Leggere dopo 12 anni “I piaceri della cantina” di Jay McInerney per vedere l’effetto che fa

Leggere dopo 12 anni “I piaceri della cantina” di Jay McInerney per vedere l’effetto che fa

di Tommaso Ciuffoletti

Può una cosa totalmente priva di senso, rivelarsi perfettamente sensata? Sì.
Ieri ho finito di leggere un libro che avevo comprato per sbaglio due giorni prima. Lo sbaglio è stato nel comprare “I piaceri della cantina” di Jay McInerney. Non perché sia un cattivo libro, ma perché è stato da poco pubblicato nei Tascabili della Bompiani e quindi figurava tra le novità. Io, come un pollo (o come un classico compratore col vizio dei libri) l’ho aperto, ho letto l’introduzione, m’è piaciuta, l’ho comprato.

Chi conosce libro e autore avrà già inteso il perché del mio essere un pollo. Per tutti gli altri va detto che l’introduzione è effettivamente la parte migliore del libro. Quel che segue è McInerney che racconta storie di vino col piglio del “gran figo giornalista scrittore ammericano che tutto sommato s’annoia bevendo distratto un Unico di Vega Sicilia nel privè di un club del sigaro artigianale ad Hanoi, giocando a dama cinese con Edmond De Rothschild”. Una cosa simpatica, insomma. Però scritta bene, va detto. Che uno che a 29 anni scrive “Le mille luci di New York”, può pure essere spocchioso, ma scrivere, va detto, sa scrivere.

Ma non è questo che mi ha fatto sentire un pollo, quanto vedere che il nostro, a chiusura di ogni capitolo – dove lui magari ti racconta che ha bevuto Salon 1988 con Didier Depond, mangiando la carne di un toro appena ucciso nell’arena (giuro, questa è vera, quella di Hanoi no, ma questa sì) – si prende la cura di consigliarti qualche acquisto più alla portata delle tasche del comune mortale che forse sei, anche se leggi le storie di un figo come lui. E quei consigli, a parte l’essere esplicitamente rivolti a consumatori americani con tanto d’indicazione degli importatori delle varie etichette, erano tutti relativi a vini di annate che non superavano il 2003 (il sospetto che ci fosse qualcosa di strano, s’è timidamente affacciato).

Il tutto all’interno di un racconto in cui Robert Parker viene menzionato con un entusiasmo che mi suonava eccessivo per un libro dei nostri giorni, in cui Rolland viene continuamente definito un simpaticissimo geniaccio e si incensano più o meno tutti i più noti, i più grossi, i più famosi, i più scontati. Cose che mi suonavano tanto anacronistiche rispetto all’oggi, toni e commenti che ora non m’aspetterei di leggere nemmeno da James Suckling.

A quel punto, e solo a quel punto da bravo pollo, sono andato a guardare la data di pubblicazione dell’originale americano: 2006. Poi nel 2012, Bompiani l’aveva pubblicato in italiano per la prima volta. E a luglio 2018 lo ha ripubblicato nella collana dei Tascabili Bompiani.

Novità un cazzo. È stata la prima cosa che ho pensato. Poi ho ripensato a cosa mi aveva portato a fare quel controllo. Era stato il trovare fuori tempo i toni rivolti a due personaggi pure ancora tanto importanti nel mondo vino, il considerare poco affine allo spirito dei tempi il citare solo i più grandi e più ovvi. E tutto quell’ottimismo yankee, tutto quel – come a loro piace tanto chiamarlo – hedonism! Se questi indizi mi son suonati come la prova che qualcosa non tornava (e qualcosa effettivamente non tornava) vuol dire che dal 2006 a oggi, forse le cose (alcune almeno) son cambiate.

E ho capito come quella lettura senza senso, fosse completamente sensata. Tanto da rammentarmi non una, che già sarebbe molto, ma ben due cose. La prima è che non sempre è facile avere la reale cognizione di quanto le cose cambino. Ne abbiamo forse una percezione istintiva, ma capita di rado di fermarsi a fare il punto con la necessaria profondità. Che poi, a ben pensarci, il film Mondovino venne presentato a Cannes nel proprio nel 2005, più o meno quando il libro di McInerney veniva consegnato all’editore.

L’altra è che di solito i libri di vino mi spaccano i glioni ben prima della metà, questo invece l’ho finito. Il che significa che anche se sei uno spocchioso americano dell’epoca parkeriana, ma sai scrivere, uno ti legge. Sembrerà scoperta banale, quella che per scrivere – di vino, caciotte, filosofia o storia della matematica – bisognerebbe saper scrivere.

Ma se siete lettori di libri di vini, capirete che non lo è affatto.

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Tommaso Ciuffoletti

Ha fatto la sua prima vendemmia a 8 anni nella vigna di famiglia, ha scritto di mercato agricolo per un quotidiano economico nazionale, fatto l'editorialista per la spalla toscana del Corriere della Sera, curato per anni la comunicazione di un importante gruppo vinicolo, superato il terzo livello del Wset e scritto qualcos'altro qua e là. Oggi è content manager di una società che pianta alberi in giro per il mondo, scrive per alcune riviste, insegna alla Syracuse University e produce vino in una zona bellissima e sperduta della Toscana.

4 Commenti

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Nelle Nuvole

circa 5 anni fa - Link

"Novità un cazzo", "forse le cose (alcune almeno) sono cambiate", "bisognerebbe saper scrivere", questi i tre spezzoni per me più importanti di un post molto divertente. Bravo Sor Ciuffoletti, tu l'hai fatto, hai scritto bene e mi sa che non sei nemmeno tanto spocchioso.

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Tommaso Ciuffoletti

circa 5 anni fa - Link

Quando ero giovane ero spocchioso! Invecchiando miglioro! ;) Grazie Nelle Nuvole!

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Salvo

circa 5 anni fa - Link

Sarebbe interessante capire chi lo ha tradotto, perché parte del merito è anche sua.

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Tommaso Ciuffoletti

circa 5 anni fa - Link

Giustissima precisazione Salvo! Ma proprio sacrosanta! Che ultimamente mi è toccato fare pure il traduttore ed è davvero un lavoro creativo, difficile e ingrato! Appena tornk alla civiltà controllo e posto!

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