Macchiare di vino la Guida alle birre d’Italia 2013 è un modo originale per rischiare la vita

di Alessandro Morichetti

Non essere strettamente addentro al circuito della birra artigianale italiana farà di me carne da macello nello spazio di 30 righe ma essere malmenato verbalmente forma il carattere e la psiche. Il mio dietologo conviene che dovrei parlare di più e bere di meno ma c’è una verità settembrina che devo condividere: la mia usuale dieta 80% vino – 20% birra, d’estate rovescia le percentuali e ringrazio il padreterno delle piogge per avermi fatto cascare un po’ di Barolo nel bicchiere dopo 4 mesi. Quando nei NB delle urine ti scrivono “tracce di Biancaneive” (nome geniale della blanche di Citabiunda a Neive, delizioso: stesso campionato di Eataly) è segno che devi studiare il problema. L’ho fatto.

Guida alle birre d’Italia 2013 è una pubblicazione di Slow Food, curata da Luca Giaccone ed Eugenio Signoroni (due ragazzi buoni, puliti, giusti bravi e puliti), unica nel suo genere. Va detto: le chiocciole di nome e spesso di fatto hanno capito da qualche anno che un settore così in crescita per numeri (piccini eppure sempre meno: l’1% della vendita di birra in Italia) necessiti una ricognizione sistematica. Ottima l’intenzione, articolata la realizzazione e nessun competitor lontanamente all’orizzonte.

Uniformatasi a Slow Wine (qui la miglior recensione in circolazione dell’edizione 2012: fine messaggio autopromozionale) nell’impostazione, la Guida alle birre ne conserva punti di forza e debolezze lapalissiane. L’opera è molto leggibile, la suddivisione delle schede in Birraio, Birrificio, Birre è godibile e informativa, ben scritta. Alla comunicazione di birrifici e birre premiate, tra gli appassionati e i professionisti del settore si sono scatenate discussioni a profusione ancor prima che qualcuno di loro l’avesse nemmeno sfogliata. Dal versante consumer, trovo interessante aver rivisto la simbologia bottiglia/spina/chiocciola riservata ai birrifici – articolazione positiva mutuata da Slow Wine – ma, al contrario, aver tolto le stelline dalle singole birre (fino ad un massimo di 5) è stata una autentica minchiata, un errore strategico, un appiattimento in basso. Per chi non conosce i birrifici e legge le note sembra che tutte le birre sian buone e finisce che a spiccare siano “solo” le 144 premiate. Errore, errore, errore!

Quando vado in un posto e voglio bere, io ho un solo interesse. Beccare la birra giusta per il mio gusto e trovarla buona. Esplicitare con giri di parole quanto sia realmente valida una birra è arte rara. I simboli aiutano, specie quando hai decine di collaboratori. Togliere i simboli ha complicato le cose. Quando bevo la mia Biancaneive, sarei curioso di sapere cosa ne pensi chi conosce centinaia di prodotti dello stesso stile: poi io la berrò uguale ma almeno mi faccio un film e, si sa, la sceneggiatura è il sale della vita.

Io che son furbo, dunque, ho chiesto un po’ in giro ed è emerso quel che sospettavo: con conoscenza e un po’ di malizia si capisce quali schede “dicano poco” e siano generaliste (“bel colore dorato, schiuma persistente, finale amaro”) e quali invece siano più “entusiastiche” anche se la birra non è premiata. Non dico di istituirere il voto centesimale “tipo vino” ma restaurare le care vecchie stellette chiarirebbe meglio le cose (una Pincopils a 75 e una Tipobirra a 65 sono evidentemente diverse, ma con la guida “a giudizi” non sembra). Le birre premiate sono “birre consigliate dalla redazione”, così come i birrifici, ma non c’è un metro di paragone tra le varie birre non premiate, giocoforza appiattite. Finiscono per sembrare buone anche certi prodotti industriali che hanno buon odore solo serviti a meno 10.

Capiamoci: la filosofia della guida mi piace e il taglio si adatta bene allo scopo, però un certo democristianismo Slow non aiuta, e nessuno si senta offeso. Vade retro una guida per nerd, comunque: l’approccio è giusto e il prodotto molto valido, piacevole da leggere, incuriosisce. Non mi soffermo più di tanto sull’evidente peggioramento grafico perché stavo per spaccare la testa al publican, ieri sera. La grafica è confusa, la simbologia in triangolini sembra pescata da un manuale di grammatica egizia, i colori utilizzati li avrebbe scelti meglio anche mio nipote di 3 anni. Da rivedere, alla svelta. Comunque fanno 15 euro spesi più che bene. Da comprare e regalare rigorosamente abbinata a qualche buona bottiglia per nuovi adepti. Il Kuaska nella prefazione è sempre una certezza: ci sono anche birre in cui gli italiani sono maestri, guarda un po’.Per un supplemento d’indagine, rimando al Turco su Cronache di Birra.

Bonus per appassionati: dopo l’annuncio di quasi due anni fa, è finalmente uscito Brew It, documentario sulla birra artigianale italiana. Informativo il giusto, filmicamente corretto il giusto, piacevole il giusto. Per un sussulto di emozione son dovuto arrivare al minuto 39:35 e ci tengo a riportare per intero il passaggio di Agostino Arioli (Birrificio Italiano), padre fondatore del movimento in Italia. Lo dedico agli scettici, quelli che snobbano certa birra perché priva di tradizione, frutto di invenzione, costosa o, peggio, non al livello delle grandi birre mondiali. Dice Arioli:

Quest’anno sono tornato a Chicago, alla World Beer Cup che si tiene ogni due anni, di nuovo come giudice. Avevamo iscritto delle birre e, inaspettatamente, Vùdù ha preso una medaglia d’oro nella sua categoria, davanti a birrifici tedeschi che hanno secoli di storia e devo dire che sentir nominare Birrificio Italiano e Vùdù in una sala con 2400 persone sedute, alzarmi, attraversare la sala, andare sul palco e ritirare questa targa è stato un momento entusiasmante, un piccolo momento di gloria.

Buona visione. (Anche qui, per i dettagli, fortissimamente Turco).

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Alessandro Morichetti

Tra i fondatori di Intravino, enotecario su Doyouwine.com e ghost writer @ Les Caves de Pyrene. Nato sul mare a Civitanova Marche, vive ad Alba nelle Langhe: dai moscioli agli agnolotti, dal Verdicchio al Barbaresco passando per mortadella, Parmigiano e Lambruschi.

9 Commenti

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marco bolasco

circa 12 anni fa - Link

Bella rece, Antonio. Incasso le critiche sui simboli perché leggendola e rileggendola penso tu abbia delle ragioni, anche se quando la progettavamo eravamo convinti delle scelte. Ma l'usabilità è, in effetti, altra cosa. Il progetto guida birre è una delle cose su cui abbiamo investito di più, in termini di energie, anche perché se è vero che l'interesse è grande (di questa edizione quasi 70 testate hanno scritto) il mercato (del libro) non è ancora così significativo. Però è un settore strategico e per me un amore di gioventù, visto che la birra è stata la prima cosa di cui ho scritto. Il discorso sul "rating" evidentemente è una questione delicata. Leggo e rifletto sulle critiche anche se, ovviamente, non è "democristianismo Slow" ;-) E' una scelta profonda, maturata e spesso rimessa in discussione che vuole cambiare il punto di vista del recensore. Il voto ovviamente renderebbe tutto più facile e veloce. Però qui abbiamo deciso di metterlo da parte. La vera sfida, qui e altrove, è riuscire a trasmettere valori attraverso i testi, rinunciando ai voti. Possibile? Ci si prova. La cosa interessante è che per Osterie non se ne è mai lamentato nessuno (forse perché è nata così?) mentre su vino, olio e birre sembra essere più difficile. Interessante anche questo, no?

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Alessandro Morichetti

circa 12 anni fa - Link

Per la Guida alle birre, ancor più per Slow Wine, ho la sensazione che il nobile intento sia ancora acerbo nella realizzazione. Descrivere nitidamente e con precisione un prodotto è un bell'esercizio: o hai mezza pagina come Porthos o sei Giuseppe Ungaretti. Ergo, l'indicazione di acquisto va semplificata. Il rischio, paventato da più parti, è che la pubblicazione diventi più un libro di storie da tenere sul comodino che un prontuario da infilare in macchina ad ogni uscita, prima di entrare al pub o in enoteca. Rischio serio e da affrontare, non eludibile credo. Son d'accordo nel non punteggiare ma in queste condizioni purtroppo è impossibile. A tratti la cura è peggio del male perché non aiuta a capire il singolo prodotto. Eccettuati i vini "segnalati", i restanti finiscono nel calderone alla svelta. Salvo le eccezioni da colpo di coda dell'Ungaretti di turno. Le due guide corrono lo stesso rischio, ora. Siete Slow Food e avete un potere. La questione non è marginale ma credo costituisca l'ossatura del ragionamento a monte e probabilmente dovreste trovare soluzioni più calzanti. ps: In "A tutta birra", senza barba, avevi non più di 18 anni, poi il declino :-). Penso di aver visto le 3 puntate pescate sul sito di Kuaska decine di volte.

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marco bolasco

circa 12 anni fa - Link

E' che nessuno, critiche a parte, ci ha ancora suggerito la buona via... ;-) Da come scrivi mi viene in mente però che una concreta soluzione sarebbe provare a scrivere buoni testi della lunghezza di un sms. Cosa che ritengo più che possibile. Sulle Osterie non mi hai risposto, in parte in questa differenza c'è la via d'uscita, anche se non l'ho ancora trovata. p.s.: di anni ne avevo tipo 32. Il declino è stato quindi inesorabile :-)

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Alessandro Morichetti

circa 12 anni fa - Link

Mi chiedi una risposta che vale una consulenza e per quello che consumo Carlin Petrini dovrebbe vendersi un rene :-). Osterie ha imposto uno standard, ha "inventato" un genere che esisteva ma non formalizzato né valorizzato. Ti dice dove andare e perché, stop. Poi magari non godi del tutto ma almeno un valore da scoprire c'era. Mi è capitato quest'estate: cena siciliana non top ma poi, parlando col ristoratore anti-mafia, ho capito perché avrei finito per inserirlo anche io. E, per una volta, fanculo carta dei vini e pesca a lenza. Il paragone sarebbe calzante se SW segnalasse SOLO i vini che vale la pena comprare, spiegando perché. Sarebbe una guida porthosiana, piena di nemici e povera ma bella e pura. Segnalare meno vini ma farlo meglio e senza peli. SOLO il vino che "vale" una cantina, due se è cantina importante, 3 o + se supertop. Senza voti. Le tre paroline non servono a niente, basterebbe l'elenco. Almeno la suggestione della segnalazione è più forte e ha più spazio.

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marco bolasco

circa 12 anni fa - Link

Mmhh...non mi hai convinto. Perlomeno non del tutto ;-) I valori da scoprire sul vino sono anche quelli relativi a vigne e persone, e lì il testo serve anche a capire perché "fanculo" alcuni aspetti relativi a favore di altri. E perché, anche in questo caso, li abbiamo inseriti, come dici. Per il resto SW segnala solo i vini che vale la pena comprare (opinione della redazione), che poi si possa non essere d'accordo ovviamente è possibile. D'altro canto se si misura il numero di vini esistenti rispetto ai segnalati si scopre che SW è più selettiva di Osterie. Però secondo me trascuriamo una cosa (ragiono ad alta voce): la vera differenza è che SW si è inserita in un mondo in cui codificazioni e metodi erano già presenti. E ne ha scelto uno decisamente più complicato (su questo ti do ragione). Osterie ha trovato il campo sgombro e ha fatto quello che tu dici, creando anche un modello narrativo fondato su tre valori (prezzo, identità territor-tradizionale, accoglienza). SW ha bisogno di più tempo e, probabilmente, di focalizzare di più l'attenzione sui valori, che sono nuovi. Quello che cercheremo di fare meglio quest'anno.

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Alessandro Morichetti

circa 12 anni fa - Link

I testi su Vigne e Uomini non sono in discussione, mi riferivo al dare maggior risalto e spiegazione a meno vini: sarebbe coerente con l'impostazione. Ragiono ad alta voce ed estremizzando, ma poco: le righe dedicate ai vini non segnalati sono davvero poco utili perché figlie di mani troppo diverse per esprimere lontanamente di che vino si tratta. Scremare e perfezionare: non inizierò la lista dei vini che neanche chi ha stilato la scheda comprerebbe, sai che è così e di necessità. Di aziende in Italia che valgono i 6 vini ce ne saranno non più di 100 (provocazione) ;-). Questa potrebbe essere una pista ma, a mio modo di vedere, l'inutilità di una parte dei testi va risolta, se convenite con me: "Verduzzo di Torre del Greco piacevole e di buona complessità (18.000 di bottiglie, 9 euro)" aiuta a capire?

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marco bolasco

circa 12 anni fa - Link

Scusa, Alessandro. Ho letto due volte il tuo testo ma avevo deciso che eri Tomacelli. Non te la prendere, eh... ;-)

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laura

circa 12 anni fa - Link

Mi è piaciuto lo scambio di vedute Morichetti - Bolasco. Credo non si conosca abbastanza il "travaglio" delle redazioni e dei curatori quando vanno scelte impostazioni e prese decisioni che ne determinano l'equilibrio di forma e contenuti, ovvero la facilità di consultazione (e non penso siano molti quelli che si prendono il tempo di leggere le introduzioni per capire tali scelte). Nel mio caso, ma non credo di essere la sola, fruibilità significa anche "velocità" ma senza perdere in approfondimento. Perché, se le Guide che ho scelto per l'annata stazionano solitamente negli scaffali più comodi della libreria, e me ne valgo tipo "Devoto - Oli", quindi con tempo da dedicarvi, vengono poi periodicamente "promosse" al sedile del passeggero nella mia auto. Ma, quando si è in giro, di tempo per leggere non ce n'è, quindi un "sms" è oro! Grazie a voi!

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carlo piasentin

circa 12 anni fa - Link

ricordo una preziosa guida alle birre del mondo del grande e compianto Michael Jackson. Anche lì usava le stelline, non solo per indicare la qualità assoluta della birra o del birrificio, ma anche per segnalare birre riferimento di uno stile, o birre con particolare personalità. Io l'ho sempre trovata un'ottima idea.

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