Le criticità della birra artigianale italiana viste dall’estero. Evan Rail su Vinepair

Le criticità della birra artigianale italiana viste dall’estero. Evan Rail su Vinepair

di Jacopo Cossater

Evan Rail è un giornalista americano che vive a Praga. Appassionato di birra, oltre a scrivere di viaggi e di enogastronomia per il New York Times e per altre testate, pubblica libri e partecipa come giurato ad alcuni concorsi a tema. È in questa veste che il giorno di Ferragosto ha pubblicato su VinePair un pezzo dedicato alle criticità del movimento artigianale italiano, un post che sottolinea quanto la scena sia “awesome” ma al tempo presenti alcuni “legitimate downsides”. Eccoli.

ALTI E BASSI

Italian brewers have masterfully added their own personal stamps on what they brew, often using local ingredients to add regional flavors. Sometimes it works, as with the small explosion of Italian beers made with chestnuts or chestnut honey (sometimes it doesn’t, nda).

Ah, la creatività italiana: quando funziona tutti a tesserne le lodi, quando porta a (certe volte inevitabili) storture è fin troppo facile prenderne le distanze. Peccato il post di Evan si fermi alle birre alle castagne, stile che da qui appare più vetusto che mai, e non citi alcune delle più interessanti novità nostrane come per esempio il movimento legato alle Italian Grape Ale, tra gli altri.

A QUALSIASI COSTO?

(..) a pint-size portion of beer in a bar in Milan costs usually around €5.50 (approximately $6.25), no matter if it’s a decent craft beer or a bland lager from a mega-brewer. That’s maybe not bad if you’re coming from a big city like New York, but it’s certainly not cheap in global terms.

Che il prezzo di un bicchiere sia spesso sproporzionato sia alla sua qualità che a quella del locale in cui viene servito è un dato di fatto, lo stesso che ha visto da subito la birra artigianale tricolore posizionarsi in una fascia di prezzo piuttosto elevata. Un aspetto che però a) non vale solo per l’Italia e che b) deve fare i conti con i prezzi spesso folli della birra industriale servita alla spina, da cui è lecito prendere le maggiori distanze possibili.

MOLTA SCENA, POCA SOSTANZA

(..) sometimes it seems like craft brewers here emphasize logos and packaging over flavorful brewing.

Da una parte una grande cura per il packaging e per la comunicazione, dall’altra il rischio di trovarsi di fronte a birre non poi così centrate. Un aspetto che fa per certi versi il paio con il primo punto e che riguarda la qualità media della produzione artigianale italiana, capace di eccellere e al tempo stesso di offrire birre quantomeno discutibili. Un fenomeno probabilmente legato alla straordinaria crescita degli ultimi anni: lungo la Penisola il numero dei birrifici è aumentato tra il 2005 e il 2015 del 500%, passando da poco più di 100 a oltre 600 realtà produttive.

UN MONDO PICCOLO COSÌ

But in truth, Italians still suck down less suds (around 31 liters per person) than they do wine (around 34 liters per person). Those figures include all the beer drunk in Italy, from artful craft releases to flavorless mega-brews.

L’Italia non è neanche tra i primi 20 paesi consumatori mondiali, aspetto che forse è possibile legare al livello medio delle birre e della massa critica che queste riescono a raggiungere.

MODE, QUESTE SCONOSCIUTE

Feel like sucking down a breakfast-cereal Imperial Stout? Italy might not be your place. Interested in old-school styles like Dunkles, Best Bitter, or California Common? You’ll do fine here.

Tutto in Italia si muove più lentamente, senza seguire la (schizofrenica?) rapidità con cui specie negli USA si muovono i birrifici più dinamici, come se le cose qui richiedessero più tempo per trovare il proprio spazio e la propria dimensione.

All that glisters is not gold, insomma. Personalmente trovo sempre molto stimolanti le critiche di chi vive al di fuori del paese produttore di cui scrive, tanto nel vino quanto nella birra. Mi sembra la distanza riesca a dare all’autore uno sguardo tanto lucido quanto disincantato: si può infatti essere più o meno d’accordo con alcuni dei punti citati nel post uscito su Vinepair ma è indubbio che tocchino alcuni dei punti più critici della scena italiana tra qualità, tendenze, prezzi. Con la consapevolezza e se volete anche l’orgoglio si tratti da ormai molti anni di una delle più rilevanti non solo d’Europa.

Jacopo Cossater

Docente di marketing del vino e di giornalismo enogastronomico, è specializzato nel racconto del vino e appassionato delle sue ripercussioni sociali. Tra gli altri, ha realizzato i podcast Vino sul Divano e La Retroetichetta, collabora con l'inserto Cibo del quotidiano Domani e ha cofondato il magazine cartaceo Verticale. Qui su Intravino dal 2009.

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