In cinque anni gli alcolici hanno perso 1,2 milioni di clienti. Vediamo se c’è anche la buona notizia

In cinque anni gli alcolici hanno perso 1,2 milioni di clienti. Vediamo se c’è anche la buona notizia

di Fiorenzo Sartore

“Bevande alcoliche: ecco i 10 trend di consumo in Italia” è quasi tutto quel che possiamo chiedere ad un titolo. Contiene quel che serve per attirare l’attenzione, perlomeno con me. Sono ancora affezionato ai titoli in stile “dieci cose che”, pare che non vadano più, ma quandomai.

Quindi di che si parla stavolta? Di consumi di alcolici. Le tendenze elencate in quel titolo su dieci punti da Mark Up descrivono uno scenario in parte noto agli addetti: i consumi sono in calo costante a causa della crisi e del cambiamento negli stili di vita. Detta così parrebbe una questione riassumibile con “circolare, non c’è niente da vedere”, ma l’indagine sui consumi alcolici negli ultimi cinque anni di Nielsen, commissionata da Federvini, contiene anche aspetti che meritano un approfondimento. Vediamo allora il why e il because.

Grafico 1

I punti uno, due, tre e quattro sono sostanzialmente tutti relativi al calo dei consumi. E raccontano appunto quel che già sappiamo: s’è ridotto il numero di bevitori (“nel quinquennio 2011-2015 si è assistito a una perdita di 1,8 milioni di consumatori, -5%, per un totale di 32,2 milioni”). Si beve con meno frequenza (durante la settimana si è passati “da 4 volte a 3,6”), si beve meno a pranzo ed è però aumentato il livello a cena e nel rito dell’aperitivo. Infine si rileva che si beve di più fuori che a casa. E va bene.

È al punto cinque che le cose si fanno interessanti: cosa si beve di più. Il vino, essendo in cima alla classifica, segna anche un forte calo numerico nel numero di bevitori: -5%. Trovo alquanto sorprendenti i dati che riguardano pure il calo nel numero dei bevitori di superalcolici: “liquori (-30%), distillati (-17%) e cocktail alcolici (-31%)”. A questo potrebbe essere collegato il fatto che tengono “invece i consumi di champagne, spumante, prosecco ed aperitivi alcolici”, in quanto la scelta di un vino poco alcolico come il prosecco ad uso aperitivo, confrontato col ben più corpulento Negroni, finisce per apparire una scelta salutista.

Si tratta di percezioni, anche, come annuncia il punto sei: l’aumentata consapevolezza di ordine culturale determina un differente, e più cauto, approccio del consumatore verso la bevanda alcolica: “Nel 2015 l’83% dei consumatori pensa infatti che bere tanto e perdere il controllo non sia più di moda, contro il 77% del 2013 e il 73% del 2011”. Ineccepibile, verrebbe da dire.

Nei punti sette e otto si approfondisce la natura comunicativa che sta alla base dei rinnovati comportamenti. “Funziona meglio una corretta cultura del bere che 100 divieti” in effetti suona benissimo per chi, come me, non ha alcuna simpatia per qualsiasi proibizionismo. In termini generali, si apprezzano (e si assecondano) gli elementi comunicativi che inducono alla consapevolezza.

Grafico 2

Al punto nove si parla di internet. Qui nuovamente rilevo questioni di un certo interesse: “il ruolo di internet nel processo di acquisto ad oggi è più spostato sulla ricerca di informazioni e prezzi che sull’acquisto”. Si tratta di un’affermazione che ci porta a riflettere (per quanto mi riguarda potrei aggiungere “nuovamente”) su internet come efficace canale di vendita. Al momento l’internet del vino che prevale è quello dello scambio di dati, più che di bottiglie.

Il punto dieci chiude su aspetti che attengono all’export: in un panorama di esportazioni non splendide il vino riesce a dare qualche gioia. Interessante questo passaggio: “nel 2015 l’Italia ha esportato vini e mosti per un valore pari a 5,5 miliardi di euro in aumento del 4,8% sull’anno precedente. Calano invece del 2,3% i volumi attestandosi a 21 milioni di hl”. Tecnicamente significa: vendiamo meno ma con un prezzo (valore) maggiore. Tra tutti i dati che ci parlano di riduzioni, quest’ultimo dettaglio consente, forse, una prospettiva ottimistica.

[Immagini: Dhaka Tribune, Mark Up]

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Fiorenzo Sartore

Vinaio. Pressoché da sempre nell'enomondo, offline e online.

1 Commento

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gianapolo

circa 8 anni fa - Link

sull'online l'Italia e' in ritardo, non so se esistono dati disponibili, io non ne conosco. Pero' in UK ormai il mercato dei vino online e' del 11% del totale, mica poco, e in Cina (che e' il 5 paese al mondo, poco lontani da noi come volumi totali) e' il 20%, e tutte le previsioni sono di crescita. Addirittura il Systembolaget, il monopolio svedese, prevede che il 30% del vino in Svezia sara' venduto online nei prossimi 5/10 anni (e quindi fuori dal loro controllo). Per quanto riguarda il consumeo dei vini, va detto che lo stesso trend avviene in Spagna (-35%) e in Francia (-17%), dunque e' una tendeza globale dei paesi produttori tradizionali con la quale fare i conti e fare la pace. Tra i dati interessanti e' che il valore / volume come rapporto per l'export di vino e' di 7 per la Francia e di 3,5 per l'Italia e solo di 1.5 per la Spagna, con la differenza che l'Italia e la Francia hanno aumentato quel valore del 250% negli ultimi 10 anni, mentra la Spagna e' rimasta ferma, e non se la passa bene (purtroppo, perche' il numero dei buoni vini e' cresciuto).

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