Michel Rolland, il guru del vino: il libro dell’enologo che ha diviso il mondo
di Redazione“Francesco Annibali mi ha insegnato a tenere il bicchiere in mano e dimostra che una laurea in filosofia aiuta a capire il vino molto più di un semplice corso di degustazione. E scrive magnificamente.” [Alessandro Morichetti]
La foto di copertina dice molto: Rolland porge il bicchiere di vino al lettore con atteggiamento sfidante. Un altro ostacolo arriva subito, nell’introduzione di questo “Il guru del vino”, dove occorre sorpassare il tono caustico e francamente presuntuoso dell’autore, deciso, a suo dire, a scrivere la propria biografia per tacere la miriade di fandonie che circolano sul suo conto, in primis quella secondo la quale sarebbe il principale responsabile dell’omologazione planetaria del gusto.
Un momento prima che il lettore si convinca si tratti del riscatto protervo del campagnolo diventato superstar, il libro porge contenuti interessanti, trasformandosi in un piccolo romanzo agricolo.
Figlio di contadini di Pomerol della miracolosa annata 1947, Rolland disegna uno spaccato del Libournais del Dopoguerra, con la rigida divisione in classi sociali, fatta di pochi nobili, alcuni grandi borghesi proprietari delle aziende vinicole e un esercito di contadini che ci lavorano; riesce a trasmettere il complesso di inferiorità e il desiderio di riscatto dei libournesi nei confronti del Médoc, che allora era considerato il veroBordeaux insieme alle Graves, un luogo lontanissimo che produceva vini ben più famosi che spuntavano cifre ben superiori; dà il meglio nella squisita descrizione della Francia di campagna degli anni 50 e 60, col prelato del paese che beveva più di tutti, gli ubriaconi nullafacenti (“il modo migliore per abbronzarsi è scendere in cantina”, recita un vecchio proverbio libournese), i nonni e i genitori viticoltori e cantinieri, risucchiati in un lavoro senza ferie di 15 ore al giorno; la guerra infinita tra produttori e commercianti, che passano la vita a cenare insieme ma se potessero si manderebbero in rovina reciprocamente.
“Il guru del vino” è la storia di uno studente mediocre che va a frequentare la scuola di enologia di La Tour Blanche, a Sauternes, per poi iscriversi alla facoltà di enologia di Bordeaux, l’università dei figli dei contadini, quella che nessuno voleva fare, la facoltà per quelli destinati a perpetrare il lavoro dei padri, mentre quelli bravi studiavano da medico o avvocato.
Una enologia, quella insegnata negli anni 60, incentrata sulla chimica del vino e lo studio delle fermentazioni, che erano state spiegate solo pochi anni prima da Ribéreau-Gayon e Peynaud: una enologia di impostazione correttiva, ignorante di microbiologia e che se ne infischiava della salute dei terreni.
Negli anni 70 Rolland apre un centro di analisi del vino, l’approccio è enotecnico, di chi sa che il vino vada aggiustato sempre o quasi, e mano a mano si convince che per fare vini realmente grandi ed evitare correzioni sia indispensabile portare in cantina uve sempre concentrate e mature. Una cosa quasi del tutto scontata adesso, un po’ meno 40 anni fa.
È da lì, da quella forma mentis, che l’autore passa alla consulenza, e arriviamo agli anni 80 e 90, quelli della fama, della ricchezza e dei 100/100.
Una consulenza con pochi, chiari capisaldi: drastica vendemmia verde, in una zona – quella atlantica pre riscaldamento globale – dove altrimenti in 8 annate su 10 ti trovi a maneggiare uva acquosa e insana, al fine di ottenere uve sempre concentrate indipendentemente dall’andamento vendemmiale; e poi lunghe macerazioni e legno nuovo in evidenza. Tannini morbidi, frutto solido, pulizia estrema e concentrazione.
Il metodo Rolland insomma, “perché le poche grandi annate storiche di Bordeaux erano, molto semplicemente, quelle che avevano dato un’uva matura e sana, senza la quale non ha senso parlare di terroir”: il metodo che verrà santificato da Parker, per il quale l’autore spende grandi parole sia sul piano umano che professionale (“Più di vent’anni fa, una sera di marzo, fummo invitati, come ogni anno, ad una cena di un importante commerciante bordolese. Passai a prendere Robert al suo albergo. Varcata la soglia della sontuosa dimora, delle mani inguantate di bianco ci porsero immediatamente un vassoio, con Champagne e Sauternes. Ancor prima di salutare la padrona di casa, Robert immerse il naso nel suo bicchiere dai riflessi ambrati. Con una sicurezza sconcertante mi disse “È buffo, l’ho bevuto la scorsa settimana dai Lur Saluces, è Yquem 1937”. A questo punto chiesi conferma al padrone di casa: Robert aveva ragione!”).
Un metodo, a detta dell’autore, che non solo non ha standardizzato un bel niente, ma che è il passaggio obbligato per ottenere ovunque carattere e differenze.
Ma il mondo di Rolland è un mondo di contrasti, di spade più che di fioretto, con un capitolo sul nemico giurato Jonathan Nossiter, autore del documentario Mondovino che descrive Rolland come il Mefistofele del settore. Un capitolo che non aggiunge molto, dal titolo che è un programma: “Jonathan Nossiter, il giansenista antiglobalizzazione e i suoi accoliti”, nel quale il regista di Mondovino viene descritto da Rolland come un happy few intellettualmente disonesto e inondato di risentimento.
Il libro scema di interesse nel finale, con una ricognizione rapida e tutto sommato superficiale sui vini del mondo, dove Rolland si limita in realtà a parlare delle proprie consulenze ai quattro angoli della Terra.
Pubblicato in Italia da poche settimane, “Il guru del vino” è del 2012, anche se sembra provenire da un’altra era geologica.
Un libro non imperdibile, ma utile a comprendere un approccio al vino che ha segnato un trentennio e l’intero mercato mondiale, e soprattutto a chiarire vantaggi e limiti insiti nel copincollare una tecnica – efficace quanto si voglia – nata nel Libournais pre riscaldamento globale a vini di zone, vitigni e climi anche molto differenti.
Se il dibattito attuale nell’opinione pubblica, in particolare in Italia, è partito anche da una critica, quando non direttamente da un violento rifiuto, non tanto al metodo Rolland quanto all’idea che fosse lecito esportarlo ovunque senza modifiche, “Il guru del vino” è una lettura utile per tutti, a partire dai nuovi appassionati e dai nuovi enologi.
Il Guru del Vino, di Michel Rolland
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€ 19
Francesco Annibali
18 Commenti
Lanegano
circa 4 anni fa - LinkMonsieur Rolland non avrà i miei soldi. Anche se può tranquillamente farne a meno....
Rispondihakluyt
circa 4 anni fa - LinkMa che senso ha pubblicare nel 2020 la traduzione di un libro del 2012 ???
RispondiFrancesco Annibali
circa 4 anni fa - LinkCredo che un senso ce l'abbia, visto che il dibattito attuale parte proprio da una critica al metodo Rolland. Un cordiale saluto
RispondiLuca
circa 4 anni fa - LinkSempre bello parlare di libri, non so se lo prenderò anche perché 19 euro non sono pochino per un libro così '' datato '' però la recensione invoglia alla lettura. Vogliamo più libri! :)
RispondiFrancesco Annibali
circa 4 anni fa - LinkLuca fà come vuoi ci mancherebbe, ma non è un libro datato, anche se lo sembra. Un cordiale saluto
RispondiStefano
circa 4 anni fa - LinkPerché parli di era pre- riscaldamento globale? Non è un fenomeno che si condensa in una recente manciata di anni. Che oggi se ne parli di più ė un conto, ma soprattutto chi ha dovuto gestire le vendemmie (es. 2003) lo vive da tempo in modo molto concreto
RispondiFrancesco Annibali
circa 4 anni fa - LinkVero, in genere il riscaldamento globale è iniziato con la Rivoluzione Industriale, ma mi riferisco al cambiamento viticolo avvenuto da metà 90, in particolare il cambiamento di ph. Un cordiale saluto
RispondiFrancesco Annibali
circa 4 anni fa - LinkPer non parlare delle gradazioni: Lafite 82 ha 11,8-11,9% di alcol se nn ricordo male, adesso si trovano tanti buoni bordeaux con 14%
RispondiStefano
circa 4 anni fa - LinkMa dici che la gradazione dipende davvero dal clima? Lì sì che c'entrano Rolland e soci, no? Problema pure in Italia per altro, dove faticavi qualche anno fa a trovare un bianco a meno di 13°
RispondiFrancesco Annibali
circa 4 anni fa - LinkLa gradazione dipende da tanti fattori agronomici (tipo di potatura, parete fogliare, resa per ettaro e per pianta ecc...) ma che il cambiamento climatico abbia incrementato lo zucchero nelle uve è un dato sul quale concorda l'intera comunità.
RispondiAlvaro pavan
circa 4 anni fa - LinkAh sì, e come mai a Valdobbiane il prosecco faceva 11 gradi negli anni 70 e ne fa ancora altrettanti 50 anni dopo?
RispondiVinogodi
circa 4 anni fa - Link...forse perché si dono triplicate le rese? Quando mio padre ( enologo da Conegliano) operava in loco negli anni sessanta , chi lavorava bene non superava i 70 - 90 quintali per ettaro, oggi si parla di oltre 200...
RispondiAlvaro pavan
circa 4 anni fa - LinkSicuro? Io non ci metterei la mano sul fuoco... sia chiaro, il cambiamento climatico è un dato di fatto. Difatti 50 anni fa, a Valdo si vendemmiava la prima settimana di ottobre, adesso la prima di settembre...
RispondiFrancesco Annibali
circa 4 anni fa - LinkCiao Alvaro, sinceramente non so come abbiano fatto in Valdobbiadene. Ad esempio nei Castelli di Jesi alcuni produttori hanno impostato le vigne da vino bianco come se fossero vigne da basi spumanti, quindi maggiore apparato fogliare, potature più lunghe eccc.... e qui mi fermo che non sono un agronomo. Un caro saluto
RispondiMaurizio
circa 4 anni fa - LinkClima a parte, che è un'ovvietà sia cambiato, nei gradi alcolici il più grosso discrimine su grado alcolico riguarda le tecniche. Un tempo le annate incidevano molto di più e capitava che da una fredda a una calda ci passassero anche più di 2 gradi di differenza sullo stesso vino. Oggi difficilmente si sfiora il grado di scarto a prescindere dall'andamento climatico, poiché si riesce con più facilità a raggiungere la maturità delle uve, quando prima invece non ce la si faceva se le condizioni climatiche mancavano.
RispondiAgostina Imberti
circa 4 anni fa - LinkDurante una visita al Chateau La Dominique Nel 2016 ho avuto modo di conoscere Rolland e di acquistare il suo libro in lingua originale. L’ho riletto più volte, sempre molto interessante. A mio parere è davvero un guru del vino!
RispondiEb2323
circa 4 anni fa - LinkLafitte 1959 aveva 11.5 . Dubito che il surriscaldamento globale incida così tanto. È cambiato il modo di fare il vino. Onore a Monsieur Rolland. Ma 2 annate buone su 10 erano sufficienti per il medoc. Considerato che ora ne hai 10 uguali su 10. Sfido alla cieca a distinguere un pomerol da un st. Estephe. 40 anni fa non sarebbe mai successo.
RispondiEmanuele Bottiroli
circa 4 anni fa - LinkMolto interessante. Lo acquisterò e lo leggerò con interesse per formarmi un'opinione in merito al pensiero di un enologo mondiale che ha molto diviso ma anche molto innovato.
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