui finisco per vuotare la bottiglia cercando di capirli e finendo per amarli senza averli capiti.

Chablis Côte au Prêtes 2017 – Da una parcella ricca di calcare, sale, salamoia e marinatura. Carattere e loquacità, energia e vitalità.

Chablis Montserre 2017 – Sardine saporite e fiori profumati, la primavera inoltrata esplode nel bicchiere.

DOMAINE MUCHADA-LÉCLAPART
Qui siamo vicino a Cadice, posto che porto nel cuore e che anche stavolta si è rivelato sorprendente e entusiasmante. Di questa zona avevo sempre bevuto vini fortificati e avere avuto l’opportunità di conoscerne un altro volto è stata un’esperienza che non dimenticherò e che ha posto una pietra miliare nel mio rapporto con il vino.

Univers 2017 – Viene voglia di socchiudere gli occhi tanto il bianco del sale e del calcare accecano. Generoso e accogliente, un vino luminoso e solare che appaga e sorprende nel suo trasformarsi di continuo nel bicchiere.

Lumière 2017 – Da una vigna di palomino di 60 anni. Naso da mordere in un girotondo di pera, olio di tonno e sale. Bocca gentile ma affatto addomesticata. Vino profondo che accarezza con vigore.

Étoile 2017 – Anima e carattere, discreto e dal cuore pulsante. Eleganza ed energia.

Elixir 2017 50% muscat e 50% palomino – Ricco ed esplosivo, cremoso, sa di caffè e di frutta, di mandorla dolce e di mandorla amara, riempie di calore e di vitalità, è nutrimento e piacere.

VIN NOE’
Beaujolais Lantignié 2017 – La piacevolezza. Fresco ed immediato, a suo agio a tavola così come da solo.

Juliènas 2017 – La compostezza. Serio e composto senza risultare freddo e rigido.

VdF Viognier 2017 – Intenso e caldo, dai muscoli tesi e torniti.

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Samantha Vitaletti

Nascere a Jesi è nascere a un bivio: fioretto o verdicchio? Sport è salute, per questo, con sacrifici e fatica, coltiva da anni le discipline dello stappo carpiato e del sollevamento magnum. Indecisa fra Borgogna e Champagne, dovesse portare una sola bottiglia sull'isola deserta, azzarderebbe un blend. Nel tempo libero colleziona multe, legge sudamericani e fa volontariato in una comunità di recupero per astemi-vegani. Infrange quotidianamente l'articolo del codice penale sulla modica quantità: di carbonara.

3 Commenti

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Rolando

circa 5 anni fa - Link

Belle considerazioni, Samantha. Ho anche io queste stesse sensazioni, ma non riuscivo a definirle nel modo giusto. Oggi in effetti mi piacerebbe una degustazione con due, tre produttori al massimo, una decina di etichette e non di più, ed un parlare in sottovoce , dove chi ne sa di più insegna e non pontifica.

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Emanuele

circa 5 anni fa - Link

Ma sei Rolando il Rolando che penso io?

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Rolando

circa 5 anni fa - Link

Ti direi di si, ma se non dovessi essere io sarebbe una delusione .... :D Yessss (e basta che fai click sul nome per vedere se sono io o no)

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