L’invenzione della gioia di Sandro Sangiorgi è un autentico capolavoro della letteratura enoica

di Alessandro Morichetti
Francesco Annibali si laurea in Filosofia con Umberto Eco prima di diventare relatore di Tecnica della degustazione per l’Associazione Italiana Sommelier a soli 27 anni. Non è mai stato abbonato alla rivista Porthos, diretta da Sandro Sangiorgi, di cui recensisce per noi il libro L’invenzione della gioia uscito molto recentemente.

L’INVENZIONE DELLA GIOIA E LA SCATOLA DI AMÉLIE. LA FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO DEL VINO DI SANDRO SANGIORGI.

Conservare, consegnare e restituire. Tre termini ripetutamente utilizzati che fondano e firmano il libro della vita di Sandro Sangiorgi. Il vino non è un fatto, se credete questo studiatevi un testo universitario di viticoltura ed enologia. Ma non è nemmeno una emozione, bando dunque a qualsiasi deriva poetico/irrazionale. Il vino è molto di più. Il vino è un evento, il suo destino è di unire gli uomini. E scusate se è poco. Per questo “[…] il percorso di Sangiorgi è irriducibile tanto a una dimensione “scientifica” quanto a una squisitamente “letteraria””, come evidenzia Rocco Ronchi nella sua prefazione. Eh si: il percorso di Sangiorgi tiene insieme dimensione scientifica e letteraria tramite il laccio della vita.

Ma procediamo per gradi, visto che una opera aperta come L’Invenzione della Gioia, coi suoi mille sbocchi e suggestioni, irrorata da una passione ustionante e connotata da una empatia imbarazzante, disagiante direi a tratti, presta il fianco, disinteressandosene, allo scetticismo degli industriali e dei tecnologi e, ovviamente, al riso degli orecchianti del vino, novelli “schiavi di Tracia”. Dunque non merita “solo” una recensione, ma va pagata con la stessa moneta che regala, ovvero una biografia.

Autunno 1996, taglia 48. Varco per la prima volta in compagnia dei miei amici Roberto e Domenico la soglia dell’Osteria dell’Arancio di Grottammare (AP). Michele Alesiani, “incarnazione” del locale, ci fa accomodare nella stanza attigua alla cucina, sognante e familiare. Ordino, soprattutto inconsapevolmente, Cascina Francia 1989. Michele blocca la bottiglia tra le cosce, la stappa col botto e se ne dona, non invitato, un bicchiere generoso. Infiliamo il naso nel vino, la chiacchiera tra amici diventa silenzio assoluto. Le Ricerche di Wittgenstein alle quali dedicavo pomeriggi interi, le notti con Linda nell’appartamento di via Mascarella a Bologna, la schiacciata fuori banda di Andrea Giani che pochi mesi prima alle Olimpiadi di Atlanta aveva trasformato in argento l’oro della più grande squadra di pallavolo di sempre – lasciandomi in dote l’unica notte totalmente insonne della mia vita – tutti i pensieri, tutti i ricordi più intensi, tutti, scompaiono. Fu come il ritrovamento della scatola dietro la piastrella nel muro di casa per Amélie (la protagonista del film Il favoloso mondo di Amélie ritrova una scatola di tesori abbandonata da un bambino di cui si metterà immediatamente alla ricerca, ndr).

Che cosa era quel vino, dentro il quale luccicavano gli Angeli di Chagall (come avrebbe detto Veronelli), che aveva trasformato in oggetto tutto il mondo circostante, lui unico soggetto?

Migliaia di bevute e degustazioni dopo, pensamenti e ripensamenti, inverno 2011, la risposta mai trovata, e ancora cercata. Quel vino, Cascina Francia 1989, era emotivo. Emotivo, porca miseria, ecco cosa era. Emotivo. Termine utilizzato e spiegato dall’autore in questa Invenzione della Gioia. Sgombriamo subito il campo da un paio di equivoci. Il primo: mai stato porthosiano (Porthos è la rivista indipendente diretta da Sandro Sangiorgi, ndr), qualunque cosa significhi, mai idolatrato bio, biologico e vinoverismo, correnti alle quali ho sempre dedicato uno scetticismo pari alla curiosità. Il secondo: Sangiorgi non scrive il manifesto della sua corrente, né tantomeno chiede di stare dalla sua parte: la quale si scorge sempre chiaramente, ma senza diventare mai scelta obbligata per il lettore.

Sangiorgi fa molto, molto di più: si prende la responsabilità, umana prima che culturale, di costruire una fenomenologia dello spirito del vino, all’interno di un orizzonte, anzi di un sottotesto – che rimane aperto, e che molti lettori non coglieranno, e senza conseguenze – spiritualista. Dalla potatura invernale a Roland Barthes, potrebbe essere stato il sottotitolo, passando per la teoria della percezione, Alda Merini e i precursori aromatici. Tutto insieme, appassionatamente, in una labirinto semantico fitto e inebriante.

Che presunzione, direte Voi. E invece no. Questa è una fenomenologia, conoscenza ed esistenza sono collassate. Non c’è presunzione, né tantomeno saccenza, piuttosto troverete il tono dell’amico del cuore che ti racconta con gli occhi dentro i tuoi la storia a cui tiene di più. Per questo la lettura fila liscia, né viene in alcun modo frenata dal “bergsonismo sotterraneo” che tiene in piedi il tutto, in particolare la prima parte. Opera grandiosamente stravagante, densa di concetti quanto un Vinsanto di quelli buoni, illuminata da decine di metafore geniali, parto – presumibilmente ultradecennale – di alto artigianato, questo capolavoro della letteratura enoica che guarda dalla stessa altezza alle cose migliori di Soldati e Veronelli, Bettane, Robinson e Johnson.

Stravagante sin dall’impaginazione, con la prima sezione e, soprattutto, la seconda, che esigono il possesso fluente del linguaggio enoico e magari una buona cultura generale di base, e per questo apparentemente più adatte a posizionarsi in chiusura, e con la terza – vero e proprio manuale interno al libro – che riesce nel miracolo di parlare di viticoltura, ampelografia, enologia ed affini in maniera approfondita, chirurgica e calorosa, e soprattutto senza l’ombra di un tecnicismo. Anzi, di più: Sangiorgi non solo non fornisce una lettura “antagonista” della viticoltura e dell’enologia ufficiali (anche se le sue convinzioni in merito, anche qui, non sono celate), ma le filtra in chiave umanistica. Conseguimento rarissimo e eccezionale.

Per non parlare delle pagine dedicate ai vini speciali, con quelle sullo Champagne che svettano luminose, una vera e propria monografia che da sola giustifica l’acquisto. Certo, l’argomentare a volte non è stringente (la definizione di vino industriale, centrale nell’economia del libro, resta poco chiara), e alcune prese di posizione sono discutibili: dal trattamento forse eccessivamente lusinghiero nei riguardi di riesling, pinot nero e nebbiolo (e – per dire solo il caso più eclatante – lo chardonnay, che in Borgogna si traduce in minerali da una parte e nocciole da un’altra, dove è?), considerati traduttori privilegiati del territorio in maniera troppo esclusiva, tanto da far ipotizzare una certa disattenzione dell’autore verso alcune aree enologiche in fermento nel mondo, alle generalizzazioni sulle denominazioni di origine, trattate come se tutte avessero il senso e lo spessore del Barolo, dimenticando le non poche che hanno una ragion d’essere difficilmente comprensibile.

Peccato, poi, per la brevità delle pagine dedicate agli abbinamenti, davvero smilze, nonché alla storia del vino, ricche comunque queste ultime di considerazioni interessanti, ma peccato soprattutto per la mancanza in quasi tutti i capitoli dei riferimenti bibliografici (ma la bibliografia, coltissima, non manca in chiusura). E peccato ancora di più – non me ne voglia l’autore/editore – che una casa editrice “artigianale” come Porthos forse non riuscirà a garantire al libro la visibilità e la capillarità distributiva che certamente merita. Ma la vita è strana, e fa molti giri, come dice spesso Isabel Allende. Chissà che non conosca fortuna “al botteghino”, o magari la traduzione nelle principali lingue, soprattutto la francese, che sembra quella con il mercato potenzialmente più vicino all’orizzonte di Sangiorgi (dubbi invece su quello anglosassone, più avvezzo a libri di sapore empirista). Un testo che tutti gli addetti ai lavori, dai mercanti più navigati – ci sono considerazioni imprescindibili anche su aspetti strettamente commerciali, tanto per dire – agli appassionati con solo un paio di Tignanello nel fegato, agli enologi consulenti più affermati dovrebbero studiare attentamente. E che apre la strada, come tutte le pietre miliari, a un dibattito con ogni probabilità decennale.

La nuova linea programmatica del Duemila è, dopo il salvataggio dell’enogastronomico e del mangiare “lento”, come atto sociale, dalla mcdonaldizzazione americana e dall’industrializzazione del cibo operata dalle multinazionali a partire da metà Novecento, la restituzione del vino all’Umanesimo? La recente deriva edonistica del consumo del vino è effetto del “riduzionismo enologico”, cioè di quella corrente che vorrebbe spiegare tutto il vino con l’enologia? La differenza vera che infervora il dibattito attuale è tra visione umanistica dell’enologico e non (il vino come evento vs il vino come fatto)?

Per restituire la fisionomia più autentica del liquido odoroso, la produzione – dalla viticoltura all’enologia – va sottratta alla dittatura della tecnica, per inaugurare con quest’ultima un dialogo, come già fanno i produttori a Sangiorgi più cari (da Joly a Valentini)? Per ottenere ciò le denominazioni di origine devono, per esempio, indicare anche il limite massimo di gradazione e estratto? Il linguaggio del vino deve oltrepassare, senza dimenticarlo, quello enologico? Di più: il vino vuole, esige, richiede, un nuovo, più ampio sistema di segni e linguaggi come ampiamente illustrato nelle notevolissime, ancorché irsute pagine della seconda sezione dedicata ad un nuovo vocabolario?

E’ questo il contributo più profondo di Sangiorgi? “Quando si scrive senza pensare di rivelare un segreto, cioè sinceramente, ci si accorge di rivelare un segreto che non si pensava di avere”: l’autore ci restituisce in apertura questo meraviglioso verso del Petrolio di Pasolini. Grazie, allora, Sangiorgi, per averci consegnato il segreto che non sapevi di avere.

E cosa aspettate Voi tutti, che mi state leggendo, a tuffarvi ne L’Invenzione della Gioia? Il significato della vostra scatola di Amélie, forse, è lì dentro.

Francesco Annibali

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Sangiorgi, Sandro
L‘invenzione della gioia
Educarsi al vino – sogno, civiltà, linguaggio
Roma, Porthos Edizioni
2011
€ 35

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Alessandro Morichetti

Tra i fondatori di Intravino, enotecario su Doyouwine.com e ghost writer @ Les Caves de Pyrene. Nato sul mare a Civitanova Marche, vive ad Alba nelle Langhe: dai moscioli agli agnolotti, dal Verdicchio al Barbaresco passando per mortadella, Parmigiano e Lambruschi.

22 Commenti

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Wayne

circa 13 anni fa - Link

Sembra un libro molto interessante. Però ho un pò paura che Sangiorgi intelletualizza troppo il vino. La piacevolezza dovrebbe essere l'aspetto più importante del vino.

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Armando Castagno

circa 13 anni fa - Link

Wayne, ho trovato in te il mio reciproco diametrale. Il libro è bellissimo, su questo siamo d'accordo. Ma per me nessuna piacevolezza, nè a tavola né a letto né altrove, arriva ai sensi senza passare dall'intelletto. L'intelletto è la sua stazione obbligata di transito, altrimenti la sensazione arriva magra, inutile, belluina.

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Wayne

circa 13 anni fa - Link

Armando, sono assolutamente d'accordo che l'intelletto interpreta ciò che muove i sensi, però trovo importante che questo succede con il giusto equilibrio. Una sensazione troppo pensata rischia di diventare troppo priva di emozione. Per me piacevolezza è una simbiosi equilibrata tra emozione e intelletto. Uno dei grandi del mondo enologico italiano, Luca Maroni, descrive molto bene ciò che si fa degustando un vino: pensare il sentito.

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Armando Castagno

circa 13 anni fa - Link

Pensare il sentito. Bello. Mi aiuti a capire meglio questo aforisma di L. Maroni, come scriverebbe la Settimana Enigmistica? Oppure puoi indicarmi dove posso leggerlo - diciamo così - nel contesto di un ragionamento che immagino più ampio.

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Nico aka tenente Drogo

circa 13 anni fa - Link

io mi immagino Gigi Marzullo che chiede a Luca Maroni: "Ma lei pensa il sentito o sente il pensato?"

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Alessandro Ceretto

circa 13 anni fa - Link

Volevo fare anch'io i complimenti a Sandro. Che bel modo di scrivere. Ho letto il libro in appena 10 giorni, un'opera d'arte! L'ho trovato assolutamente affascinante, in parecchie cose molto vicino alla visione che ho del vino. Spero raggiunga una giusta e meritata visibilità, anche in altre lingue.

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Nic Marsèl

circa 13 anni fa - Link

Sono abbonato a Porthos ma anche cinefilo a sufficenza da poter definire "Amelie" un gran pacco. Per cui speriamo bene...

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Nic Marsèl

circa 13 anni fa - Link

sufficienza ...

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Nelle Nuvole

circa 13 anni fa - Link

oddio, oddio, oddio....dopo questa recensione e i commenti a un post precedente del 9 febbraio mi tremano i polsi all'idea di leggerlo. Mi rincuora che Alessandro Ceretto l'abbia letto in 10 giorni, forse anche io ce la posso fare in 100. E pensare che la passione ustionante e l'empatia imbarazzante, a tratti disagiante, di Sandro Sangiorgi mi avevano già colpita tanti anni fa durante un suo seminario al Salone del Gusto di Torino, quando sgridò pubblicamente la sottoscritta ed una produttrice altoatesina perché in disaccordo sugli aromi di uno Chardonnay presentato. Aveva ragione lui ovviamente. Una persona entusiasta e preparata, capace di comunicare con la forza di un carroarmato. Mai però avrei pensato che arrivasse a scrivere una pietra miliare che aprirà un dibattito decennale. Per fare ammenda della mia ignoranza e superficialità leggerò le 500 (?) pagine in ginocchio sulle cocce delle noci.

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Francesco Fabbretti

circa 13 anni fa - Link

Letto, anzi, meglio dire "divorato". Purtroppo non mi riconosco aprioristicamente in alcuni degi postulati del nostro: la decisa (sia pur garbata) presa di distanze dalla tecnica e dalla produzione industriale. Il fatto di non postulare una definizione più precisa di quest'ultima, a tratti, richiama alla mia memoria l'immagine di chi ha necessità, a tutti i costi, di individuare un Grande Vecchio, un Potere Occulto, un Sistema non meglio psecificato, una Sovrastruttura teorica, per definire la propria identità in posizione antitetica. Ad ogni modo è un libro che merita di essere letto per la densità di pensiero che l'autore vi ha fatto confluire.

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Davide Bonucci

circa 13 anni fa - Link

A me la deriva irrazionale piace. Temo che la deriva sia quella razionale, di cui siamo strapieni (e qui parlo per me, soprattutto). Il libro cercherò di leggerlo, ma con i tempi lenti che mi contraddistinguono ;)

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Alessandro Bandini

circa 13 anni fa - Link

I miei complimenti a Francesco Annibali, soprattutto per essersi laureato con Umberto Eco. Io ne ho subito gli scritti semiotici all'Università e nonostante il vocabolario sotto mano, non sono mai riuscito ad afferrare il senso della stragrande maggior parte delle frasi. Carenza mia, naturalmente.

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enzopiet

circa 13 anni fa - Link

Mi avete convinto, lo compro.

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Massimo Cattaneo

circa 13 anni fa - Link

Ritengo che non sia un libro da leggere tutto di un fiato ma da tenere sul comodino e gustarselo all'occorrenza, un libro bellissimo.

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Antonella Avantaggiato

circa 13 anni fa - Link

questo libro rimarrà nella storia del vino... se amate il vino non potete perderlo!!!

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Nico aka tenente Drogo

circa 13 anni fa - Link

lo sto leggendo capolavoro? mah

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Francesco

circa 13 anni fa - Link

Anche a me sta facendo lo stesso effetto, mi lascia una grande grosso mah!

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Francesco

circa 13 anni fa - Link

sono a metà, ma il titolao va cambiato in l'invenzione della noia, ma dai il suono del vino! io sono tenace, vado avanti, speriamo migliori ma il tedio monta, è di un verboso che neanche vendola

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Giulia Angela Fontana

circa 13 anni fa - Link

Chissà se un giorno Francesco, bellissimo nome, incontrarai anche tu la tua "fata ignorante". Le Fate Ignoranti sono capaci di compiere il miracolo, di travolgerci, di cambiarci la vita, permettendoci così di crescere. ciao, Giulia

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francesco vettori

circa 9 anni fa - Link

Complimenti a Francesco per la Laurea, l'Ais e il resto. Servono spunti di approfondimento del genere per poter, ancora, parlare di vino che, in tutta onestà, a me sta iniziando a stancare un pò. Volevo solo far notare alcune cose, poi magari ci si incontrasse non solo virtualmente e tutto diventa più semplice. "Il vino è un evento, il suo destino è di unire gli uomini." Bah, lasciando stare la seconda parte dell'affermazione, chiunque frequenta il mondo del vino sa che questo unisce almeno tanto quanto alimenta divisioni, AIS docet, il fatto che il vino sia un evento per Kant, ad esempio, ottimo bevitore di Bordeaux, stava a significare la sua impossibilità conoscitiva. Perché cambia, muta, non presenta caratteri tali che giustifichino una conoscenza duratura. Figuariamoci quanto possono valere in questo senso le 100 guide pubblicate ogni anno. "“[…] Eh si: il percorso di Sangiorgi tiene insieme dimensione scientifica e letteraria tramite il laccio della vita.”. Bah, un pochettino impegnativa e vaga come affermazione, io oltre alla vita mi interesserei alla "verità" se la dobbiamo mettere sul piano delle scelte di valore. Anche perche "in vino veritas". Completamente d'accordo che la mossa vincente sia spiritualizzare il discorso. Però attenzione che non si ritorni, per altro verso, all'"aura", alla religione da iniziati, al misticismo. Non ci sarebbe, se consapevoli, nulla di male, anzi la trovo una strada davvero da intraprendere. Però almeno personalmente la bottiglia di Cascina Francia 1989 mi occorre sempre meno. E non perché non ne riconosca il valore straordinario, prima d'altro, per l'immaginazione. Ma per quel che ti lascia DOPO, quando il vino non c'è più, quando il vino è passato, con le sue sensazioni, e lo spirito come si ritrova con la verità che è nel vino?

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