La scena birraia di Pechino è una discreta figata

La scena birraia di Pechino è una discreta figata

di Jacopo Cossater

Del perché il sottoscritto fino a pochissimi giorni fa fosse in Cina avevo scritto qui. Quest’anno il Concours Mondial de Bruxelles si è tenuto a Pechino e più precisamente nel distretto di Haidian, il secondo per numero di abitanti e quello che viene preso come riferimento per università e industria high-tech. Una sorta di Silicon Valley cinese che può inoltre vantare al proprio interno patrimoni dell’umanità come il Palazzo d’Estate, lo splendido parco imperiale voluto dalla Dinastia Qing.

Finito il Concorso mi sono fermato in città per qualche giorno, chissà infatti quando avrei avuto la possibilità di tornare (spoiler: Pechino mi ha incantato, la prossima occasione non arriverà mai abbastanza presto). Tra le tante cose che mi ero riproposto di fare quella di assaggiare un certo numero di birre artigianali, più di una volta cercando informazioni di carattere turistico mi ero imbattuto su segnalazioni relative alla scena cittadina. Detto, fatto: in chiusura dei miei lunghissimi tour in metropolitana o in bicicletta ho sempre cercato di fare tappa in questa o in quella taproom, luoghi privilegiati nei quali provare a farsi un’idea del livello medio delle birre prodotte nella Capitale. Ecco quindi un brevissimo quanto incompleto report nato grazie a 3 serate passate in 3 diversi locali, momenti durante i quali -dove possibile- ho ordinato un set di degustazione, la classica tavoletta su cui vengono appoggiati 3 o 4 taster, piccoli bicchieri ideali per assaggiare molte cose senza eccedere in quantità. Sono andato completamente a random seppur facendomi consigliare e mi sono segnato sul taccuino solo quelle che ho preferito.

Great Leap Brewing

Great Leap Brewing

Il primo dei 3 locali aperti da Great Leap in città è un gioiello, il #6 (in Cina il numero 6 è uno di quelli che portano fortuna, in questo caso è però molto più banalmente il numero civico). Lo si trova camminando per centinaia di metri nella penombra e nel silenzio che caratterizza gli hutong, i vicoli della città vecchia nel distretto di Dongcheng, a nord della Città Proibita. All’improvviso il rumore che arriva dal cortile interno e l’insegna minimale in due lingue fuori dalla piccola porta di legno non lasciano spazio a dubbi, impossibile si possa trattare di altro (anche visto il gran numero di occidentali presenti). Si tratta di uno degli storici birrifici artigianali di Pechino, aperto dall’americano Carl Setzer e da sua moglie Liu Fang nel 2008.

La Iron Buddah è una Blonde Ale prodotta con l’infusione di tè semiossidato prodotto nella provincia del Fujian. Appagante. La Honey Ma è forse la loro birra più conosciuta e da quello che mi è sembrato di capire anche la più premiata. Una Golden Ale impreziosita con miele di produzione locale e bacche di pepe di Sichuan di gran beva, giocata su una certa florealità più che sul frutto e da una luppolatura di grande equilibrio. Per me un convinto sì. La Hidden General è una Session IPA di gran leggerezza e al tempo stesso personalità, prodotta anche in questo caso con l’infusione di tè Oolong prodotto a Taiwan. Non un mostro di complessità ma davvero piacevolissima, centrata nei profumi (mango, pompelmo, malvasia, tè) e nell’amaro. La Illegitimate General è un’APA abbastanza didascalica, agrumata e vegetale, buona ma che fatica a lasciare il segno in termini di personalità.

Jing-A Brewpub

Jing-A Brewing

Lo stabilimento produttivo si trova nella zona residenziale di Sanlitun, quartiere compreso nel gigantesco distretto di Chaoyang (oltre 3,5 milioni di abitanti), ed è particolarmente suggestivo: ci si ritrova a bere letteralmente all’interno del birrificio, durante l’orario di apertura del locale le stanze adibite alla produzione vengono chiuse con delle serrande scorrevoli e si alternano a quelle pensate per la somministrazione (per dire: quando sono entrato avevano da poco lavato alcune vasche e per terra l’acqua ha continuato a scorrere per un po’). Questo, ancor più del precedente, è un progetto di stampo tutto nordamericano: gli statunitensi Alex Acker e Kris Li lo hanno aperto nel 2012 dopo essersi trasferiti a Pechino.

Il livello è alto. La Tuhao è una Pilsner dal tocco piacevolmente luppolato, mi ha ricordato l’italianissima Tipopils anche se in chiave un filo più leggera. In tutti i casi grande inizio di serata. La Imperial Koji una Saison di gran fattura, appena limonosa e pepata ma sopratutto caratterizzata dagli aromi più classici: fieno, paglia, campagna assolata. È quella che ho preferito. La Full Moon è una Farmhouse Ale di stampo mielato e da rimandi speziati in particolare di zenzero e di pepe (non a caso: viene usato in infusione). La Worker’s è un’APA rinfrescante ed equilibrata, poco incisiva in termini di peso specifico ma definita in ogni sua parte, anche nell’amaro (non eccessivo).

Slow Boat Brewery

Slow Boat Brewery

La taproom di Slow Boat è appena un chilometro più in là, nel cuore commerciale di Sanlitun, proprio di fronte allo spettacolare grattacielo che ospita l’hotel Intercontinental. Uno spazio aperto nel 2016 impressionante per grandezza che si sviluppa su 3 piani, tutti anche dedicati alla produzione. Il progetto è degli americani Daniel Hebert e Chandler Jurinka e nasce nel 2011 dal nome della canzone Slow Boat to China di Peggy Lee e Bing Crosby.

La Zombie Pirate è una Pale Ale dagli aromi agrumati e piacevolmente maltati, cedro e caramello, con un bel tocco di amaro in chiusura. La Flying Boat una Sour spiccatamente luppolata, fruttata e fortunatamente ben bilanciata nell’acidità anche lattica. La Monkey’s Fist un’Imperial IPA potente e gustosa, al cui interno l’abbondanza di luppolo Citra fa il suo lavoro: mango come piovesse affiancato da note di resina di pino e di agrumi. L’alcol si sente appena grazie a una struttura rifinita nell’architettura, morbida e piacevolissima nell’amaro. Un grande sì.

Birre quindi mediamente tutte molto buone, magari senza particolari picchi di eccellenza ma che hanno ampiamente, e sottolineo ampiamente, superato le aspettative. Un tour molto breve i cui stimoli più interessanti mi sono sembrati provenire da quelle birre che prevedono nella loro ricetta un certo legame con il territorio. Non una questione fideistica, anzi, l’impressione è però fossero quelle che avevano qualcosa di più divertente da dire soprattutto in termini organolettici. Si tratta però di una considerazione poco più che laterale, quelli citati sono tutti locali davvero significativi che servono birre seppur di chiara ispirazione americana molto, molto contemporanee e altrettanto godibili. Torno presto, o almeno spero.

Jacopo Cossater

Docente di marketing del vino e di giornalismo enogastronomico, è specializzato nel racconto del vino e appassionato delle sue ripercussioni sociali. Tra gli altri, ha realizzato i podcast Vino sul Divano e La Retroetichetta, collabora con l'inserto Cibo del quotidiano Domani e ha cofondato il magazine cartaceo Verticale. Qui su Intravino dal 2009.

5 Commenti

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Orst

circa 6 anni fa - Link

molto interessante! Quindi nulla da segnalare sui birrifici di soli cinesi (se esistono)?

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Jacopo Cossater

circa 6 anni fa - Link

Grazie! Informandomi prima di partire avevo trovato davvero poco in tal senso. Anche un altro birrificio abbastanza famoso e non citato nel pezzo, Arrow Factory, nasce da un'iniziativa credo di un ragazzo inglese, figurati.

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Paolo A.

circa 6 anni fa - Link

Scena birraia? Forse meglio brassicola.

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Leone

circa 6 anni fa - Link

Interessante! Mi sembra di capire che sono locali aperti da occidentali e frequantati da occidentali, o sbaglio? Se ripasso da Pechino li cerco Grazie!

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Jacopo Cossater

circa 6 anni fa - Link

Informandomi da qui e solo attraverso siti "occidentali" come Ratebeer o Time Out Beijing ho trovato questi (di certo i più famosi), sarebbe bello però scoprire anche una scena cinese di cinesi

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