Lo Jakot dei Radikon, una questione di terra

Lo Jakot dei Radikon, una questione di terra

di Jacopo Cossater

Così stretto tra la Ribolla Gialla e l’Oslavje è possibile che lo Jakot rischi a volte di rimanere un po’ in secondo piano, questa almeno la mia esperienza. Ogni volta che scendo infatti in cantina con l’intenzione di portare a tavola un bianco dei Radikon la scelta tende a cadere sui primi due. Non tanto per una questione numerica – si tratta di quello “tirato” in meno bottiglie, meno della metà degli altri, circa 2.500 – quanto per il suo essere un po’ più introverso, più ombroso e generalmente più terragno, caratteristiche che lo rendono forse di meno facile lettura, meno immediato. Eppure si tratta di vino capace di grande profondità e materia, che poco ha da invidiare agli altri in termini di espressività e di tensione gustativa.

Una bella occasione per approfondirne le peculiarità è stato il laboratorio organizzato durate la recente edizione di Ein Prosit da Porthos con la partecipazione di Saša Radikon, una degustazione che ne ha ripercorso la storia attraverso 5 vini e una lunga serie di aneddoti. Tutto ha infatti inizio con la vendemmia del 1995, quando Stanko vinificò sulle bucce una massa piuttosto significativa di vino bianco con l’intenzione di tornare ai gusti di quel vino fatto in casa che tanto amava molti anni prima. Un percorso in totale controtendenza con i bianchi che venivano prodotti in Friuli-Venezia Giulia in quel periodo e che nel tempo, anche grazie a molti altri appassionati produttori, ha fatto sì che quella piccola area poco a nord di Gorizia, tra Oslavia e San Floriano del Collio, si sia affermata come la capitale italiana di quelli che molti oggi chiamano “orange wines”.

Sandro Sangiorgi

Due terribili grandinate a luglio del 1996 azzerarono la vendemmia di quell’anno, evento che portò Stanko a tenere in legno per qualche mese in più del previsto il vino che poi avrebbe iniziato a vendere: quel 1995 figlio di una macerazione di appena (almeno alla luce di quelle successive) una settimana. Eh sì, perché tra prove più o meno lunghe oggi i vini dei Radikon vengono vinificati sulle bucce per una durata mai inferiore ai 2/3 mesi, un periodo di tempo che precede una altrettanto importante maturazione in grandi botti di legno, circa 4 anni. Lo Jakot arrivò però più tardi, nel 2001, da un vigneto prima preso in affitto e poi acquistato. Uve che nel 1999 contribuirono all’Oslavje e che successivamente, vista la loro qualità, portarono a un’etichetta dedicata (nel 2000, potenzialmente la prima annata dello Jakot, non venne tuttavia imbottigliato). E poi il nome, Tokaj al contrario, felice intuizione di Suzana Radikon poi ripresa da molti altri vignaioli della zona.

Oslavje Riserva 1999. Sole, terra e mare. Una scia agrumata e una spiazzante pulizia salina. Crepuscolare e al tempo stesso vibrante di energia, soprattutto leggiadro come solo i più grandi vini di Radikon riescono a essere. +++

Jakot 2001. Immediatamente riconoscibile. Albicocca e più in generale frutta gialla disidratata, mandorle e noci, anticipano un’acidità terragna, non così incisiva nel volume ma comunque ficcante. E poi una trama tannica di grande puntualità che richiama echi alpini, anche di sottobosco. Severo. ++

Jakot 2003. Esplosivo nel frutto e spiazzante nella perfetta fusione tra calore e acidità. Agrumi e frutta esotica continuano a rincorrersi lungo una montagna russa mutevole per architettura e per materiali. Generoso, ampio, lunghissimo. Non c’è 2003 dei Radikon che non riesca a portarmi via. Vino del cuore. +++

Jakot 2005. Anche qui emerge una scia agrumata che appare però più distante, che fatica a fare da collante in termini di generosità gustativa. L’acidità è incisiva e il volume del vino sembra per certi versi diluito. Freddo, reticente. +

Jakot 2007. Impattante e profondo ma meno “colorato” del 2003. Compatto, qui più che altrove riesco a percepire l’equilibrio che lo Jakot riesce a raggiungere tra aria e terra. Un punto fermo. ++

Jakot 2009. Articolato e di grande partecipazione. La frutta è matura ma mai strabordante, anzi, si tratta di assaggio che non nasconde un’esuberanza un po’ severa, seppur di grande impatto. Splendido per articolazione e per volume, incisivo e lunghissimo. La prospettiva dell’evoluzione. ++(+)

L’annata corrente, la 2010, si trova in enoteca a un prezzo di poco superiore ai 42 euro per la bottiglia da litro (poco più della metà per quella da mezzo litro).

Radikon Jakot

Le prossime volte che scenderò in cantina continuerò probabilmente a preferire allo Jakot Oslavje e Ribolla Gialla (a proposito: qui una verticale di alcuni anni fa) ma che stile, che presa. Un vino che più degli altri richiama nella sua tattilità quell’argilla compatta che nella zona prende il nome di ponka. Un vino che nel suo raccontare questa terra non può che evocare la pragmaticità e la concretezza dei suoi protagonisti. La palla è oggi in mano a Saša e l’impressione, com’è sempre stato con i vini prodotti a Casa Radikon, è che nel futuro sarà un certo cambiamento a essere sempre protagonista. Questo uno dei grandi insegnamenti di Stanko: una innata curiosità e la consapevolezza che ogni punto di arrivo non può che rappresentare una ripartenza.

[immagini: Fabrice Gallina per Ein Prosit]

Jacopo Cossater

Docente di marketing del vino e di giornalismo enogastronomico, è specializzato nel racconto del vino e appassionato delle sue ripercussioni sociali. Tra gli altri, ha realizzato i podcast Vino sul Divano e La Retroetichetta, collabora con l'inserto Cibo del quotidiano Domani e ha cofondato il magazine cartaceo Verticale. Qui su Intravino dal 2009.

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