La critica enologica al tempo dei brontosauri

La critica enologica al tempo dei brontosauri

di Pietro Stara

Vi fu un tempo remoto in cui non esisteva la critica enologica. Un tempo abbastanza lungo, se si tiene in debito conto il ritrovamento di una coppa, in quell’ottavo millennio prima di Cristo, anche se nessuno avrebbe potuto immaginarsi di essere prima di qualcuno che si sarebbe poi chiamato Cristo, piena di un liquido di uva fermentata. Ma anche le coppe non avevano alcun riconoscimento sociale, poiché non era comparso alcun critico enologico che avesse stabilito che un ciotola scavata nel legno avrebbe potuto chiamarsi coppa. E così pure la fermentazione non era dissimile da qualsiasi altra tipologia di bollitura più o meno spontanea.

Il tutto andava dunque a complicarsi in maniera irrimediabile: anche qualora, dopo una bevuta comunitaria, qualcuno che avesse avuto qualche velleità di critica, che non poteva chiamarsi critica, ma semplicemente il dire qualcosa su quel liquido bollito che dava alla testa, non avrebbe avuto l’alfabeto per farlo e, se lo avesse anche avuto, non avrebbe avuto la carta, la penna, gli editori, i premi, le guide, i blogger, i cataloghi e via di questo passo. Oggi capita di vedere qualche film, o di leggere qualche fumetto o improbabili libri di archeologia improvvisata, in cui questi uomini primitivi vengono rappresentati a brindare o ad innalzare le coppe al cielo: cose descritte in maniera così naturale da sembrare pur vere.

Ma nulla di tutto ciò era possibile in quell’epoca così lontana dal momento che nessuna critica enologica aveva autorizzato chicchessia a brindare o ad innalzare le coppe. Certamente esisteva un gusto personale e forse anche condiviso: i tannini allappavano come adesso; alcuni vini erano più acidi di altri; alcuni sapevano di frutta, altri ancora di terra o di pelo bagnato di mammut. Ma nessuna di queste poteva essere considerata una categoria mentale e nessuno avrebbe mai neppure potuto immaginare un modo adatto per descrivere quelle sensazioni, magari dopo una degustazione guidata, alla cieca, seduti di fronte ad un tavolo bianco, adornato da piccole tovagliette bianche, al cui fianco erano stati collocati dei tovaglioli bianchi e dinanzi un bicchiere di vetro trasparente, il tutto illuminato da luci elettriche luminescenti.

Qualche volta poteva capitare che, durante i lunghi pasti serali, quando la carne del brontosauro faceva fatica a staccarsi dalle ossa, intorno al fuoco che serviva tanto per la cucina che per tenere lontani i raptorex vagabondi, qualcuno si chiedesse sommessamente: “Chissà se questo vino ha fatto la malolattica?!?!” Per poi attendere una risposta piena di risentimento e contrariata del capo clan: “La malolattica cosa?” Rischiando così non solo di ridicolizzarsi di fronte ai sodali, ma pure di prendere un sacco di botte da quelli che avevano frainteso sul latte cattivo o su cose similari che però non avrebbero potuto chiamarsi vino o latte giacché né la critica enologica moderna né gli assaggiatori di latte avevano concesso all’uno di chiamarsi vino e all’altro latte.

Così i pre-critici enoici di quei tempi lontani si appartavano in solitudine, magari su di un albero di vite, e vaneggiavano parlando a vuoto e mimando gesti e segni incomprensibili di rotazioni di calici, di sorseggiamenti con risucchio e sputi, sprofondando lentamente in una mite follia. Non è inimmaginabile pensare che questi pre-critici enoici, ammirando le frecce e le lance pronte all’annientamento del tirannosauro, abbiano pensato, forse un solo momento, ai punteggi delle guide o, vedendo trotterellare in fila per tre le Carbonemys cofrinii, tartarughe che si cibavano di coccodrilli, abbiano fatto spazio nelle loro menti conturbate ai tre bicchieri, ad alcune chiocciole, a qualche faccina o diversi grappoli, senza ovviamente aver potuto chiamare nessuna cosa col proprio nome. Perché, in fin dei conti, le Carbonemys cofrinii, precorritrici dei punteggi delle guide, erano rimasti degli animali praticamente illeggibili.

a Giorgio Manganelli

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Pietro Stara

Torinese composito (sardo,marchigiano, langarolo), si trasferisce a Genova per inseguire l’amore. Di formazione storico, sociologo per necessità, etnografo per scelta, blogger per compulsione, bevitore per coscienza. Non ha mai conosciuto Gino Veronelli. Ha scritto, in apnea compositiva, un libro di storia della viticoltura, dell’enologia e del vino in Italia: “Il discorso del vino”.

7 Commenti

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amadio ruggeri

circa 6 anni fa - Link

Prima di formulare un commento, aspetto la seconda parte del post, "I brontosauri al tempo della critica enologica".

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daniele

circa 6 anni fa - Link

a parte l'ovvia difficoltà di staccare pezzi di carne fossile da ossa fossili, quale sia il significato di tutto ciò mi sfugge. in ogni caso i primi ad ubriacrasi non furono certo gli uomini (cercare "elefanti ubriachi") ed è ben probabile che pure le nostre prime sbronze fossero ben lontane da aver qualcosa a che spartire con l'uva...

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Gino Rossi

circa 6 anni fa - Link

Un minuto della mia vita sprecato a leggere questo articolo... e altri 20 secondi a lasciare questo commento.

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Marco Prato - Il Fummelier

circa 6 anni fa - Link

A me il racconto è piaciuto. Ci ho trovato dell'ironia e un invito a prendersi meno sul serio. Magari sbaglio e l'ho pensato solo io. E poi di cappelli, chiocciole, medaglie, stelline e paillettes personalmente me ne disinteresso, per tanti motivi. Così come per molte altre persone, guide e simboli siano invece imprescindibili e foriere di assolute verità. Unico appunto: uomini e dinosauri non si sono mai incontrati, ci sono dai 60 ai 200 milioni di anni a dividerli, ormai è appurato...quindi seppur carina l'immagine dell'ominide intento a staccare a morsi la carne di brontosauro dall'osso, è inverosimile al pari del discorso gesto-rituale delle invocazioni e degli innalzamenti di coppe descritti dallo Stara :)

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Pietro Stara

circa 6 anni fa - Link

Grazie a Marco Prato colgo l’occasione per alcune piccole precisazioni. Questo è un articolo seriamente scherzoso, che inizia dove finisce: dalla dedica a Giorgio Manganelli. E in particolare a quel suo libro, oggi ripubblicato da Adelphi, che va sotto il titolo di “Discorso dell’ombra e dello stemma”. Il “Discorso dell’ombra e dello stemma o del lettore e dello scrittore considerati come dementi” apparve per la prima (e unica) volta nel 1982. Dal risvolto: “Cadono così, sotto i colpi di Manganelli, molte certezze: persino la fiducia che riponiamo nella figura dello Scrittore. Che in realtà è solo un «passacarte», un Grande Mentitore, agìto dalle parole. La scrittura, infatti, accade, e lo attraversa e parla per suo tramite. Ma anche i lettori non hanno di che stare tranquilli. Devono finalmente rendersi conto che coltivano una “dolce e ritmica demenza”. Quindi non era mio interesse particolare né capire se il vino sia stata la prima bevanda ubriacante, né della permanenza dei brontosauri sul pianeta terra. Parlo di parole e di critica alle parole (sul vino).

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sergio

circa 6 anni fa - Link

Negli ultimi tempi i post di Stara seguono questo andamento: poco chiari per cui sono necessarie delle precisazioni e integrazioni. La chiarezza, per me, è un requisito fondamentale di un testo, di un discorso. Anche se non è, forse, il momento giusto per dirlo, sto apprezzando molto la nuova redattrice Lisa Foletti per stile e contenuto. Ha superato, per me, molti altri che scrivono su questo blog. Ma anche Stara ho apprezzato pubblicamente, ma un po' di tempo fa. Spero che che la Foletti non mi deluda.

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Pietro Stara

circa 6 anni fa - Link

Grazie Sergio per il tuo intervento. Solitamente non puntualizzo molto su quanto scrivo; soprattutto perché non ritengo sia molto proficuo almeno in un senso: una volta abbandonato uno scritto (potrebbe essere un quadro, un pezzo musicale, un piatto cucinato...) non ne ho più alcun controllo. Uno può leggerlo, interpretarlo, amarlo o schifarlo un po' come gli pare. Ed è questo il dilemma dello scrittore tiranno: “terrorista quando la scrive, diventa un perfetto liberale quando l’abbandona: ad un tempo radicale e indifferente, l’autore è doppiamente estraneo al dibattito: lo è in modo aggressivo quando crea e lo è in modo passivo una volta che questa creazione ricade per lui nel passato” Roland Barthes in "Miti d'oggi" . https://vinoestoria.wordpress.com/2017/04/06/lo-scrittore-tiranno/

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