Nicolas Joly ospite da Alessandro Dettori tra riflessioni rilevanti, derive mistiche e tanti assaggi

Nicolas Joly ospite da Alessandro Dettori tra riflessioni rilevanti, derive mistiche e tanti assaggi

di Gianluca Rossetti

Un freddo tremendo a Badde Nigolosu. Arrivo in anticipo sull’orario di inizio del seminario. Fermo a bordo strada, osservo i vigneti delle Tenute Dettori, spiandoli voracemente per un’ora buona prima di accomodarmi al caldo: alberelli disposti a perdita d’occhio su piani inclinati, immersi in tinte verdi e ocra sotto una cupa minaccia d’inverno. Vale la pena esserci già solo per questo.

L’introduzione alla prima giornata del seminario (le altre due saranno riservate a tecniche e preparati biodinamici) è nelle mani di Laura Zini, sommelier e docente AIS, che ci guiderà anche durante le degustazioni. Tra le tante, una citazione in particolare non cade a sproposito: “Impossibile definire l’uomo poiché egli è punto di equilibrio delle sue forze” (R. Steiner). Per analogia, suggerisce la relatrice, essendo il vino specchio dell’uomo, risulta impossibile definirlo, in quanto anche prodotto dei propri equilibri interiori.

Il titolo e l’incipit del seminario, posti in questi termini, per me sono oscuri quanto affascinanti. E qualche dubbio permane. Neanche di poco conto. L’ordine di grandezza è: resto o me ne vado? Le motivazioni, le tecniche, l’apparato concettuale, le scelte di campo pesano. Continuerò a leggerne, tentando di comprenderne le ragioni, di apprezzarne la dirompente forza innovativa nel segno della tradizione riscoperta. Tifare per i “buoni”, di nascosto: certo, continuerò a farlo. Ma il fine ultimo, come sempre, è il vino. Le persone, le loro storie, le encomiabili intenzioni, le fatiche, mi appassionano ma non me ne posso appropriare. Del vino si. Non so se pure dei suoi equilibri interiori.

Eppure capiterà di farvi cenno. Perché, evidentemente, lì nei paraggi non ci sono finito per caso.

Nicolas Joly ha detto molto durante questo incontro ma una cosa mi si è stampata in testa. E riguarda un tema capitale per chi si occupa di vino. Vado a memoria e, più o meno, il senso mi pare fosse questo: “Se tutto ciò che di bello ci circonda (un paesaggio, un’opera d’arte) dovesse essere sezionato e verificato scientificamente in ogni sua parte, quanto si perderebbe di quella bellezza? Perché, per il vino, ci si ostina alla scomposizione e valutazione di singoli elementi quali l’acidità, i tannini, l’alcol, la struttura? Quanto si spreca, così facendo, della relazione con quel vino, della bellezza di quel vino?”.

Mi siedo. E di andare via m’è passata la voglia. Improvvisamente. Scorre tutto, si perdona quasi tutto; anche i proclami identitari tipo “Vorrei un vino senza enologia” o le deviazioni mistiche, in cui ancora non mi ritrovo, su energia del cosmo e capacità del saggio contadino di incanalarla. O la certezza granitica di chi ritiene di possedere l’accesso alle verità ultime. Infine, ed è questo il punto, ritengo sia vero: alcuni vini bio/biodinamici/naturali hanno una forza che esprimono con veemenza primordiale. Che li anima di continuo. Interagiscono con lo spazio nel quale possono finalmente muoversi senza costrizioni. È una melodia poco chiara che però, prestando attenzione, in alcuni casi si intende. C’è movimento, volubilità, attitudine allo scambio. Qui, per me, si colloca la linea del fronte. Su questo terreno la sfida ai prodotti cosiddetti convenzionale ha senso. Il resto, per ora, non mi interessa.

Mi è più chiara adesso anche la distinzione tra vini biodinamici e vini naturali: i primi attingono a forze cosmiche, a un bacino di energie universale, da comprendere, innescare e indirizzare attraverso i preparati biodinamici (agricoltura dei nonni + preparati biodinamici). I produttori di vini naturali mi pare invece che scorgano nel particolare (la loro vigna) un motore di energia immanente. Che non richiede tecnica né atti sciamanici (agricoltura dei nonni senza bisogni di preparati biodinamici).

Non so voi, ma io mi fermo da queste parti ancora un po’.

Gli Assaggi
Paradossalmente rispetto al “Joly pensiero”, proprio una degustazione ci ha condotto in fondo alla serata. Ma è chiaro, qui si svolge con opportuni adattamenti: ad esempio la temperatura di servizio che si vorrebbe più alta, soprattutto per i bianchi (suggeriti addirittura 18-20°C). E una narrazione meno schematica, più evocativa nel descrivere i vini. Inaspettatamente, proprio la Zini offre ulteriori spunti di riflessione che sembrano fare da sponda alla citazione iniziale di Steiner: il vino non può essere definito ma, giudicandolo dagli effetti, è per noi una porta iniziatica, che avvia con la degustazione un processo di miglioramento spirituale. Il gesto simbolico di innalzare il calice ne è espressione: ci si eleva attraverso la degustazione. Il vino, quindi, come strumento culturale che utilizza lo scambio tattile (il gusto è il nuovo tatto) per indurre una crescita interiore.

Filagnotti – Cascina degli ulivi 2014
Da uve cortese. Paglierino appena velato. Consistente. Intenso bouquet di pepe bianco, arachidi, bosso e agrumi. Qualche sbuffo di volatile. Vino giovane, leggero in alcol (12%), figlio di un’annata che Stefano Bellotti, presente in sala, descrive come difficilissima. Con tanta pioggia e una marea di problemi in vigna. Che nel bicchiere un po’ si sentono, incidendo su definizione ed equilibrio complessivo.

Filagnotti – Cascina degli ulivi 2010
Altro millesimo e, francamente, tutt’altro passo. Limpidissimo, dai riflessi giovanili (verdolino a dispetto di ogni previsione), appena meno denso del precedente e più alcolico (13%). Smalto, nocciole, calcare, burro di cacao, polvere da sparo ed erbe aromatiche. Lungo e di coinvolgente precisione. Nessuna sbavatura. Un esempio di compostezza e forza. Un manifesto delle capacità di evoluzione nel tempo dei vini da uve cortese. Buonissimo.

Dettori Bianco – Tenute Dettori 2009
Vermentino 100%. Velatura pronunciata e consistenza sciropposa. Servito nel decanter, si offre quasi aromatico (ricordi di moscato) e con note di frutta surmatura, mineralità salina e un incedere di salvia e maggiorana che segnano il ricordo. Intensamente vitale, dinamico, si accanisce contro ogni recettore, senza dare tregua.

Carmignano – Terre a mano Fattoria di Bacchereto 2013
Sangiovese e piccolo saldo di cabernet sauvignon e canaiolo. Nettissimo sentore di mou, sottile nota verde e accennata eco proteica che non disturba affatto il bel fruttato di lampone e ciliegia croccante. Giovane, eppure godibilissimo ora. La sua forza è nell’equilibrio complessivo e nell’assenza di impuntature. Il vino che mi sentirei di consigliare a chi intende accostarsi per la prima volta a questa curiosa, indecifrabile tribù di produttori.

Montepulciano d’Abruzzo – Emidio Pepe 2011
Rubino pieno, consistente, si presenta con una marcata riduzione iniziale. Sentori animali e di carne cruda, che non accennano a svanire. Poi humus e lievito a coprire il frutto. Integrazione dei tannini in fieri. Bel corredo di piccole bacche viola e notevole persistenza. Ma è un vino che, così com’è adesso, fatico a seguire.

Mounbè – Cascina degli ulivi 2006
Cinque anni in botte grande di acacia. “Così” – ci racconta Bellotti – “provo a governare l’acidità della barbera”. Funghi, tartufo, carruba, cannella e legno di sandalo, chiude mentolato e su sentori di tabacco e frutta secca. Sorso appena imbrigliato dall’alcol (15%) ma comunque di grande espressività: scorza d’arancia disidratata, confettura di mirtilli, gherigli di noci. Tannini e acidità ci sono ma ben bilanciati dalle morbidezze. Un vino che, in questa fase, pare in forma smagliante.

Chimbanta – Tenute Dettori 2006
Una provocazione? Alessandro Dettori ci presenta questa sua creatura definendola egli stesso “borderline”. Dieci e più anni per un vino da uve monica. “Ho scelto questa bottiglia consapevolmente. Sperando di aprire un dibattito, di provocare una discussione”. Ma nessuno si azzarda. Siamo a casa sua in fondo. Peccato. Ci sarebbe stato di che parlare. Io sento le mani che prudono e sto per sollevarne una con il cartello “volatile”, ma poi mi fermo. Sono qui per osservare. Ripiombo tra i descrittori: olive al forno, colla vinilica, tintura di iodio, mandorla amara, rosmarino. In bocca: ciliegia sotto spirito, sapa, prugne secche. Se avessi organizzato io l’evento, probabilmente non avrei approvato una scelta così temeraria. Solo un giocatore d’azzardo può rischiare tanto su un’unica mano. E non so se valga sempre la pena esporsi con un “all in”.

Uis Blancis Dodon – Denis Montanar 2009
Principalmente friulano, poi sauvignon, pinot bianco e verduzzo a concorrere in uvaggio. Incenso, fumo, argilla, cuoio, fieno fermentato, fiori gialli secchi. Il bouquet mi colpisce più dell’assaggio, per meriti del primo e non certo per demeriti del secondo: percoche, susine, anice e una prolungata risonanza salina. Richiede aria e tempo ma merita di essere atteso. Soffre la collocazione nella sequenza di servizio tra un rosso, quello di Dettori, che ha fatto rumore sparigliando le carte, e il primo vino di Joly, al quale ormai tutti inevitabilmente guardiamo.

Le vieux clos – Nicolas Joly 2012
Arriviamo ai suoi vini, con lui lì a osservarci. Naso intensissimo di vernice, garofani, gesso e fiori d’arancio. All’assaggio: glassa al mandarino, melone bianco e sale, incardinati su una struttura tutto sommato non prorompente e meno alcol rispetto al 2011. Buono lo slancio finale.

Le vieux clos – Nicolas Joly 2011
Dorato luminoso. Nespola, peonie, pepe bianco, salgemma. Curioso il contrasto tra un esame olfattivo all’insegna della misura e un sorso quasi violento: alcol (15%) e struttura sugli scudi a monopolizzare la scena. Distraendo da tutto il resto.

Clos de la Coulèe de Serrant 2013
Finalmente arriva. Da un vigneto quasi millenario, eccola l’etichetta che più di ogni altra attendevamo. Fiori bianchi, miele di acacia, canfora, torba a segnare un profilo olfattivo quasi frenato in intensità, seppure elegante e articolato. Compensa con una discreta vivacità all’assaggio, per quanto la timbrica paia tutta giocata sull’alternanza tra una mineralità salmastra, di alghe e acqua di ostriche, e la marcata acidità. L’alcol e l’estratto ci sono ma è dell’equilibrio che ancora si sente la mancanza. Da attendere.

Clos de la Coulèe de Serrant 2011
Più intenso al naso. Medicinali, amaro centerbe, cera d’api, pot-pourrì di fiori, fruttato in tono minore di ananas sciroppato e alchechengi. Assaggio anche qui all’insegna delle durezze, a dispetto dell’alcol (15%); tuttavia meno monocorde del precedente campione. Bella capacità di allungo e discreta espansione per un sorso che non punta dritto allo stomaco, come il millesimo 2013, ma che si apre prima, permanendo a lungo, in maniera diffusa, e lasciando un’impressione complessiva di maggiore compiutezza.

Clos de la Coulèe de Serrant 2010
Tè al gelsomino, lavanda, timo, propoli, frutta a pasta gialla, presente ma sottomessa alla spinta minerale. Intenso il corredo di profumi e assaggio di pari livello: si offre subito su toni netti, grassi e pungenti al tempo stesso, avvampando la gola d’alcol (15,5%) per poi alleviarne le ferite. A me è piaciuto.

Clos de la Coulèe de Serrant 2001
Oro antico. Profuma di humus, fiori secchi, tabacco, miele millefiori, cenere. Evidente l’apporto della botrite che veicola, tra l’altro, cenni ossidativi. Quasi ammutoliscono le note fruttate. Al palato si manifesta per quello che è: secco, tagliente, minerale ma anche glicerico, strutturato, potente. Alcol, estratto, muffa nobile, erbe officinali, acidità: tutto concorre a un’idea di magnificenza quasi barocca. Sorprendente l’alternarsi delle sfumature odorose nel tempo. Retrolfazione interminabile. Una festa per i sensi.

Un vino che Joly ci racconta: perché lo ha ripensato negli anni successivi, ritornando un po’ alle origini. E rinunciando nei millesimi seguenti a un contributo così marcato della botrytis cinerea. Oggi, per questa etichetta, il quantitativo di uve attaccate dalla muffa nobile si attesta tra il 5 e il 10% della massa totale.

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Gianluca Rossetti

Nato in Germania da papà leccese e mamma nissena. Vissuto tra Nord Reno westfalia, Galatina (Le) e Siena dove ho fatto finta di studiare legge per un lustro buono, ostinandomi senza motivo a passare esami con profitto. Intorno ai venti ho deciso di smettere. Sai com'è, alla fine si cresce. Sommelier Ais dal 2012, scrivo abbastanza regolarmente sul sito di Ais Sardegna. Sardegna dove vivo e lavoro da diciotto anni. Sono impiegato nella PA. Tralascerei i dettagli. Poi la musica. Più che suonare maltratto le mie numerose chitarre. E amo senza riserve rock prog blues jazz pur non venendo ricambiato. Dimenticavo, ho un sacco di amici importanti ma non mi si filano di pezza.

22 Commenti

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suslov

circa 7 anni fa - Link

mah. joly riesce a fare molta narrazione sui suoi vini, sulla coulee, sulla biodinamica. la coulee e' un posto stupendo - ma quello che e' nel bicchiere non mi sembra cosi' spaziale. ci sono altri savennieres o roche-aux-moines molto piu' definiti e trascinanti ad una frazione del prezzo. de gustibus ben altro discorso su dettori. molto molto molto bbbuono.

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Armando Castagno

circa 7 anni fa - Link

Suslov, la penso come lei. Alla virgola. Sia sui vini di Joly sia su quelli di Alessandro a Dettori. Sempre che non sparino eccessivi sentori di cicogna (volatile alta).

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zzzzz

circa 7 anni fa - Link

Joly oramai è quasi imbevibile. E' talmente pregno della terra da cui primordialmente proviene che non sa più spiccare nemmeno un voletto, nemmeno un saltino.

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Andrea A.

circa 7 anni fa - Link

Io invece ho apprezzato molto l' "all in" . Buonissimo e la volatile anche se persistente mi ha permesso di apprezzare il vino. Alessandro lo fatto per indurre alla discussione, che non c’è stata perché è piaciuto. Il sabato a cena e domenica a pranzo per chi è rimasto Alessandro ha servito un Dettori Bianco 2000 (ancora giovanissimo), Dettori Bianco 2011, Tenores 2003 (freschissimo), Dettori 2007 e tutti i vini in commercio e sinceramente nessuno, tra i vecchi e i nuovi aveva la volatile fuori posto. Anzi.

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Gianluca

circa 7 anni fa - Link

Io apprezzo Dettori. Non sai quanto. Ho voluto raccontare quel vino. E l'ho raccontato esattamente come te. La volatile c'era? Si. Anzi tu la definisci persistente cosa che non ho fatto io. Questo mi ha impedito di andare oltre? No, è infatti l'ho descritto. Ne ho apprezzato altri aspetti. Proprio come hai fatto tu. Faccio però anche una considerazione ulteriore, che tu magari non condividi: perché presentarsi con un vino che ha volatile persistente? Stappa una bottiglia che non ce l'ha e servi quella. Come tante volte mi è capitato di berne con grande soddisfazione. Altrimenti bisogna premettere che la volatile persistente non è un problema. E invece per me lo è.

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Lorenzo

circa 7 anni fa - Link

comunque che palle... penso che il vino sia anche altro... scrivete ormai sempre le stesse cose!

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Gianluca

circa 7 anni fa - Link

Attendo con ansia che tu mi indichi la strada dell'epifania.

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david

circa 7 anni fa - Link

Cioè?.. se ti riferisci al linguaggio tecnico ti seguo (non se ne può più di "allunghi nel finale" e "grandi espressività "), ma il dibattito odierno sul vino di qua deve passare, piaccia o meno.

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Fiorenzo Sartore

circa 7 anni fa - Link

Sì, piacerebbe sapere anche a me adesso cos'è questo "altro", dacci qualche idea.

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Alvaro pavan

circa 7 anni fa - Link

Oltre lo 0,7 per mille la volatile, secondo emile peynaud, è da considerarsi un difetto. Personalmente sono tollerante nei suoi confronti, però mi piacerebbe conoscere il dato analitico di quel vino dalla volatile persistente...

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Antonino Pane e Vino

circa 7 anni fa - Link

Fissarsi dei limiti personali su singoli parametri chimici non ha senso scientifico. Sicuramente Peynaud ha detto (tu lo hai sentito oppure hai letto qualcosa scritto da lui?) che per la sua esperienza di vini francesi, il limite è 0,7. Tutto cambia quando si scende in Italia e soprattutto al sud dove il vino è dieci volte più ricco di zuccheri, estratto e tutto il resto. Basta verificare la legge italiana che permette a certe categorie di vini dop/igt da uve surmature o passite di arrivare a 40millequivalenti litro pari a 2,4 ml/litro di acidità volatile. Quindi ben 3,4 volte superiore a quanto detto (siamo sicuri?) dal famoso enologo francese. E se la legge è arrivata a derogare l'acidità volatile a questo livello vuol dire che è veramente di uso comune. Saluti

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Alvaro pavan

circa 7 anni fa - Link

In fondo in fondo anche l'aceto e' vino, de gustibus...

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Antonio

circa 7 anni fa - Link

Si vabbuono, ma era un seminario su dettori o joly? Ma è andato bene? Perché da come scrive Rossetti sembra sia stato un flop.

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Gianluca

circa 7 anni fa - Link

Era un seminario sulla biodinamica. Flop? E perchè? Se su 14 vini serviti qualcuno piace meno, io lo trovo normale. Se di 4 ore buone di seminario non si condivide tutto tutto e lo si dice, non mi pare una stroncatura.

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Denis Mazzucato

circa 7 anni fa - Link

“Se tutto ciò che di bello ci circonda (un paesaggio, un’opera d’arte) dovesse essere sezionato e verificato scientificamente in ogni sua parte, quanto si perderebbe di quella bellezza?”.
Al primo impatto sembra una grande verità. In realtà credo sia una discreta fesseria, soprattutto pensando all'arte e al vino, per due ragioni.
La prima è che certe opere d'arte, come certi vini, li apprezzi solo (o li apprezzi di più) se ne conosci la storia, la tecnica, il "produttore". La seconda è che scomporre tecnicamente un dipinto o un vino di per sé può solo dare elementi in più per capire perché ci piacciono o no, quindi non è mai un difetto. Il difetto casomai è trincerarsi dietro la scheda AIS e dimenticarsi dell'emozione, ma se si ha la febbre non è colpa del termometro.

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Simeone

circa 7 anni fa - Link

Attenzione però a scrivere "a prima è che certe opere d'arte, come certi vini, li apprezzi solo (o li apprezzi di più) se ne conosci la storia, la tecnica, il "produttore". "perchè è proprio il problema degli ultimi 5/6 anni del mondo del vino. Mi è capitato di tornare a Venezia dove ho vissuto durante l'università, e da lavoratore del vino mi sono ritrovato una città dove il bacaro tradizionale, famoso per smerciare ombre spesso terribili, è stato sostituito da bacari 2.0 che prongono solo vini naturali (alcuni per moda, alcuni per reale interesse). COme al solito da un eccesso all'altro, dinamica che non aiuta il dialogo e la comprensione, anche perchè quando chiedevo di consigliarmi qualcosa, partiva la filippica sul produttore, sulla sua filosofia etc etc. Sinceramanete dopo oltre dieci anni mi sta venendo la nausea. I vini si bevono con la bocca e non con la testa, o meglio, prima li assaggio, poi mi parli del resto o mi informo sul resto. E' come se per apprezzare Terry Riley, i Can, Frank Zappa o Sun Ra uno deve prima uincontrovertibilmente leggersi un trattato su di loro. Purtroppo le nuove generazioni di bevitori sono formate su questa forma mentis per me completamente errata. Come è per me assurda anche l'affermazione di "tifare per i buoni", la solita divisione manichea del produttore cattivo contro l'agricoltore paladino della Natura (quanti contadini ora diciamo 80enni conoscete o avete conosciuto? Sono tutto meno che amici della Natura, ma qui il discorso sarebbe lungo). Tutto questo, sia chiaro non è una critica a Dettori, o al comparto biodinamico/naturale, che, anche se non in toto, rappresentano un doveroso esame di coscienza sullo sfruttamento agricolo degli ultimi 60 anni

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Gianluca

circa 7 anni fa - Link

Mi ritrovo abbastanza nel tuo commento. Solo una cosa: io "buoni" l'ho scritto proprio così, tra virgolette.

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Simeone

circa 7 anni fa - Link

Si scusami Gianluca, nella foga di commentare volevo specificare che il tuo approccio non era quello, e scusate anche per gli errori di battitura. Soprattutto nella parte finale volevo scrivere che il comparto biodinamico/naturale svolge e ha svolto un ruolo fondamentale nel far prendere coscienza e farsi un'esame di coscienza riguardo all'approccio industriale applicato in agricoltura negli ultimi 60 anni. Non sono nè un talebano dei naturali nè un censore degli stessi, tendenzialmente sono sempre curioso di assaggiarli, poi il gradimento è questione personale (anche se 0,9/1 e passa dig/lt di volatile per me è e sarà aceto. Come avere la vernice come descrittore olfattivo non è quello che cerco in un vino, naturale o meno

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Nelle Nuvole

circa 7 anni fa - Link

Veramente un bel racconto, che rende in modo tangibile il luogo, l'atmosfera e le persone. Oltre al vino naturalmente.
Anche i commenti mi sono piaciuti, misurati quasi tutti.
Su di una frase mi permetto di dissentire: "Ma, il fine ultimo, come sempre è il vino." Per me no, non lo è. Il fine ultimo è l'uomo, inteso come essere umano , non come maschio alpha enotestosteronico. In tutto questo latinorum filosoforum vinoso, che racchiude un'essenza di pratica e pensiero importante e stimolante, quello che balza agli occhi è l'Uomo come Soggetto, agente e recipiente. Il vino è l'espressione, l'interpretazione, il risultato , ma non il fine ultimo.
PS Alessandro Dettori è un adorabile provocatore, Nicolas Joly un po' meno.

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Julian

circa 7 anni fa - Link

Ciao sono Julian , parlato un poco vendrì cont te . Venerdi no seminaire ma degustation, Nicolas parlato solo 3 minuti e tutto dubbi tui potevi capire sabato e dominica durante seminaire. Tu no partecipato a seminaire. Pardon ma non potere dire di fatto seminare parce-que fatto solo degustation di sommelier Laura Zini. Tu molto prevenuto, Nicolas non volere convincimento nessuno di noi. Tu essere poco rispect con Nicolas che potere essere nonno tuo. Se avere palle potere partecipar seminair e chiedere a Nicolas invece di fare bella faccia qui su blog. Tu avere perso occasione di imparare cose belle oppur criticare cose brutte dopo avere capito bene, tua andato via e non avere capito nulla. Escusate mon italiano. Julian

Scusato per l'italiano, un po' meno per i modi. Joly ha parlato oltre 20 minuti e non 3, abbiamo l'audio registrato. Non si tratta di "avere le palle", che in italiano o in francese e' un modo di discutere che non va molto bene. Riprova con altro stile, grazie. [F.]

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wine princess

circa 7 anni fa - Link

Un sabato sera come tanti altri, qualche ospite da sfamare e dissetare, tiro fuori dal frigo un po' di triglie e acciughe da friggere e un vermentino di Sardegna 2015 Monte Janu.. Andiamo a tavola e il vino, stappato da pochi minuti, già inizia a regalare nitidi sentori di mela verde, che al palato si amplificano ancor di più, l'alcool, 12,5 gradi, non disturba affattp, la beva è veloce, piacevole, gratificante, in un amen la bottiglia è terminata con vivo apprezzamento da parte di tutti. Personalmente assegnerei al vino in questione un punteggio sugli 86/100, che non è poco, soprattutto tenendo presente che era stato acquistato pochi giorni prima da Lidl ed era costato la bellezza di 2,49 euro... Avete letto bene, nessun errore, proprio 2,49! Prezzo di scaffale, non era in offerta. C'è di che riflettere, non vi pare? Buona domenica...

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sergio

circa 7 anni fa - Link

@ Simeone "Attenzione..." . @ Nelle Nuvole "Per me no, non lo è. Il fine ultimo è l'uomo...".. Due commenti stupendi. Mi è piaciuta molto anche Wine Princess

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