La donna del sakè: Intravino intervista Miho Imada

La donna del sakè: Intravino intervista Miho Imada

di Elena Di Luigi

In Giappone ancora oggi su 1.200 tôji (mastro fermentatore), solo 20 o 30 sono donne. Quando 25 anni fa Miho Imada decise di rilevare l’azienda di famiglia, la Imada Shuzô, ce n’erano solo 5, tra cui lei. Allora come oggi, Miho è un modello sia per le giovani che aspirano a diventare tôji che per gli amanti di uno stile di sakè fedele alla tradizione centenaria ma con la testa nel ventunesimo secolo.

Vorrei iniziare congratulandomi con te per essere stata eletta dalla BBC tra le 100 donne più influenti e entusiasmanti del 2020
Grazie mille.

Qual è stata la tua reazione quando hai ricevuto la notizia?
Naturalmente sono rimasta molto sorpresa, ma anche grata che si fossero interessati a qualcuno che fa il sakè.

Fare il sakè era ed è tuttora un’attività di famiglia. Quando hai pensato di diventare un tôji (mastro) e quali ostacoli hai dovuto superare?
Durante il mio periodo di lavoro a Tokyo, l’industria del sakè era in declino e la produzione di futsu-shu (il piú popolare e venduto, sorta di vino da tavola n.d.r.), di qualità inferiore, era la norma. Vedendo il graduale declino delle vendite di questo tipo di sakè, mio padre iniziò a parlare della possibilità di chiudere l’attività. Fu allora che decisi che era ora di tornare a casa per capire se potevo cambiare le cose. Mi ha spinto anche l’opportunità di creare qualcosa di delizioso, di più pregiato e quindi di cambiare lo stile di sakè che producevamo. Questa è stata la motivazione che mi ha portato a diventare un toji.

Il più grande ostacolo che ho dovuto affrontare è stato quello di imparare a fare il sakè. La produzione è particolarmente impegnativa e richiede una gamma di molte e differenti abilità, come la produzione di koji (lievito ricavato da chicchi fermentati, moldy rice n.d.r.) e l’apprendimento di schemi di fermentazione complessi. Il sakè è prodotto con un metodo unico chiamato fermentazione parallela multipla. Dato che non avevo un background sulla fermentazione di questo tipo, ho dovuto imparare tutto da zero.

Hai anche lavorato nel mondo dell’arte. Il sakè è una forma d’arte o un mestiere?
Non direi che è arte, ma è sicuramente una parte importante della cultura giapponese. La produzione di sakè è un mestiere e la qualità dipende molto dall’abilità e dalla tecnica delle persone che lo producono.

Nel documentario del 2019 Kampai! sakè Sisters, si dice che in qualche modo le donne debbano ancora scoprire il sakè e che, comunque, più si sentiranno libere di esprimere la loro opinione e più il sakè diventerà interessante. Sei d’accordo?
Sì. Più lo conosci e più ti divertirai.

La qualità del sakè dipende dalla qualità del riso e dell’acqua utilizzata. Puoi farci un esempio?
Prima di tutto, il buon sakè deriva da una buona tecnica. L’importanza del riso e dell’acqua è più rilevante per ciò che il toji cerca di ottenere. Ad esempio, una buona acqua può essere sia morbida che dura, cosí pure le diverse varietà di riso possono essere più adatte a certe fermentazioni che ad altre. Entrambe produrranno stili di sakè diversi.

Per preparare il nostro Fukucho (ricco e corposo) usiamo un’acqua molto dolce perché conferisce al sakè una certa eleganza. In passato, lo stile del sakè delle varie regioni del Giappone era fortemente influenzato dalla cucina locale. È possibile trovare diversi stili all’interno di una stessa regione, questo per soddisfare i vari tipi di cucina locale. Pertanto, anche la scelta di riso e acqua riflettono lo stile di sakè che il produttore ha in mente.

Quindi in che modo il tuo sakè è diverso?
In un certo senso, si potrebbe dire che abbiamo uno stile di fermentazione molto tradizionale: la nostra piccola città (Akitsu n.d.r.) è famosa per lo stile di produzione con acqua dolce che èè oggi la base per il moderno sakè ginjo. Lo stile che contraddistingue la nostra azienda è un modello di fermentazione basso e lento, che è poi il più adatto all’acqua prevalentemente dolce di Hiroshima. Tuttavia, cerchiamo sempre di essere innovativi e ogni anno ci piace sfidare noi stessi. Ad esempio, l’anno scorso siamo stati i primi a provare un riso che era stato levigato con un nuovo metodo rivoluzionario noto come Genkei (con questo metodo, il riso viene lucidato in modo da mantenere la sua forma originale, assicurando che i chicchi finali siano stati levigati in modo uniforme su tutti i lati n.d.r.).

Quest’anno, ancora una volta, siamo impegnati nella produzione del kijoshu, uno stile raro che prevede l’aggiunta di sakè dell’anno precedente in un mosto in fermentazione. Questo tipo di sfide sono in linea con il nostro motto aziendale: Hyaku-Shi-Sen-Kai che significa “provare cento nuove cose e fare mille miglioramenti”.

É ovvia la combinazione del sakè con il sushi. Ma quale altro abbinamento consiglieresti per imparare a berlo e ad apprezzarlo appieno?
Certamente, il sakè e gli abbinamenti con il cibo sono la migliore introduzione al sakè. Il mio consiglio, ove possibile, è di provare ad abbinare il sakè al cibo in base al livello del loro umami. Ad esempio, il nostro marchio Seafood è un ottimo abbinamento con cibi ricchi di umami come ostriche, piatti a base di pomodoro e altri tipi di frutti di mare.

Per le nostre varietà Hattan-so, formaggi a pasta molle e piatti leggeri sono un ottimo abbinamento. Il sakè è notoriamente facile da abbinare e sperimentare vari tipi di cucina dà sempre buoni risultati. Una tendenza che sta davvero prendendo piede, in particolare con i nostri clienti d’oltremare, è quella di abbinare il sakè alla pizza. La combinazione di formaggio e la base di pomodoro è un meraviglioso abbinamento per molti tipi di sakè.

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