L’unico segreto per vendere è dire la verità. Altro che “vino taylor-made” (sic)

di Fiorenzo Sartore

Fabio Rizzari deve essere il genere di giornalista che riceve grandi quantità di posta da agenzie di stampa e PR del nostro settore: forse ha sviluppato un po’ di rassegnazione. Non abbastanza da ignorare questa, proveniente da un’azienda che “Opera nell’area di (omissis), terra di vini ricercati dagli operatori anche esteri”. Il tono del messaggio, sprezzante del pericolo, raggiunge notevoli vette comunicative: “Il nostro intendimento, come lei saprà, è di creare prodotti più up-to-date, nell’ottica di un miglioramento di ogni fase produttiva – dalla gestione dei vigneti ad alto monitoraggio a tecniche enologiche all’avanguardia, che consentano la creazione di un vino taylor-made (sic) sulle esigenze del consumer di alta fascia”. Che cosa ha detto, esattamente? Non lo so. Comprerei quel vino? Manco morto.

Enrico Dellapiana appartiene ad una famiglia di produttori di Barbaresco: Rizzi. Intravino ne ha già parlato. Dopo quel post ho fatto un breve giro a Treiso e ho comprato alcune cose (sono il genere di commerciante che si convince leggendo i blog). Al di là della visita piacevole, gli spunti migliori per conoscere e vendere il vino nascono dal parlare con chi lo fa. Usando parole umane. Per esempio Enrico mi raccontava della vigna Speranza, una delle più vecchie piantate a chardonnay, in Piemonte: il papà chiamò così la vigna, ed il bianco che ne viene fuori, nella speranza di convincere la moglie a bere vino (pare che non amasse i rossi). E’ una storia molto semplice e molto poco roboante, ma è una moneta spendibile ogni volta che venderò quel vino. La narrazione intorno ad un prodotto, se rivela elementi reali, ha un senso. Altrimenti, nel migliore dei casi, è fuffa.

Scomodiamo la parola magica: verità. Quando il Clue Train Manifesto preannunciò, per le aziende, l’uso obbligatorio di formule comunicative umane, sbagliò solo, credo, nell’eccessivo ottimismo circa i tempi. Internet rende obsoleta la terminologia demenziale del marketing, ma non abbastanza, non del tutto. Siamo a metà del guado, ed infatti le agenzie di pierre che parlano la lingua brochurale e farlocca del “consumer di alta fascia” (qualunque cosa voglia dire) prosperano indisturbate. Per quanto mi riguarda, questo modo di dire le cose, fatto di parole non umane (nessuno di noi osa presentarsi ad un suo simile dichiarandosi “up-to-date”) non serve a vendere, perché non contiene elementi di verità. La verità, purtroppo o per fortuna, è il regalo che ci fa Internet se riusciamo ad usarne le potenzialità. Cioè se ci rendiamo conto che siamo tutti, ugualmente ed indistintamente, artefici della narrazione che qui si svolge con parole umane. (E con questo, dopo la parola verità, riesco a sventolare pure uguaglianza, scusate). Sta a noi scegliere. Oddio: verità, uguaglianza, libertà, non intendo fondare un partito, ma elencare opportunità. Chi vende vino farebbe bene a pensarci. Io già l’ho fatto.

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Fiorenzo Sartore

Vinaio. Pressoché da sempre nell'enomondo, offline e online.

12 Commenti

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Giovanni Faraone

circa 13 anni fa - Link

In quest'articolo è sintetizzato il motivo per cui mi rifiuto di dare le bottiglie in degustazione alle guide i cui relatori non siano mai passati nella mia cantina o con i quali non abbia scambiato almeno un qualche occasionale commento. Grazie !

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Simone e Zeta

circa 13 anni fa - Link

Nei concetti espressi, per promuovere un vino taylor made, leggo molta arretratezza culturale in fatto di marketing. Internet c'entra poco, vedo solo un aggrapparsi a concetti fermi da 20 anni, quando appunto si costruiva un idea che colpiva nello stesso modo i consumatori, ritenedoli tutti uguali o avvicinabili dallo stesso tipo di messaggio. Per cui Quintali di Marketing verticale, e costruzione del Brand monosignificato. Adesso qualcuno dovrebbe tornare a scuola ad impare che, con l'avvento della rete, complice anche la crisi che ha consigliato acquisti ben ponderati, il prodotto si è "multisfaccettato"; parlando di vino hanno acquisito importanza agli occhi del consumatore una serie di caratteristiche che il vetusto marketing non considerava. Una bottiglia di vino può essere comprata per una serie di motivi che esulano dal singolo concetto che si vuole propore: Il titolare dell'azienda è simpatico, il vino è Bio, a Km 0, costa poco, ha poco alcool, ne parano le guide, non ne parlano le guide etc. Ecco che questo nuovo marketing orizzontale ha come strumento indspensabile la narrazione, che contenga più elementi da distendere con saggezza e dispensare con attenzione ai vari interlocutori interessati. Finalmente la Sociologia ritorna a pieno titolo, tra le materie che convergono per la riuscita di un 'azione di Marketing.

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Francesco Annibali

circa 13 anni fa - Link

Se non ricordo male è la tesi di Antonio Tombolini, che internet nullifica il marketing. lui addirittura sostiene che il marketing è morto, io non ho mai capito cosa intenda dire. Antò se ci sei batti la tastiera

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Rizzo Fabiari

circa 13 anni fa - Link

Nessuno scampa a comunicati simili, indipendentemente dal suo ruolo nel circo equestre degli "addetti ai lavori" italici. La loro frequenza è tuttora statisticamente preoccupante, diciamo due "up-to-date/consumer/trend" ogni cinque email. Il brutto è che noi - intesi come appassionati di vini veri, di gente vera, di luoghi veri, di parole vere, eccetera - viviamo in una bolla irreale. Pensiamo che i vini plastificati siano ormai un anacronismo, un residuo del passato, un fondale dipinto che abbiamo già sfondato. E invece, guarda un po', di enologi e produttori e distributori e soprattutto bevitori che sono entusiasti dell'approccio "up-to-date/consumer/trend" ce ne sono ancora millanta, come diceva il vecchio Gino.

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she-wolf optimistic

circa 13 anni fa - Link

Caro Fabiari, tutto giusto. A parte che quello che tu dichiari "il brutto" é invece "il bello". Il bello di riuscire a passare indenni attraverso manipolazioni, plastificazioni, falsificazioni e tutte le altre "ioni" imperversanti. Pazienza se queste ci fanno perdere tempo e inasprire il sangue. Il vino buono ce lo beviamo noi e che altri affoghino in quello falso.

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corrado dottori

circa 13 anni fa - Link

Gran bel post. Complimenti a Fiorenzo. Penso che sia una buona base anche per dibattito di Offida, no?

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Fiorenzo Sartore

circa 13 anni fa - Link

Grazie, be' sì, l'idea era anche quella.

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Uainmeicher

circa 13 anni fa - Link

Il fatto è che prescindendo dallo stile evidentemente irrtante, viene detta una verità nella sostanza, paradossalmente oggi sarebbe up to date fornire a clienti di alta fascia dei vini taylor made, rappresentati proprio da prodotti apparentemente naif e/o naturali, ovviamente accompagnati da una presentazione finto buzzurro.Dovendo pertanto apparire tali anche nella comunicazione farei molta attenzione a tentare di giudicare i vini partendo proprio dalla comunicazione, in altre parole temo che,come già qualcuno ha già detto, internet sta verosimilmente uccidendo certe possibilità d fare marketing. Ormai le chiacchiere, bene o male, stanno a zero. Verità nella comunicazione ? Diciamo che occorre più che altro trasmettere un po'di credibilità.

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she-wolf Oxford dictionary

circa 13 anni fa - Link

TAILOR MADE, PLEASE, NO TAYLOR MADE! alternativamente, propongo TYSON MADE, per significare come un certo linguaggio faccia a cazzotti con l'argomento.

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Rina Marga

circa 13 anni fa - Link

Casomai "not taylor made". Comunque l'errore dei tipi del comunicato era già stato notato sia nel post originario sia in questo, vedi infatti la chiara scritta: (sic)

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Antonio Tombolini

circa 13 anni fa - Link

Chiamato in causa da Francesco Annibali (ciao!) rispondo rapidissimamente con 2 link "d'annata" (tenetene conto, guardate le date, e siate clementi, anche perché alcuni dei link rinviano a pagine non più esistenti): http://goo.gl/bfBcZ http://goo.gl/8PSF3 Spero aiuti :)

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