Metti un pomeriggio in visita da Rinaldi tra prossime annate e una novità assoluta

Metti un pomeriggio in visita da Rinaldi tra prossime annate e una novità assoluta

di Simone Di Vito

Tra i tanti appassionati di vino, c’è una folta schiera di barolisti incalliti, che conosce a menadito anche il minimo granello di terra del territorio langarolo, gente che vive le Langhe e gli assaggi di questi vini con una consuetudine che forse ho io quando faccio la spesa al supermercato in settimana.

Per cui, cosa potrei scrivere dell’azienda di Giuseppe Rinaldi che non sia stato ancora detto, scritto o assaggiato? Nulla o più, e anzi, forse sarebbe stato meglio non scriverne proprio, ma è troppa la voglia di raccontare il pomeriggio passato visitando la loro azienda, di quelli che la sera torni a casa, ti infili nel letto ed hai ancora una sorta di paresi a trentadue denti.

Giuseppe Rinaldi, per gli amici Citrico, è scomparso ad inizio settembre 2018, lasciando l’azienda nelle mani delle figlie Marta e Carlotta, che già da qualche anno ormai lavoravano al suo fianco. Chi l’ha conosciuto e frequentato me lo racconta come un filosofo burbero e sornione, riservato ma autentico, con il quale potevi parlare di tutto, non solo di vino.

Visitando il suo “covo”, poi, capisci che per lui è stata molto più di un’azienda, ottenendo col tempo l’apprezzamento di professionisti e appassionati di vino in tutto il mondo, tirando dritto per le sue idee, anche quando il Barolo per alcuni era diventato un vino passato di moda o, peggio, da facilitare.

Ha sposato cause e iniziative che apparentemente sembravano nefaste (come il consorzio dei Vini Veri), ed ha continuato a produrre vino anche in periodi in cui il Barolo non era certo il re dei vini che conosciamo oggi, con damigiane di sfuso che addirittura si stanziavano sulle 1500 lire a litro, e che facevi fatica persino a donarlo, oltre che a venderlo.

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Uno dei post-it scritti da Giuseppe Rinaldi

Entrati nella proprietà ci ha accolti Marta, figlia maggiore di Giuseppe e responsabile principale della cantina, ci ha dedicato un po’ del suo tempo mentre Carlotta e il resto della ciurma continuavano l’imbottigliamento di Dolcetto e Barbera. Dinamiche normali in un’azienda di piccole dimensioni che fa dell’artigianalità il suo stile e marchio di fabbrica.

Con Marta inizialmente abbiamo fatto un giro nel cru Le Coste, vigna accanto alla cantina e che guarda la Ravera: ci ha spiegato poi le pratiche che usano in vigna, come ad esempio la cordonatura (qui in zona chiamata anche “il cappello”), che utilizzano in alternativa alla cimatura con le macchine; ci ha inoltre indicato i punti in cui risiedono le loro parcelle, tutto questo mentre c’era chi lavorava le viti, sotto un bel cielo azzurro ma con un caldo atroce.

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Rientrati in cantina, un breve sguardo alla zona di vinificazione e maturazione, dove la botte più piccola è grande almeno come il motore di un aereo, pompe peristaltiche e una serie di macchinari storici, autentici pezzi da museo del vino che ai più tecnologici potrebbero sembrare fin troppo manuali. Immersi nella storia della cantina, ci siamo accomodati nella zona dedicata alla degustazione, notiamo bottiglie di annate vecchissime, un ritratto di Giuseppe, i vari post-it sparsi, e addirittura un curioso “divieto di sputare per terra”.

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Gli assaggi

Prendiamo un calice ed inizia la parte più intrigante della visita. Per avvinare sia bicchieri che bocca si è iniziato da Dolcetto, Barbera e Freisa 2019, freschi di imbottigliamento, una discreta beva ma logicamente ancora un po’ immaturi. Passiamo al Nebbiolo 2018, il loro piccolo Barolo, che tanto piccolo alla fine non è; raffinato, di corpo e con una certa profondità, caldo e tannico il giusto, direi impeccabile. Sicuri che non è un Barolo?

Arriva poi il momento clou: Marta ci propone una serie di assaggi da botte, partendo con l’anteprima del loro Bussia 2019, nuova vigna presa in affitto e prima annata in assoluto; altro che un bimbo in fasce, qui siamo ai livelli di un’ecografia morfologica, ma che privilegio. Successivamente andiamo con la 2018, che da quel che ho sentito è un’altra annata che promette bene qui in zona. Iniziamo col Tre Tine in pre-assemblaggio, in questo caso solo due tine: Ravera+Cannubi San Lorenzo, che qualche anno fa era una produzione a sé, poiché potevano ancora essere riportate due MGA in etichetta; naso fine e mentolato, bel corpo e già una pregevole freschezza, il binomio rock del passato che potrebbe ancora spaccare; abbiamo poi saggiato della tina mancante, che da lì a breve confluirà nell’assemblaggio, aggiungendo al groove melodia e raffinatezza, il Le Coste; anche qui una bella acidità, un po’ scuro e verde, ma travolgente, l’ultimo componente del power trio, che anche da solo farebbe la sua porca figura. Si va poi col Brunate, che parte un po’ chiuso al naso, poi apre a note balsamiche e fungine; bocca fluida e fresca ma giustamente incompleta, come il Tre tine 2018, uscirà tra un paio d’anni, manca ancora tanto tempo.

Passiamo all’annata 2017, imbottigliata da pochi giorni, dove nel Tre Tine trovo il mio vino del cuore, e per il quale ho chiesto un calice in più per tenermelo da parte; naso che varia repentinamente, che all’inizio mi fa pensare ad un single batch giamaicano, poi apre a fiori appassiti, genziana, liquirizia, prugna, tabacco da sigaro e… Devo andare avanti? Bocca ammaliante, morbida, con la giusta dose di sapidità e freschezza, tannini crudi ma finissimi, che punzecchiano lingua e gengive, finale medio-lungo; un vino a tratti già armonico, pensa con qualche mese di bottiglia, lo voglio! Brunate invece mostra tutta l’annata calda e precoce; è apparso leggermente più immaturo del fratello assemblato, ma anche qui le stimmate del futuro grande vino ci sono tutte: pastoso e potente, classe e sfrontatezza, ci rincontreremo prima o poi? Chissà!

Arriva infine il momento della 2016, l’ultima ed eccellente annata in commercio che ho approfondito molto qui in zona, non a caso annunciata come “la classica grande annata di Barolo”, e sentendo gli ultimi due vini, ne ho l’ennesima conferma. Il seducente Tre Tine 2016, un vino che fa venir voglia di prendere la bottiglia e fuggire via; naso fresco e invitante, assaggio ordinato e gustoso, da spedire dritto in cantina per qualche anno, con la consapevolezza di conservare una bomba H in vetro.

Neanche il tempo di togliersi il cappello per questo Tre Tine che arriva il Brunate 2016 e spazza via ogni certezza su quello che per tutti è stato il miglior assaggio della giornata; straripante sia al naso che in bocca, parte un po’ timido, poi rosa rossa, amarena, liquirizia e tabacco da pipa; assaggio che esplode in bocca, caldo, particolarmente morbido, tannino marcato ma mai invasivo, bella acidità e finale interminabile; 92 minuti di applausi scroscianti e chiusura del sipario.

Se avessi iniziato a scrivere questo pezzo qualche ora dopo la visita, per appagamento avrei scritto solo un grazie, mentre il giorno dopo forse sarei stato smielato e anche più banale; la verità è che non capita tutti i giorni di toccare con mano il lavoro di persone, che con le loro idee e la giusta tigna hanno dato tanto per questo vino, e addirittura emozionarmi con degli assaggi. Il vino non è solo bottiglie, ruotare bicchieri o sfighettare con una sciabolata come può apparire al di fuori, quello vero è anche tradizione, sudore e tanta passione, ingredienti che in quel pomeriggio c’erano tutti, e noi che eravamo lì ci sentivamo dei privilegiati.

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I vini assaggiati:

  • Dolcetto, Barbera, Freisa 2019
  • Nebbiolo 2018

I Barolo

  • Bussia 2019 (prima annata di produzione) – da botte
  • Tre Tine (solo Ravera+Cannubi San Lorenzo), Le Coste, Brunate 2018 – da botte
  • Tre Tine, Brunate 2017
  • Tre Tine, Brunate 2016
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Simone Di Vito

Cresciuto a pane e corse automobilistiche (per via del papà pilota), sceglie la sostenibilità di bacchette, tamburi e corde grosse, tra batteria e basso elettrico. Si approccia al vino grazie a una breve carriera da scaffalista al supermercato, decidendo dopo anni di iscriversi ad un corso AIS. Enostrippato a tempo pieno, operaio a tempo perso. Entra in Intravino dalla porta di servizio ma si ritrova quasi per sbaglio nella stanza dei bottoni. Coltiva il sogno di parcellizzare tutto quel che lo circonda, quartieri di Roma compresi.

25 Commenti

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Max Cochetti

circa 3 anni fa - Link

Giuseppe Rinaldi, per gli amici "Critico". Lapsus o tastiera maledetta? :D


Corretto, grazie Max. [ale]

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Simone Di Vito

circa 3 anni fa - Link

T9 del cel maledetto 🤦‍♂️

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Marco Piazza

circa 3 anni fa - Link

Per diversi anni ho sempre fatto l'ordine di acquisto, immancabilmente mi veniva tagliato... Non lo faccio più... Vivo ugualmente...

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carolaincats

circa 3 anni fa - Link

"Il vino non è solo bottiglie, ruotare bicchieri o sfighettare con una sciabolata come può apparire al di fuori, quello vero è anche tradizione, sudore e tanta passione" bello che qualcuno se ne ricordi... Grazie per questo ritratto di due amiche a cui voglio un bene immenso e del loro papà con cui mi sono divertita a sentire storie di vita vera. Grazie davvero.

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Simone Di Vito

circa 3 anni fa - Link

Grazie a te Carolain

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Marcello Sensi

circa 3 anni fa - Link

A dispetto del cielo plumbeo, ho iniziato la giornata nel miglior modo possibile! Il solo udire il venerabile nome di Giuseppe Rinaldi mi fa sobbalzare il cuore... In realta' egli non e' affatto scomparso e continua a vivere nei nostri cuori grazie anche all'impegno e alla dedizione delle meravigliose Marta e Carlotta che perpetuano i suoi illuminati insegnamenti.

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Alessandro

circa 3 anni fa - Link

Peccato che, visti i pezzi, questi vini li berranno solo pochi ricchi . Vero peccato

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vinogodi

circa 3 anni fa - Link

...associazioni ipotalamiche che danno piacere profondo , apparentemente recente ma eoni , a livello di una sola vita ... con l'immancabile salame , il fumo del sigaro a mezz'aria quasi una nebbiolina sparsa per l'intera cantina con le botti antiche, il bicchiere mai vuoto sul tavolo, l'apprezzamento per questo o quel produttore , sempre in positivo , il dubbio con sorriso benevolo della barrique, l'adorazione (amichevole) per il vecchio Bartolo , il cambiamento del clima , il Barolo che con fatica arrivava a 12,5 ° e "oggi" fai fatica a tenerlo sotto i 14°...

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vinogodi

circa 3 anni fa - Link

...vini poetici , quelli del "Citrico" ...

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Maroz81

circa 3 anni fa - Link

Che dire, da Giuseppe Rinaldi sono stato le ultime volte che ancora c'era lui, poi non sono più andato. Con questo racconto mi hai fatto tornare la voglia di passare in quella splendida cantina, ma sapere che lui non sarà più lì mi rattrista molto, Forse è per quello che non sono più andato.

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Simone Di Vito

circa 3 anni fa - Link

Maroz81 ti capisco, in una settimana di Langhe, con qualsiasi produttore l'argomento e il carisma di Giuseppe Rinaldi usciva sempre fuori, quindi immagino che gran persona sia stato. Se non sbaglio però è qualche anno ormai che Marta e Carlotta si occupano di cantina e vigne, e per me meritano un plauso oltreché una visita, pensando a chi era il padre e al peso della responsabilità che si portano addosso, continuano a lavorare bene e con ottimi risultati.

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Sancho P

circa 3 anni fa - Link

Tutto bellissimo e vero, però due parole di biasimo da parte della proprietà ,nei confronti di coloro che si accaparrano le bottiglie a prezzo di cantina, e poi speculano vendendole online a prezzi da mal di testa, farebbero piacere. Bei tempi quando da Alessandro Bulzoni, con 45 euro di portavi via il Brunate Le Coste o il Cannubi San Lorenzo Ravera. Pochi anni fa, ma già un'altra epoca.

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Paolo Corsetti

circa 3 anni fa - Link

Concordo in toto e mi chiedo quale sia il meccanismo per cui Vini contadini, come quelli di sopra descritti, finiscano nei cataloghi di giganti impersonali della vendita online, piuttosto che nelle enoteche. Perché Tannico(cito solo per esempio) riesce ad accaparrarsi Rinaldi ed a vendere il Suo Barolo a 335 € mentre l'Enotecario non ha possibilità di averlo?

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vinogodi

circa 3 anni fa - Link

...prosaicamente , forse perchè quando si scende di un gradino di poesia e si sconfina nell'area commerciale , di questa poesia ne rimane poca attaccata all'osso? Un film già visto sia a livello nazionale che internazionale . Senza generalizzare troppo ( tanti artigiani sono ancora tali con qualche soldo in più in tasca...) , affrancati dal triste destino di conferitori , sia in Borgogna che in Langa (dove trovo parecchie similitudini) , chiediamoci perchè la catena del valore si è dilatata inizialmente per poi accorciatasi fortemente quando ci si è tolti l'anello dal naso ... e quando quarant'anni fa i nostri eroi giravano in Panda ( Langa) o in Diane (Borgogna) , oggi li vediamo ("vedo" , visto i tanti amici produttori che ho nelle due aree) in Mercedes e Porsche ( ma anche Audi A6 o Q7 ...) ... forse qualche settimana fa ci si esprimeva , sempre non prosaicamente ma realisticamente , in "pecunia non olet " ... chiaramente non mi sto riferendo alla famiglia Rinaldi nello specifico , ma in generale , in quanto non solo i vini di Rinaldi hanno avuto una impennata di prezzo spaventosa negli ultimi anni , non sempre per mera speculazione , anche se il delta fra prezzo alla fonte e quello finale ha risentito fortemente delle variabili comunicative (leggi critica internazionale che ha scoperto nell'ultimo decennio la Langa come mai era successo...) ... vogliamo parlare dei Conterno , Giacosa , Mascarello (sia Maria Teresa che Mauro) , Vietti , Roagna & Company? ...no , Rinaldi a confronto è un bon bon ...

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Marcello Sensi

circa 3 anni fa - Link

Io credo che l'annata 2010 sia stata uno spartiacque per quel che riguarda le fortune del Barolo. E' accaduto che tutto il mondo si e' accorto di questa preziosa gemma enologica che - a paragone con i piu' blasonati vini francesi - e' tuttora abbordabile a prezzi ragionevoli. Premesso che i capolavori di Rinaldi ( a tiratura estremamente limitata ) sono richiesti e conosciuti ai quattro angoli del pianeta, vorrei lanciare una provocazione: quale sarebbe il prezzo di un suo Barolo se fosse prodotto in Borgogna o piuttosto a Bordeaux? Altro che i 335 euro di Tannico... E diro' di più: saro' autolesionista, ma come italiano mi inorgoglisce sapere che il Monfortino ha sfondato la soglia dei 1000 euro a bottiglia. Non mi sembra che ci sia tutto questo divario con i fuoriclasse d'oltralpe, anzi...

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Paolo Corsetti

circa 3 anni fa - Link

Da ingenuo piccolo negoziante, mi stupisce sempre la contraddizione tra il racconto e la realtà. Si fa un gran parlare di vini contadini, di vini che hanno un'anima, di rispetto per l'ambiente e di attenzione al sociale; si manifesta ad ogni occasione un atteggiamento più o meno di sinistra, ma poi scenendo nella realtà, si propone il proprio prodotto a prezzi che nessun operaio, impiegato o piccolo commerciante, potrà mai permettersi. Personalmente la trovo una contraddizione. Quando giravano in Panda, non penso che regalassero il loro vino. Il punto in oggetto, è l'impennata dai 50 euro ai 340 odierni. Hanno ben capito come gira il mondo e giustamente ne approfittano. Diciamo che nel mondo vino di oggi, la poesia costa cara. Molto cara.

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vinogodi

circa 3 anni fa - Link

...Paolo , in cantina non è passato da 50 a 340 . E' la domanda che ne ha determinato l'offerta,così come le variabili che la condizionano, non da ultimo i la grancassa mediatica (meritata) , la qualità (meritata) e la rarità oltre alla storia riconosciuta. Così come Monfortino a 1000 e Crichet Pajé a 1200 . Ma tutto il comparto si è riappropriato, solo parzialmente rispetto alle quotazioni di vendita, perchè tali sono , della parziale catena del valore . Ritornando a bomba sulla Borgogna , arriviamo ad un paradosso non dico indecente ma perlomeno amorale , parlando di bottiglie di vino fino a 20 anni fa "praticabili" agli appassionati non proprio indigenti . I' 80% dei vini sopra i 1000 Euro (sia bianchi che rossi) sono in quell'area e addirittura il 99% sopra i 5000 Euro . Hai letto bene ...

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Paolo Corsetti

circa 3 anni fa - Link

Se l'impennata non nasce in cantina, , il gap è tra prezzo di produzione e prezzo di mercato. La forbice in questi ultimi anni si è allargata, arricchendo il commerciale, cioè coloro che riescono ad accaparrarsi le bottiglie. Spesso sono i grandi gruppi che vendono online. Considerando che molte di queste aziende, non hanno agenti che battono il territorio, capiarea ecc, mi chiedo con quale criterio le bottiglie vengano assegnate.

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Stefano

circa 3 anni fa - Link

Vinogodi, della Borgogna non mi spaventano gli irraggiungibili, tali per me da sempre, salvo inviti a degustazioni. Mi fa arrabbiare come negli ultimi anni mi sono visto sfilare sotto il naso la possibilità di acquistare casse dapprima di grad cru, poi di 1er, poi di villages e ora perfino di Appellation Bourgogne (perché 30 euro x 12 comincia ad essere una cifra che mia moglie nota come prelievo dal conto corrente...). Si salva Chablis, ma per quanto ancora?

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Alessandro

circa 3 anni fa - Link

Ma visitando l azienda, e`possibile acquistare in loco un paio di bottiglie? Temo una risposta negativa...

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Sancho P

circa 3 anni fa - Link

Non per essere patetico, ma da operaio, una bottiglia al mese di Rinaldi o di Bartolo Mascarello, la compravo sempre, nonostante le cazziate di mia moglie. Una volta l'anno, il cascina Francia (su prenotazione)Oggi, da impiegato di secondo livello, non posso permettermeli. Conservo ricordi indelebili del Cannubi San Lorenzo 2001, dell'esile ma strepitoso Brunate le coste 2002 ecc ecc. Mi consolo con il mio adorato Brunate di Poderi Marcarini dal prezzo ancora abbordabile. Ieri come oggi.

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Maroz81

circa 3 anni fa - Link

Scusate, ma ora in cantina quali sono i prezzi???

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Francesco Brenna

circa 3 anni fa - Link

Intorno ai 40 euro. Praticamente regalati.

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Marox81

circa 3 anni fa - Link

Barolo 40 euro niente male, peccato sia quasi impossibile da prendere

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Cristiano

circa 3 anni fa - Link

Non vorrei sbagliarmi, ma se non ricordo male telefonai alla cantina Rinaldi nel mese di Giugno per fare una degustazione: mi venne risposto che loro non sono aperti al pubblico. Benissimo: rispondo che finché ai comuni mortali come me non sarà consentito l'accesso al tempio e l'iniziazione ai misteri rinaldini, io non investirò né tempo, né danari per accaparrarmi il loro elisir al nebbiolo fra lo squallore di un sito internet.

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