Il vino può ripartire se i ristoranti non ripartono?

Il vino può ripartire se i ristoranti non ripartono?

di Stefano Cinelli Colombini

Ho seri dubbi, almeno per quanto riguarda le bottiglie di prezzo medio e alto. Non si vive di sola GDO e Internet, e anche l’export senza ristoranti non è che abbia grandi prospettive. Per cui il problema dei ristoranti è un problema che riguarda noi viticoltori, e per ora non vedo nessuno che proponga soluzioni credibili. Io qualche idea ce l’avrei, magari è stupida però vorrei parlarne. Se possibile senza gli urli, la rabbia e gli slogan che appestano questo tipo di discussioni.

Prima di tutto, smettiamo di illuderci che lo Stato Italiano possa tenere in piedi un settore con oltre 300.000 esercizi in attività e un milione e duecentomila lavoratori. Molto semplicemente, non ha i soldi per farlo. Anche solo dare € 10.000 a fondo perduto ad azienda, che in molti casi non bastano manco a pagare la manodopera di un mese o due, costerebbe più di tre miliardi: questi soldi non ci sono. E allora? Vorrei raccontarvi una storia personale. Io qui nella mia Fattoria dei Barbi ho un ristorante, forse il primo aperto in Italia in una azienda agricola perché lavora dal 1969. A febbraio eravamo nel panico, ma abbiamo riaperto appena la legge lo ha permesso.

Piano piano a Montalcino anche gli altri hanno alzato le saracinesche, e all’inizio ci guardavamo negli occhi tra di noi. Poi i clienti sono arrivati, all’inizio un rivolo ma poi sempre di più. Da metà luglio spesso ci troviamo a rifiutare le prenotazioni, perché i tavoli distanziati e le misure anti Covid rispettate alla lettera non permettono più di tanto. Non è certo un anno normale, però probabilmente le spese saranno pagate e forse qualcosina avanzerà. Da quanto vedo mi sembra che in tutta la Valdorcia sia più o meno così, eppure vivevamo di turisti americani, asiatici e ricconi che quest’anno non si sono visti.

Anche a Siena vedo un certo movimento, ma solo da quando hanno riaperto (troppo tardi!) i musei. A Firenze molto meno, ma mi dicono che nei dintorni sia quasi come a Montalcino: la gente c’è. All’Argentario c’è un discreto movimento, e mi dicono anche nel resto della costa della Maremma. Un po’ ovunque nei luoghi che conosco c’è meno del solito, ma abbastanza per sopravvivere. Altro non so, con il Covid il mio raggio di esperienze personali si è ristretto, a questo posso aggiungere un dato “vinicolo”; le nostre vendite di vino in Italia sono calate, ma non sotto la soglia di sopravvivenza.

Questi dati sono molto parziali e molto locali, però a me paiono indicare qualche strategia che ha avuto un successo (almeno parziale) nel contenimento del danno. Perché di questo si tratta, se non arriva in pochi mesi una cura o un vaccino efficiente siamo comunque finiti. Prima di tutto, vedo troppi locali che pretendono di fare come se nulla fosse accaduto, tavoli fitti e gente ammassata. È una follia.

Due settimane fa con un amico ci siamo affacciati in un locale sul Monte Amiata che faceva così, e siamo scappati. Poi ho saputo che da lì è partito un focolaio ed è stato chiuso. Capisco le esigenze di cassa, per carità, ma se si fa così non se ne esce.

Dove vedo la gente oggi? In provincia, dove c’è meno affollamento e con l’estate i locali hanno molti posti all’esterno e ben distanziati. Dove le norme sono per lo più rispettate. È logico, la maggior parte dei potenziali clienti ha paura e non va a esporsi a rischi se può evitarlo. Mi direte che ora è caldo e non piove, ma come si fa d’inverno? Come si fa in città, dove gli spazi sono pochi e costano tanto? Eh che pretese, non sono mica un membro di un pagatissimo comitato governativo che (si suppone) ha tutte le soluzioni nel cappello!

Sono solo un bischero che ha un ristorante in Toscana, e cerca di scoprire come offrire ai suoi clienti una soluzione che li invogli a entrare. Non avendo più i gruppi che visitano la cantina, trasformerò le due sale che usavo e le aggiungerò al ristorante. Ma se non le avessi avute? Ci avevo già pensato, perché in condizioni normali i gruppi ci sarebbero stati e mi sarebbe comunque servito più spazio per il ristorante: un gazebo smontabile dove metto i tavoli esterni in estate. Non costa molto caro.

E qui mi viene in mente il Comune di Milano, che ha allargato lo spazio sulle strade destinato ai ristoranti (senza chiedere tasse!) e che poi è stato seguito da tanti altri. Forse, estendendo queste misure ad anni futuri e garantendo l’esenzione dalle imposte per almeno un decennio, sarebbe possibile ammortizzare l’investimento. Naturalmente con tavoli meno fitti perché sennò entrano solo i ragazzi della movida, e magari con la possibilità di detrarre la spesa dalle tasse. Questo non può funzionare per tutti, ma per molti si.

Pedonalizziamo un po’ di più le città, rallentiamo un po’ il traffico e diamo più spazi a ristoranti e bar. Non è certo la panacea di tutti i mali, però forse può aiutare molti a sopravvivere alla bufera e a far ripartire un po’ i consumi. E forse può essere anche uno stile di ristorazione da mantenere, un po’ più larghi si sta molto meglio.

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Stefano Cinelli Colombini

Nato nel 1956 a Firenze da un'antica famiglia senese, è il titolare della Fattoria dei Barbi a Montalcino. Membro dell’Accademia Nazionale della Vite e del Vino e dell’Accademia dei Georgofili, è un grande appassionato di storia, arte e musica classica.

5 Commenti

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vinogodi

circa 4 anni fa - Link

...visto la domanda precisa ("se il vino può ripartire se i ristoranti non ripartono") io dico di ... "no" . Qualsiasi iniziativa , anche alternativa alla mescita al ristorante , avrà poca efficacia sulla fascia di vini interessati . L'aspetto specifico si associa a quello agroalimentare , ma non per tutte le categorie : a) Il vino da scaffale da supermercato è in aumento, come i generi di prima necessità, favoriti dall'esplosione della vendita in GDO causa psicosi collettiva . Questi vini difficilmente li trovate nelle carte dei vini del ristorante, per ragioni ovvie ( anche se in alcuni casi di qualità medio alta ... meglio non avere riscontri e confronti con la grande distribuzione organizzata , altrimenti si rischia la figura dei ladri ) b) Il vino di nicchia di fascia altissima/cult wines/ feticci in aumento , anzi , in contingentamento . Paradossalmente come i beni rifugio classici (oro) i grandi vini da "investimento" sono diventati beni rifugio . Premiers di Bordeaux con le stesse oscillazioni pre Covid e Pro critica - Borgogna e Cuvée de Prestige di Champagne all'asfissia commerciale per i grandi nomi ( appena letto i listini della Moet Hennessy - Dom Perignon - Krug & C da brividi , così quelli degli importatori di Leroy - DRC - Borgogna in generale ...shoccanti , altrochè COVID...) , Langhe ... che vi devo dire , andate a vedere i prezzi attuali nelle annate in uscita (seppur ottime) dei Conterno , Roagna , i Mascarello , Giacosa, Vietti , Burlotto, Rinaldi , Gaja ...ecc ...se hanno risentito del COVID .. c) Vendita on line : in aumento per ovvii motivi , ma non potrà mai sostituirsi quantitativamente alla vendita mediante "contatto diretto" , così come il delivery nella ristorazione o la vendita on line dei prodotti alimentari/preparazioni alimentari . d) Infine i vini "da ristorante" . Inutile raccontarcela , sono legati al momento conviviale e al consumo al ristorante/enoteca con mescita/ Bar bottiglieria . Se questo momento viene limitato , anche quantitativamente il comparto ne soffre: sono i numeri , inequivocabili , a dirlo ... non parliamo delle pirlate quali le degustazioni on line e amenità similari , anche quelli son palliativi per inventarsi qualcosa quando l'acqua sta raggiungendo i livelli pericolosi per la respirazione...

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Stefano Cinelli Colombini

circa 4 anni fa - Link

Certo, ogni fascia di vini ha un rapporto diverso con la ristorazione. È un discorso estremamente articolato, diverso da Regione a Regione e difficile da valutare perché in realtà parliamo tutti per sensazioni, dati reali in giro non ce n’é. La mia sensazione è che la ristorazione italiana è un patrimonio importante per i viticoltori, certamente come immagine ma anche come fatturato. Forse più come fatturato che come volumi. Per cui non possiamo perderla.

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Giacomo

circa 4 anni fa - Link

Aiuti di Stato su base del reddito dichiarato, se proprio dobbiamo usare denaro pubblico per aiutare gente che vendeva pasta all'uovo a 37 euro al piatto e bottiglie ricaricate dal prezzo di produzione di venti volte.

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vinogodi

circa 4 anni fa - Link

...ma quando mai : che io sappia , la ristorazione , di qualsiasi livello , ha ricevuto briciole se non nulla. L'esperienza nel grande ristorante non si può limitare ad un conto economico del piatto . Altrimenti il 90% dei vini di alto livello andrebbero tacciati di abominio speculativo , se ci limitiamo ai costi industriali (agricoli) variabili che compongono il costo del prodotto all'origine , compresi costi fissi e ammortamenti ... ma suvvia ...

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Stefano Cinelli Colombini

circa 4 anni fa - Link

Esistono ristoranti con prezzi altissimi, certo che sì, ma guarda che guadagna molto di più l’umile pizzeria. Per il semplice motivo che il prezzo al cliente è basso, ma materia prima e costo del servizio (ridotto, e spalmato su tanti fruitori) è minimo. In questo caso, come quasi sempre, la demagogia sbaglia.

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