La corsa al naturale

La corsa al naturale

di Nicola Cereda

Vino e corsa, un rapporto difficile ma neanche troppo. Le cento bottiglie di biancorosarosso che consumo in un anno non fanno di me un bevitore da Guinness (logico!), così come i centoventi chilometri di corsa al mese non mi danno diritto all’impegnativo appellativo di “runner”. Però incrociando i dati realizzo di bere quanto un’utilitaria (venti con un litro) concedendomi mediamente un bicchiere ogni due chilometri e mezzo di corsa. Correre mi consente di bruciare calorie in breve tempo e a basso costo eccezion fatta per le scarpe sulle quali, gli esperti insegnano, non si può lesinare. Quantunque ancora nuove all’apparenza, attorno agli  ottocento chilometri di utilizzo andrebbero cambiate essendo in tutta probabilità esaurite le loro proprietà ammortizzanti.

Ecco appunto che ricevuti segnali precisi dai tendini non potevo più posticipare il momento della sostituzione. Al  negoziante di fiducia avevo chiesto di soddisfare due semplici requisiti: protezione e comfort, ma non avendo trovato nulla da colpo di fulmine mi stavo approssimando alla cassa, senza entusiasmo, con un paio di calzature della solita marca. Quasi per scherzo, avevo domandato: “non avete qualcosa completamente fuori dagli schemi?”. Il venditore (illuminato dalla mia richiesta) mi aveva suggerito delle scarpe a suo dire innovative, legittimandole attraverso concetti a me totalmente ignoti quali Zero-Drop, correzione della postura, riappropriazione della funzionalità delle dita dei piedi… Trattenendo uno sbadiglio avevo calzato quegli oggetti non meglio identificati ma, positivamente sorpreso dalla comodità, li avevo aggiunti al carrello, pensando ad una scorta in caso di problemi con la rinomata marca “convenzionale”.

Dopo qualche mese (contro ogni previsione) le gerarchie si erano completamente capovolte: l’outsider si era imposto per manifesta superiorità guadagnandosi il posto da titolare. E mentre stavo per gettare la scatola di cartone abbandonata in cantina, mi cadeva l’occhio sulla dettagliata descrizione del prodotto stampata al suo interno: scoprivo in quell’istante di essere caduto a piè pari nel gorgo perfido del Natural Running. Avevo scelto scarpe minimaliste per la corsa naturale. Ci mancava solo quello!

La corsa naturale, secondo i sostenitori della relativa filosofia, è una tecnica che permette all’uomo di riappropriarsi di quelle risorse che ne fanno uno degli esseri viventi più adatti in assoluto alla corsa di resistenza. Sul sito dell’Associazione Italiana Corsa Naturale (gulp!) leggo che “l’utilizzo di scarpe troppo strutturate ed ammortizzate, hanno alterato lo stile di corsa, trasformandolo in un gesto errato e dannoso”. Copio/incollo da Wikipedia: “uno stile di corsa che concilierebbe i vantaggi apportati dal correre a piedi scalzi con la protezione data dalle scarpe è rappresentato dall’uso di calzature minimaliste […] E’ opinione diffusa che il passaggio ad una scarpa minimalista debba sempre avvenire molto gradualmente, anche in atleti allenati, per riabilitare il piede a compiere movimenti e sforzi fisiologici ma non più usuali”.

Per il momento, della corsa naturale m’importa pochino. Ciò che mi diverte è cercare affinità-divergenze con quello che fu il mio primo approccio al vino naturale. Ai tempi in realtà si parlava di vino vero e mi ci ero avvicinato attraverso i celeberrimi Critical Wine di Veronelliana memoria. Allora non si parlava ancora di “naturale” ma esisteva già uno zoccolo duro di bevitori stanchi dei marmellatoni palestrati da concentratore e delle spremute di legno tostato ottenute attraverso l’utilizzo prevaricante della tecnologia e della chimica di sintesi. Una parte di pubblico pronta ad ascoltare con interesse le storie di pionieri che si collocavano “volutamente al di fuori della massa promuovendo e mettendo in atto modalità espressive nuove e in contrasto (effettivo o solo apparente) con la tradizione e il gusto corrente” (*). Insomma, un nucleo di appassionati maturo a sufficienza per apprezzare la dinamicità delle bevande di avanguardisti che attingevano dal passato per provare a tracciare le coordinate per il futuro.

Ho assaggiato il vino naturale quando ancora non si chiamava così è mi è piaciuto. Ci sono entrato gradualmente, rieducando il mio senso del gusto e non ne sono più uscito (!). Ecco, auguro a tutti di arrivare al vino naturale così come io ho scoperto le calzature da natural running: inconsapevolmente e assecondando il piacere. Produrre vino naturale senza saperlo e preferirlo ancorché perfettamente ignari di appellativi e definizioni: il migliore dei mondi possibili.

Sempre su Wikipedia leggo: “le calzature minimaliste vengono attualmente prodotte da manifatture specializzate e, a causa del crescente interesse riguardo a questa filosofia, anche le grandi industrie tradizionali stanno studiando questa nuova tipologia di scarpa”. Traslando al mondo del vino, vi sovviene qualcosa?

Buona corsa a tutti!

(*) Philippe Daverio a proposito delle avanguardie artistiche

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Nicola Cereda

Brianzolo. Cantante e chitarrista dei Circo Fantasma col blues nell'anima, il jazz nel cervello, il rock'n'roll nel cuore, il folk nella memoria e il punk nelle mani. Co-fondatore di Ex-New Centro di arte contemporanea. Project Manager presso una multinazionale di telecomunicazioni. Runner per non morire. Bevo vino con la passione dell’autodidatta e senza un preciso scopo. Ne scrivo per non dimenticare e per liberarmi dai fantasmi delle bottiglie vuote.

5 Commenti

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Lanegano

circa 4 anni fa - Link

A questo punto tocca rivelare il nome della scarpa che mi ha incuriosito assai.

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Nic Marsél

circa 4 anni fa - Link

Una marca vale l'altra :-) e non è una frase buttata lì ;-)

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Paolo A.

circa 4 anni fa - Link

L'affannosa ricerca di, il ritorno a una "naturalità" mai realmente esistita, è il mantra della cattiva coscienza occidentale. Si può solo sperare che, grazie all'eterogenesi dei fini, il cambiamento apportato da questi movimenti abbia comunque effetti positivi. Nel caso del vino "naturale" sicuramente il minor utilizzo di prodotti di sintesi nelle campagne, nel caso della corsa...boh.

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Grazia

circa 4 anni fa - Link

Interessantissimo approfondimento!

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Simeone Lo Stilita

circa 4 anni fa - Link

Ah grazie un motivo in più, da corridore saltuario (runner lo dici a tua sorella, è la mia risposta tipo quando provano ad additarmi con quell'insulso termine), per continuare a non salutare i "runner" che purtroppo tocca incontrare in giro. Se ci fossero solo calzature naturali, io coi miei problemi di schiena, non potrei correre, per cui lunga vita alle scarpe tecniche. E alla tecnica e tecnologia, sia in vigna che in cantina (no, non ho detto chimica, sia chiaro). PS: l'unica calzatura "naturale" è il piede nudo

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