La bevibilità è il nuovo mantra del vino

di Alessandro Morichetti

Alla lunga, anche le cose belle annoiano. C’era il tempo in cui un vino per essere buono doveva riempire: le narici del naso di dolcezza e la bocca di sapore, vero o artefatto. Ci doveva essere tanto di tutto, io all’epoca bevevo Coca Cola ma ho amici di buona memoria. Poi cambiò il vento, il vino tornò ad essere ministro della tavola e necessariamente più equilibrato. Nuova parola d’ordine “bevibilità”. Prima fu l’uso, poi l’abuso. Qualsiasi produttore che voglia magnificare un suo prodotto la userà ogni 3 x 2. Colpevoli e schiavi del meccanismo anche tutti noi qui. Stanchi dei punteggi e annoiati da descrittori improbabili, spesso lodiamo un prodotto a suon di “un bicchiere tira l’altro”, “da bere a vasche”, “da prenderne a casse” e via dicendo. Gran merito quando è effettivamente così, paraculismo altrimenti.

Pur ammantata di retorica, la bevibilità è un parametro di valutazione che andrebbe inserito in qualsiasi scheda di analisi. Vero problema è la totale assenza di codificazione. A suo modo ci provò Daniele Cernilli coniando i “3 bicchieri” agli albori della guida Vini d’Italia edita da Gambero Rosso e Slow Food:

Con una bottiglia si riescono a servire sei bicchieri di vino, in media, ed è molto triste, oltre che poco salubre, bersela da soli. Una bottiglia si beve almeno in due persone, e se il vino è molto buono, allora si finisce. E si bevono tre bicchieri a testa. Bene, i vini migliori dovevano perciò avere il punteggio di tre bicchieri.

Niente di più azzeccato. Poi arrivarono i riconoscimenti anche a vini che 3 bicchieri te li bevi in un secolo ma questa è un’altra storia. L’idea sacrosanta rimane. Come dargli nuova linfa tra le note di degustazione? Insomma, abbiamo vocabolari colmi di astrusità per alcol, acidità e tannino ma sul parametro che li riassume tutti navighiamo a vista. E poi come specificare i diversi gradi di bevibilità? Bella domanda, si accettano consigli.

[Immagine Flickr/Jody Art]

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Alessandro Morichetti

Tra i fondatori di Intravino, enotecario su Doyouwine.com e ghost writer @ Les Caves de Pyrene. Nato sul mare a Civitanova Marche, vive ad Alba nelle Langhe: dai moscioli agli agnolotti, dal Verdicchio al Barbaresco passando per mortadella, Parmigiano e Lambruschi.

26 Commenti

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Eugenio Bucci

circa 14 anni fa - Link

So che è come citare Trotsky in un Pulitburo stalinista, ma un esempio è il parametro Equilibrio nella valutazione sensoriale di Luca Maroni. Apro l'ombrello e attendo i fulmini e le saette...

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Cattamax

circa 14 anni fa - Link

La bevibilità si potrebbe misurare a secchi:

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Cattamax

circa 14 anni fa - Link

5 secchi grande bevibilità (3 sono pochi e c'è poco margine di manovra per i vini poco decifrabili, 1 secchio scarsa bevibilità. ops...ero serio quando lo stavo scrivendo.

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Danilo Ingannamorte

circa 14 anni fa - Link

Proposta seria: in generale il rapporto estratto secco/acidità dovrebbe essere indicatore. Proposta pragmatica: diamo il compito ai sommelier di fare statistiche a valle sul campo! Proposta poco seria: ingaggiamo gli astemi per le degustazioni, dietro lauto compenso ovviamente per convincerli!

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TERROIR

circa 14 anni fa - Link

terreno minato...anche perchè per la maggior parte delle istituzioni enoiche il top di un vino è considerato il suo "equilibrio" (tra le famose durezze e morbidezze) ma un vino "equilibrato" ha davvero quella bevibilità di cui parliamo?! Io son sempre dell'opinione (in rif. soprattutto ai grandi vini da invecchiamento anche se la logica è generale) che un LEGGERO disequilibrio in favore delle "durezze" (acidità e mineralità in primis) dia quella che secondo me è la vera "bevibilità".Quando con l'esperienza (o un gran culo) becchi un grande vino in quella fase c'è solo da goderne a pieno gargarozzo...

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Cristiano

circa 14 anni fa - Link

Sono d'accordo con TERROIR; penso che l'equilibrio perfetto determini una staticità di sensazioni che non invita certo alla "ribeva" come dice Gianpaolo, mentre la dinamicità appunto sia determinata da un leggero eccesso di acidità, anche da un tannino leggermente astringente, insomma bisogna udire lo schiocco della lingua per decretare davvero la bevibilità di un vino!

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gianpaolo

circa 14 anni fa - Link

si deve calcolare la "ribevibilita'", ovvero la voglia che hai dopo il primo bicchiere di fartene un altro.

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Mauro Mattei

circa 14 anni fa - Link

io quoto l'idea dei "secchi". mi sembra geniale :-D

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Valter

circa 14 anni fa - Link

Quoto senza dubbio l'equilibrio maroniano. Mai un vino sarà bevibile se il suo sapore non é equilibrato.

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Alessandro Morichetti

circa 14 anni fa - Link

Interessante. Sembrano emergere due "scuole": 1) bevibilità = equilibrio 2) bevibilità = lieve prevalenza della durezza di un vino Siamo sicuri si esaurisca qui il discorso? Per dire, il bevitore occasionale solitamente sembra apprezzare e scolare meglio i vini morbidi. Non a caso il vino "ruffiano" è accomodante, piace subito e il problema "bevibilità" come lo poniamo noi non si pone proprio. In altre parole, preferisco bere uno Chablis duro e puro piuttosto che consigliarlo a chi vuole solo "dissetarsi" con un generico bianco. Così come un leggero residuo aiuta la bevibilità già spaventosa di certi riesling. Unità di misura è il secchio, questo non si discute.

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Mauro Erro

circa 14 anni fa - Link

Sinceramente, il concetto di bevibilità è già stato ben sviscerato e definito per chi fa il degustatore per lavoro. Se chiedi a Rizzari e Cernilli circa la bevibilità, non credo che ti diranno cose molte diverse. Quindi è meglio non far confusione sul termine, anche se ci sono una serie di “però”. Il concetto di bevibilità di un vino è legato al lavorio acido/sapido, sempre che vi siano tutta una serie di fattori di base. È ovvio che se ho un vino con un tannino crudo ed elevata acidità (spesso è cosi nelle annate piovose non ben gestite) quel vino tutto sarà tranne che “bevibile” (generalizzando). Oppure, facendo un esempio estremo, l’equilibrio non fa la bevibilità: il Kurni è un vino che spesso è in perfetto equilibrio, ma dire che sia bevibile è cosa altra. A mia memoria, solo il ’98 possedeva questa caratteristica grazie al residuo di carbonica. Nessuno ad esempio cita mai la carbonica come elemento che agevola la bevibilità eppure gli Champagne sono i vini più bevibili al mondo. Al contrario, so’ che oggi sono di moda, tutti citano i riesling tedeschi come esempio di bevibilità. Eppure da giovani, da spatlese in su, sono imbevibili tanto da essere definiti “torcibudella” per la quantità di zucchero presente e le dosi massicie di solforosa e questo anche se ti ritrovi in mano un’annata come la ’96 quando in Mosella s’imbottigliava anche con 13 di acidità totale. Detto questo si può aggiungere che queste sono pippe da degustatore di mestiere e circa il significato “letterale” per un consumatore è un altro paio di maniche. Spesso basta chiedere di un vino ad un degustatore bravo ed uno medio e avrai due chiavi di lettura completamente diverse. Tempo fa intercettai una disquisizione su questo tema tra Pardini e Rizzari (L’espresso). Alla fine è impossibile poter inserire tale concetto in una qualsiasi scheda di valutazione figuriamoci per le guide, soprattutto perché dovresti obbligarci a berli e non sputarli :-) Infine, nessuno ha fatto un’osservazione: quanto il discorso della bevibilità (per questo ne parliamo tanto) sia intriso di un elemento culturale. Se ne parla perché il vino da noi è sempre stato (oggi non più) considerato un alimento che accompagnava i cibi a tavola o dava calorie. Per questo doveva e deve essere bevibile (oggi più che mai visto il calo dei consumi in Italia degli ultimi 50 anni). Non è così nei paesi anglosassoni dove, invece, si predilige un corpo, più che una struttura, più sostanziosa, proprio perché il vino è spesso decontestualizzato dalla tavola. Hanno voglia di sapori più intensi negli Stati Uniti e questo vale pure per le birre, ad esempio, tanto per mettere un altro po’ di carne a cuocere. Morichetti, preparati, secondo me il prossimo Mantra sarà la digeribilità. Scusate il papiellum. Baci e abbracci.

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Jacopo Cossater

circa 14 anni fa - Link

Che bel commento Mauro. Digeribilità? Evviva. ;)

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Roberto Giuliani

circa 14 anni fa - Link

Mauro, ti invito a leggere il mio ultimo commento, secondo me "bevibilità" non è un termine chiaro, per quanto molti "luminari" si saino espressi in tal senso. Gli esempi che tu hai fatto richiamano più un concetto di digeribilità, che è ben diverso da bevibilità.

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Roberto Giuliani

circa 14 anni fa - Link

Non avevo visto la tua chiosa... appunto, digeribilità, io la cito da molti anni come elemento importantissimo del vino. La bevibilità si sofferma al gusto di un vino (lo dice il Devoto-Oli) e il gusto è estremamente soggettivo. Per molta gente la coca-cola risulta bevibilissima, anche a secchiate, a me invece non piace, mi stanca subito e mi lascia in bocca una sensazione acida e chimica.

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Mario

circa 14 anni fa - Link

Secondo me bevibilità e digeribilità tendono a coincidere con il passare degli anni. Per me la bevibilità di un vino è data dalla risposta sensoriale alla prima sniffata e alla prima gozzata. Se la risposta è positiva e ho voglia di berne una bottiglia a pasto, mai si verificano problemi legati alla digestione. Niente di razionale. Lascio all'istinto il compito di dirmi quanto il vino sia bevibile o meno. Quando invece sono invitato da amici che praticano le peggiori bottiglie a bere vini che il mio istinto rifiuterebbe, i due o tre bicchieri che per amicizia non si possono rifiutare bastano a farmi passare una nottata con mal di testa, bicchierate di acqua continue, ecc. Ma è il primo sorso (anche se a volte basta la sniffata) a darmi una sensazione di disagio, senza nessuna analisi razionale, se ci si affida all'istinto, ci si mette in buone mani.

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Francesco Fabbretti

circa 14 anni fa - Link

La bevibilità è un non-parametro dal mio punto di vista: cambia e si adatta alle mutazioni antropologiche, culturali e sociali. Insomma, ogni era, ogni popolo ha la sua "bevibilità". Tanto per citarne due direi antica Roma-vino con garum, Europa prenovecentesca- champagne dolce. Non trascurerei inoltre la dimensione psicosomatica del gusto: i riesling troken tedeschi credo si possano ritenere decisamente bevibili, ciononostante io non riesco quasi più a berli perchè mi cominciano a dare a noia. Al contrario, se mi deste un Messorio o un Migliara 2007, dubito rinverreste tracce di vino nelle bottiglie dopo il mio "passaggio". Tutto sommato mi limiterei ad osservare che il gusto "standard" sta virando su vini meno materici. Al netto direi si tratti di una delle cicliche variazione di lavoisieriana memoria "Nulla si crea, nulla si distrugge ma tutto si trasforma"

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fabrizio pagliardi

circa 14 anni fa - Link

Riesling a parte mi sento di quotare. Con una aggiunta. Penso che tutti questi ragionamenti e nuovi parametri di degustazione e giudizio sul vino siano un po autoreferenziali. Cioè riguardano solo noi e non il consumatore medio. Nel mio locale raramente i clienti, (uomini e donne), vanno oltre i due bicchieri di vino e la bottiglia ogni quattro persone. E devo aggiungere che tra i miei amici non appassionati la media di consumo è simile. Per quantitativi del genere, la bevibilità, e ancora di più la digeribilità non sono secondo me argomenti rilevanti.

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Roberto Dal Ponte

circa 14 anni fa - Link

Il vino buono é quello che finisce prima, é quello di cui si ha sempre voglia, quello che non si fa fatica a bere. Non ci sono tante seghe mentali da farsi quando si parla di bevibilità. Tecnicamente, é un'ovvia conseguenza dell'acidità del vino. E grazie a Dio, dopo dieci anni che se ne parla (merito va dato a Porthos, rivista e forum), finalmente la cosa é diventata comune, ovvia, diffusa, quasi inflazionata. Embé? Meno male, dico io.

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Davide Cocco

circa 14 anni fa - Link

Il secchio è fantastico come unità di misura. Ma manca il super premio, che c'è sempre. Propongo di istituire il pozzo come parametro d'eccellenza. Ciao.davide P.S. il pozzo deriva dal detto veneto "Mejo bevarghene un posso che spanderghe un giosso". Traduzione su richiesta

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Alberto Ugolini

circa 14 anni fa - Link

Quoto pienamente Mario Erro quando dice che “L’equilibrio non fa la bevibilità” o meglio, non fa sempre la bevibilità. Una bilancia sta in equilibrio sia quando pongo 100 kg su entrambi i piatti sia quando vi pongo 1 kg, ma provate voi nel primo caso a spostare la bilancia o i pesi. Se equilibrio vi dev’essere (o leggero disequilibrio verso l’acidità/sapidità per l’appassionato o verso le morbidezza per la maggior parte dei consumatori occasionali, su questo argomento si potrebbe discutere giorni), tale equilibrio è conseguenza a mio avviso dalla presenza di sostanze dal peso “sostenibile”, leggi alcol (non eccessivo), zuccheri residui (assenti o quasi), glicerina (ridotta) da una parte e acidità (fresca), sapidità (ben presente) ed eventualmente tannini (croccanti) dall’altra. E’ questa la caratteristica “gustativo/tattile” dei cosiddetti “vinini”, o vini del sorriso, come li abbiamo denominati nel convegno organizzato a Vinitaly, ossia di quei vini che danno piacevolezza immediata, desiderio di essere ribevuti per i loro caratteri di freschezza e vitalità, versatilità di abbinamento, vocazione alla convivialità. Direi che questa si avvicina a una visione condivisibile di “bevibilità”, ma alla quale vanno affiancate due importanti osservazioni. La prima, che esistono diverse eccezioni, positive nel momento in cui sono riconducibili al genius loci che determina la loro “specifica” bevibilità: si pensi ai Riesling tedeschi, ad alcuni Amarone della Valpolicella o Barolo o alcuni vini del sud Italia o vini da appassimento, vini che propongono un equilibrio “alto” ma che nelle migliori e più autentiche espressioni si fanno bere con facilità. La seconda, che spiega anche la prima e che rappresenta, questa si, il vero mantra, è che la bevibilità è sempre legata alla piacevolezza. Affermazione banale, lo so benissimo, ma la sola a spiegarmi perché io potrei bere tanti secchi, anzi un pozzo, di vini dalla sottile mineralità, dalla acidità incisiva, dalla sapidità così salivante da richiamare, appunto, un bicchiere dietro l’altro (perché son vini che mi piacciono!), mentre i miei amici, così come credo molte altre persone, preferiscono bere e ribere vini dalla rassicurante morbidezza e dalla carezzevole fruttuosità. (perché son vini che a loro piacciono!). Preso atto di, e soprattutto portando rispetto a tale soggettività, rilancio la convinzione che la bevibilità nasca soprattutto dalla finezza e delicatezza(che non è magrezza) delle componenti gustative/tattili e aromatiche del vino, caratteristiche in grado di far risaltare, non coprendola con inutili sovrastrutture, l’anima di un territorio e, allo stesso tempo, rendere il bere quel vino una esperienza non solo piacevole ma da ripetere. Saluto scusandomi per l’eccessiva lunghezza Alberto Ugolini Brand Ambassador Santa Margherita

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Cattamax

circa 14 anni fa - Link

Non si discute se piace maggiormente uno Grande Couvèe di Krug o un Migliara 2007 (concordo Francesco), a certi livelli la bevibilità è ottima indipendentemente dalla tipologia o dai gusti personali, direi un 5 secchi. Il criterio di valutazione non deve essere soggettivo come in tutti gli altri parametri di una degustazione.

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Roberto Giuliani

circa 14 anni fa - Link

Purtroppo il tempo non mi permette di leggere tutti i commenti, magari qualcuno si è già espresso in merito, penso però che "bevibilità" sia un termine un po' troppo ambiguo e facile a fraintendimenti. E' bevibile un Amarone da 16,5 gradi, e se non lo è come fare a renderlo tale? E' bevibile un Sagrantino particolarmente tannico? Non credo sia neanche un discorso di equilibrio, che in ogni caso rischierebbe di tagliare fuori la maggior parte dei vini appena usciti, visto che non sono quasi mai già in equilibrio. Penso invece, come mi suggerì una decina d'anni fa uno degli enologi di Livon, Stocco, quello che conta in un vino è la "digeribilità". Non deve risultare mai pesante, non devi sentire la beva faticosa, non ti deve girare la testa al secondo bicchiere, non deve farti venire mal di testa, non deve renderti, appunto, la digestione pesante, tutto il tuo organismo deve poterlo accogliere senza subire fastidi di sorta. In questo senso, i vini che hanno subito meno manipolazioni e trattamenti sono generalmente più digeribili, visto che con la chimica lo stomaco non va molto d'accordo. Digeribile, in ogni caso, non vuol dire necessariamente "buono", ma è una garanzia che il vino non è artificioso.

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roberto gatti

circa 14 anni fa - Link

Potrebbe essere l' armonia di questa scheda ? : http://www.winetaste.it/ita/anteprima.php?id=6024 Sarebbe importante mettersi d'accordo sul significato di uno stesso termine : bevibilità= armonia=finezza ??

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docvinoandc

circa 14 anni fa - Link

http://www.arpepe.com/estrink_02.htm JLF : Je leer die Flasche desto besser der Wein=più vuota è la bottiglia, migliore è il vino

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