Lo Zwanze Day 2018 di Cantillon è stato un meraviglioso omaggio all’Italia (con la Manneken Pise)

Lo Zwanze Day 2018 di Cantillon è stato un meraviglioso omaggio all’Italia (con la Manneken Pise)

di Thomas Pennazzi

Come ogni anno, puntuale alla fine di settembre arriva lo Zwanze Day, irrinunciabile avvenimento per ogni beer geek che si rispetti. L’undicesima ed ormai tradizionale giornata celebrativa della Brasserie Cantillon, con la sua birra creata ogni volta per l’occasione, è un motivo di festa, ed insieme il momento più opportuno per prendere le misure alla divisiva bevanda brussellense. Ve ne ho già raccontato qui e qui.

Quest’anno c’era però un particolare motivo di patrio orgoglio: la Maison Cantillon ha dedicato infatti la Zwanze 2018 – chiamata Manneken Pise perché riporta in etichetta il celeberrimo simbolo della capitale belga, la fontana del bimbo che fa pipì – ai suoi amici italiani, memore delle passate difficoltà del birrificio. I divulgatori ed i più attenti publicans dello Stivale (da Kuaska e Manuele Colonna a scendere) hanno creduto fortemente nei lambic in tempi non sospetti, e hanno contribuito tra i primi alla sua conoscenza e alla sua diffusione nel mondo, tenendo in vita la domanda per questo stile tradizionale di birra, che altrimenti sarebbe scomparso. Oggi, dall’alto del successo globale, Jean Van Roy è loro riconoscente onorandoli con una Zwanze tricolore tutta per loro. Meritatissima.

Settantadue i luoghi dell’evento in ventidue Paesi, dall’Australia al Giappone, passando per Nuova Zelanda, Brasile, Canada, mezz’Europa, Russia e Cina. Privilegiatissima l’Italia, unico stato ad avere ben otto locali di mescita, secondo solo ai ventotto degli USA.

La particolarità della Zwanze 2018 è la maturazione di questo lambic in botti di vino italiano. Precisamente, si tratta di un blend di tre lambic di due anni maturati in botti che hanno contenuto Amarone, Chianti e sangiovese. Ma ecco il racconto del mastro birraio:

Le botti di Amarone hanno dato vita ad un lambic delicato, quelle di sangiovese ad un fruttato superbo, mentre quelle di Chianti hanno sviluppato un vinoso secco ed acidulo. A parte il sangiovese, non sarebbe stato molto interessante produrre una birra solo dalle botti di Amarone e Chianti. L’assemblaggio di questi tre lambic,  ognuno dei quali sviluppa un aspetto diverso di ciò che questo tipo di birra può apportare, diventava evidente. Esso ha avuto luogo a fine gennaio 2018.

Ed ecco la birra una volta versata dalla bottiglia (il locale cremasco è stato l’unico al mondo a godere di questo privilegio): l’attacco è lievemente acido, come ci si aspetta da un lambic, ma… avverti da subito che qualcosa è diverso dagli altri anni. Ancora da fresco l’impressione è di beverina leggerezza, che si rivelerà una fugace illusione. E non è la prima volta che Cantillon inganna i suoi bevitori con trucchi di raffinata magia.

Jean Van Roy in persona pochi giorni prima dello Zwanze Day suggeriva di bere questa sua creazione oltre i 15°: ed erano parole quanto mai sensate. Alla temperatura di cantina, e pure oltre, la birra assume tutt’altra espressione, rivelandosi più complessa di quanto avresti immaginato solo con qualche grado in meno.

manneken pise cantillon - 1

E che lambic! Anzi, la sua trasfigurazione. Il soggiorno in botti di vino rosso italiano doma la verve selvatica di questa bevanda – giudicata da certi assaggiatori enoici di vaglia qualcosa di non potabile (quelle erreur, messieurs!) – e la porta a vette gastronomiche insperate: potremmo magari chiamarlo Italian Grape Lambic ? È una forzatura, certamente, ma corpo, profondità, delicatezza, la setosità del tannino, ecco cosa l’Italia ha aggiunto alla bionda fiamminga. E le nostre botti ci regalano un lambic dal passo nobile, caldo ed armonioso. Facile, facilissimo innamorarsene, ma è un amore impossibile, come un bacio vacanziero in quest’ultima tiepida notte settembrina.

Dovremo sperare che da Cantillon decidano di mettere in linea questa prova d’artista, perché ne vale la pena. Ma potrebbe non succedere mai.

La mia serata al Birre & Mondo Crudele di Crema è proseguita con l’assaggio di altre bottiglie della celebre maison, dando ancora più senso all’esperienza del primo bicchiere. La bottiglia – non credo di sbagliarmi molto – ha una resa migliore delle spine, quando si parla di birre a fermentazione naturale; e l’altra sera lo si capiva bene.

Nath 2018
Assaggiata l’anno scorso alla spina, la versione attuale in vetro risulta meno aggressiva, diresti evoluta. Il rabarbaro non leva tensione alla birra, ma stempera la brutalità del lambic in un sorso teso e fresco. Una bottiglia scacciapensieri, ancora da gran sete estiva.

Cuvée Saint-Gilloise
Un classicone della maison. La sua base, sapientemente miscelata, è di per sé un sorso solido. Tuttavia su questo piedistallo acidulo la luppolatura marcata, per cui altri impazzirebbero, non me la fa gustare appieno. Per amanti del genere.

Lou Pepe Framboise 2015
Signori miei, giù il cappello. Quando si ha la fortuna di incappare in certe bottiglie grandiose, anzi, senza voler essere retorici, monumentali, è un giorno fortunato. Come un paio di battute in musica e quattro pennellate di una tela svelano già la cifra dell’artista, in questa riserva della Casa un goccio solo manifesta la grandezza del mastro birraio. Il lampone avvince il naso al bicchiere, intenso come mai in nessuna Framboise prima, ed il sorso brillante di carbonica, polputo e quasi vinoso, superbamente bilanciato nella sua tensione tra l’acidità del lambic e del frutto ti fa desiderare all’istante di vuotare la bottiglia in una sera. Tu e lei, con la sola luna a testimone. Ma di queste bocce non ne troverete in giro, se non al mercato nero.

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Thomas Pennazzi

Nato tra i granoturchi della Padania, gli scorre un po’ di birra nelle vene; pertanto fatica a ragionare di vino, che divide nelle due elementari categorie di potabile e non. In compenso si è dedicato fin da giovane al suo spirito (il cognac), e per qualche anno ne ha scritto in rete sotto pseudonimo.

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