Nino Franco compie 100 anni

Nino Franco compie 100 anni

di Angela Mion

È da ieri sera che provo a trovare la frase giusta o forse d’effetto o forse semplicemente emozionale per iniziare questo pezzo e raccontare come vorrei la festa che l’azienda Nino Franco ha organizzato per festeggiare i 100 anni della loro vita. Scrivo vita non attività, perché quello che riporto a casa da questa giornata è tanta emozione: l’emozione della famiglia Franco, dei loro collaboratori in cantina, degli amici, dei colleghi produttori, di chi come me era lì e ha condiviso questo grande momento.

Il centenario è stato festeggiato con un evento all’altezza del compleanno secolare: prima una interessantissima degustazione abbastanza fuori dagli schemi in cantina, condotta da un emozionatissimo Primo Franco con l’amico Daniele Cernilli. Poi una festa nella cornice unica di Villa dei Cedri in Valdobbiadene, dove un elegante Primo Franco ha, a sorpresa, presentato il suo libro “Prosecco way of life” ripercorrendo tutte le tappe della sua storia con qualche lacrima ed un grande elogio alla vita.

La degustazione è stata interessante e particolare, alcuni l’hanno definita emozionale e condivido, olistica, ed è attraverso questa degustazione con vini della loro cantina che si può tracciare la loro storia.

Il nonno e il padre erano commercianti di vino che compravano, imbottigliavano e vendevano: in degustazione infatti avevamo un prosecco del 55, un recioto (fantastico) del 61, un amarone Quintarelli del 67, un cabernet Campomolino del 77. Fino ad arrivare agli ultimi quarant’anni e alle scelte di Primo Franco che coraggiosamente ha deciso di abbandonare il pensiero del padre e dare una svolta all’azienda.

Il padre era un commerciante di vino nell’epoca in cui il vino di edonistico non aveva nulla, era concepito come un alimento ed era un bene di tutti e come tale poteva essere buono buonissimo mediocre. La chiave di lettura di Primo è stata pensare a quel vino non più come ad un alimento ma come una fonte di Piacere.

Da quel momento lì, erano gli anni ’80, è iniziata la sua storia e le sue scelte, due su tutte: la prima il suo territorio – Valdobbiadene – la seconda elevare la qualità senza la quale il piacere non poteva essere raggiunto e mantenuto. Se non ci avesse messo la qualità forse questa storia sarebbe stata scritta in maniera diversa.

Quest’uomo dall’inizio della sua carriera ha messo in pratica quello che Veronelli sosteneva: che è sì importante assaggiare i vini ma ancor di più è importante il rapporto personale con i produttori. Quindi Primo Franco ha viaggiato e viaggiato portando il suo vino nel suo paese ma anche oltreoceano, incontrando e facendosi amare dai grandi in America e nel mondo. Ed è forse anche grazie a questo Marco Polo del Prosecco che si deve il successo ed i numeri del Prosecco nel mondo. Non solo del suo.

È facile dire prosecco ma è difficile parlarne.

È facile dire imprenditore ma è difficile esserlo.

È facile dire cento anni di attività ma è da pochi arrivarci.

È facile dire famiglia ma è difficile restare uniti sempre.

Questo è il riassunto di cento anni dell’azienda Nino Franco.

Se non avessi sentito l’affetto delle persone che aveva attorno scriverei la metà di queste parole.

Io voglio chiudere questo compleanno da buona veneta e da appassionata del piacere del vino, aprendo una parentesi dedicata al Prosecco. Vino che a volte da un po’ l’immagine del Far West e questo è innegabile come è innegabile che lo stesso non sia da standardizzare e relegare a qualcosa che bevono quelli che non sanno bere o a prodotti di bassa lega. Quanta pena mi facciano i locali deprosecchizzati non ve la so spiegare ma chiudo parentesi, il focus non è questo.

Il Prosecco non è Champagne, non è Franciacorta: non è autolisi. Il Prosecco è Prosecco: è il frutto, l’essenza di questo vino. Quando aprite l’armadio per vestirvi i pantaloni sono ben diversi dalla gonna credo! Come credo che questo concetto sia più chiaro fuori porta che in casa nostra.

La qualità in questo panorama c’è eccome. Anche qua c’è il terroir, c’è personalità, ci sono cru, terreni che lavorano in maniera diversa, esposizioni: non è glera e basta, non è prosecco e basta.

Nino franco non lavora con charmat lunghi: lascia che il vino faccia il suo corso ed il suo lavoro in bottiglia.

Se ne dovessi scegliere tre quali sceglierei?

  • Nodi, brut– questo è il mio evergreen (top ten prosecco), un prosecco che spiega magistralmente cos’è l’eleganza nel prosecco senza levare nulla: pera, mela, lime, frutta croccante e profumata – vigneto Col del Vent;
  • Grave di Stecca, brut – un prosecco elegante e diverso per il microclima di questo antico vigneto denominato Grave di Stecca – qui abbiamo una netta nota minerale e di erbe aromatiche che si uniscono al frutto maturo.
  • Riva di San Floriano, brut – altro vigneto che regala un ventaglio concentrato di profumi di frutta e fiori di glicine, un’altra espressione di come il prosecco possa mantenere intensità dei profumi ed acidità in un equilibrio che non molti vini possono avere.

Evviva il Prosecco e chi come l’azienda Nino Franco l’ha fatto arrivare così in alto.

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Angela Mion

Veneta, classe 1981, studi giuridici e azienda di famiglia. La svolta cubista arriva quando ormai maggiorenne incontra il vino: Sommelier, Master Alma-Ais ed altre cose in pentola. “Vin, avec toi on fait le tour du monde sans bouger de la table”. Bucolica e un po' fuori schema con la passione per la penna, il vino, il mondo e la corsa. L’attimo migliore? Quello sospeso fra la sobrietà e l’ebbrezza.

3 Commenti

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Paolo

circa 4 anni fa - Link

Gran bell'articolo, gran bella famiglia ,gran buon vino !!!

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Mauro

circa 4 anni fa - Link

Una precisazione: il Grave di Stecca, visto coi miei occhi, non è un Prosecco, è uno spumante

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erique

circa 4 anni fa - Link

lo scrivo da non-veneto, quindi senza pregiudizi ideologici sul tema. il punto non è se esista o meno il prosecco di qualità, il punto è che, con l’allargamento infinito della Doc, l’immagine dei vino è crollata. puoi farci poco. e così resterà fino all’esplosione della bolla. poi, tranquilli, dopo venti anni il lambrusco insegna che si riparte. ma la bolla, tragica dal punto di vista dei posti di lavoro, almeno ti azzera il (pessimo) lavoro fatto con la follia della Doc grande quanto uno stato nazione. per questo di cru, lavorazioni e fine tuning non frega più a nessuno, il marchio ormai è quello (se esistono ironici locali anti-prosecco, i produttori si facciano delle domande). per reclami bussare ai padroni della Doc.

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