La fantascienza dopo Blade Runner: Malvasia di Bosa Riserva 2011, G. B. Columbu

La fantascienza dopo Blade Runner: Malvasia di Bosa Riserva 2011, G. B. Columbu

di Redazione

Gianluca Rossetti dovrebbe essere un tizio che vive in Sardegna e si occupa saltuariamente di qualche attività. Appena ne sapremo di più lo arruoleremo a vita facendogli firmare un contratto capestro. Intanto qui sotto c’è il suo secondo tentativo.

Essere compulsivi è un pregio o un difetto? Da ragazzino collezionavo francobolli. Ricordo gli appostamenti nella macchia, le notti insonni, il freddo dentro le ossa, in attesa del postino che recapitasse qualcosa, qualunque cosa, a uno tra gli abitanti del mio quartiere. Non mi interessava la corrispondenza, né le abitudini o le frequentazioni epistolari più o meno commendevoli dei miei dirimpettai. Il francobollo, solo quello mi interessava.

La capacità di separare la farina dalla crusca è merce rara: non si improvvisa. Ore di studio e tentativi su cartoline precetto e assicurate varie per capire a che temperatura portare l’acqua in modo da provocare il distacco del francobollo senza traumi. Ovviamente tutto questo ravanare su carta e annulli filatelici non mi ha mai portato fuori dall’alveo della legalità, sia chiaro. Roba d’altri tempi. Se adesso qualcuno mi chiedesse di un Gronchi Rosa risponderei che val bene un paio di bocce.

Torno a bomba. Ha senso concentrare energie, risorse, tempo sul vino, spesso sul vino, quasi solo sul vino? La risposta, come nelle migliori famiglie, non incappa in dubbio alcuno: dipende. Chi ne fa una scelta professionale ovviamente ci si dedica anima e core ma chi, come me, campa d’altro, forse è meno giustificato. Non voglio trovare una giustificazione a tutti i costi. Ma visto che che ogni storia è diversa, racconterò la mia.

Non ci trovo solo una soluzione idroalcolica nel vino, e già questo è banale quanto vero. Né unicamente un manifesto culturale di usi e costumi di un popolo. Il taglio antropologico ha smesso di interessarmi dopo un paio di minuti. Manco mi basta la logica iperrealista dell’equazione “contesto pedoclimatico/vitigno+vigneron” per spiegare qualsiasi cosa. La faccenda vino per me è più complessa, è un groviglio senza senso permanente effettivo di stimoli e reazioni. Prometto che poi farò ritorno nella mia stanza imbottita ma dovevo fare coming out: ho deciso, almeno per ora, di votarmi alla causa “epistenologica” del vino inteso come incontro e non come giudizio di qualcosa che è altro da noi. Il resto segue, inevitabilmente. Con esiti alterni legati all’umore del momento, al consesso, alle attitudini del vino stesso.

Intendo dire che da qualche tempo a questa parte il vino è per me un catalizzatore, un pretesto: per scoprire altro di sé ma anche altro da sé. Un detonatore che solo apparentemente distrae e fa perdere il controllo. Pozione ed elisir, in realtà. Da dosare con cautela ma da provare per dare colore alle cose. Del resto un poeta, amato e odiatissimo, scrisse e fece dire alla voce narrante di un suo film che “Il colore è l’estensione del mondo”. “Bevi Rosmunda nel teschio di tuo padre”, latrerebbero invece i barbari, godendo dei miei sproloqui. Io, per levarmi dagli impicci, volendo fare servizio pubblico, suggerisco un vino. Che, spero, sappia dire qualcosa anche a voi nel senso che ho tentato di spiegare.

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Malvasia di Bosa Riserva 2011 – Giovanni Battista Columbu. Non c’è modo di uscirne indenni. Come la fantascienza che è diversa dopo 2001: Odissea nello spazio e Blade Runner (per me pure dopo Spazio 1999), anche il concetto stesso di vino muta a valle di questo. Un percorso a ostacoli che fa incespicare i sensi; si rialzano doloranti, riprendono a correre. Ma non sono più gli stessi. Il contrappunto, decantato in tutte le sue possibilità, fino alla massima estensione possibile. La forza incardinata su un plié. Non si può descrivere. Dovete berne, e tanto, per intendere quella scala folle di sessantaquattresimi in fuga dai toni baritonali, capace in risalita di sfiorare le vesti al Padreterno.

A chi volesse intendere o ridefinire il senso delle parole “dinamica”, o “tridimensionale” suggerirei questo vino. Terroir? Idem. Intensità? Come sopra. Ampiezza? Lo stesso. Carattere? Non ci sono santi. Uno dei vini italiani più complessi, stratificati e longevi, non sempre nelle corde dal mercato a causa delle difficoltà che pone: al degustatore quanto allo chef. Uno dei quattro, cinque vini al mondo fatti in questo modo: allevato dall’aria e dalla flor per sfidare il tempo. E anche, aggiungo, ogni millimetro quadro di nostri recettori.

Gianluca Rossetti

[Credits foto: Bentos]

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