Il vino che non c’è più

Il vino che non c’è più

di Alberto Muscolino

Ultimamente mi è capitato di imbattermi in vini che non esistono. Non solo metafisicamente o magrittianamente dichiarandolo in etichetta e provocandone un cortocircuito cognitivo, ma più semplicemente perchè, finita la bottiglia che stai magnificando, di quel vino, non ce n’è proprio più.

Avete presente quella sensazione beffarda, al limite dell’attacco d’ira, quando, a film appena iniziato, ficcate la mano nella busta dei popcorn ed è già vuota? O quando siete arrivati da appena 5 minuti e sono già evaporati i salatini? Ecco pensate che stavolta non basterà alzarsi dal divano per prenderne degli altri o ordinarne ancora al banco, perchè qua la fine è certa!

Qualche giorno fa, la mattina dell’8 dicembre, finalmente si trova la quadra e mi avvio verso il Colle dell’Osservanza, a sud-ovest del centro di Bologna. La giornata è di quelle fredde e grigie, ma di lì a poco mi sarei riscaldato, pensavo. Raggiungo la destinazione dopo pochi chilometri, tutti in salita, arrivando a un cancello che sbarra la strada e ad aspettarmi trovo Lorenzo Maini, e il suo cane.

Siamo proprio in cima al colle che si affaccia sul parco di Villa Ghigi, ai piedi dell’Eremo di Ronzano e la vista è molto suggestiva. Di fronte c’è la piccola vigna che gestisce Lorenzo, fatta di vecchie viti del ’46 (alcune anche del ’29) con un po’ di tutto: lambrusco, malvasia, trebbiano, angela, paradisa, chasselas, chardonnay, sauvignon, pignoletto e altro ancora.

Il vino che non c’è più viene da lì ed è frutto di un assemblaggio delle varietà a bacca bianca. Mentre scendiamo giù in cantina Lorenzo mi racconta un po’ dei suoi trascorsi francesi, nella Borgogna degli anni ’90, a imparare il mestiere dai maestri per poi provare a fare da sé, magari sotto le due torri. Tuttavia nulla è scontato in questo meraviglioso e terribile mondo del vino e se parti da zero, e fai tutto da te, per vedere dei risultati degni di nota avanzi a piccoli passi, annata dopo annata.

Non c’è una vendemmia uguale alla precedente, una fermentazione esattamente identica a quella dell’anno prima e tutto può andare storto in ogni momento. La pretesa della perfetta replicabilità non appartiene a questi quattro tini davanti a me e neanche al mio interlocutore, l’infallibilità è la madre della noia e quindi… quindi finisce anche il mio sogno di gloria.

Mentre provo il Bianco dell’Osservanza 2019 da botte e ne apprezzo l’equilibrio e l’ottima armonia dell’assemblaggio Lorenzo mi dice che no, di 2017 non ne è rimasto proprio nulla! La mia scoperta dell’anno, a due passi da casa, un vino perfettamente giocato su cremosità e acidità in bocca, dal naso sofisticato e un po’ snob di piante officinali, arancia amara, tè oolong (il mio preferito!), melone bianco, frutto di un produttore che è pure simpatico, è svanita, volatilizzata.

Ho la tristezza nel cuore, ma provo a continuare, seguo Lorenzo in una saletta al piano superiore per scrollarci di dosso il freddo della cantina e fare ancora due chiacchiere. Apre una 2014, è un pò più esile e concisa, ma mi convince, nonostante tutto tiene botta, accompagna bene lo speck. Dopo poco ci salutiamo, con l’augurio di rivederci in tempi migliori e lasciarci alle spalle questo assurdo 2020.

avatar

Alberto Muscolino

Classe '86, di origini sicule dell’entroterra, dove il mare non c’è, le montagne sono alte più di mille metri e dio solo sa come sono fatte le strade. Emigrato a Bologna ho fatto tutto ciò che andava fatto (negli anni Ottanta però!): teatro, canto, semiotica, vino, un paio di corsi al DAMS, vino, incontrare Umberto Eco, vino, lavoro, vino. Dato il numero di occorrenze della parola “vino” alla fine ho deciso di diventare sommelier.

Nessun Commento

Commenta

Sii gentile, che ci piaci così. La tua mail non verrà pubblicata, fidati. Nei campi segnati con l'asterisco, però, qualcosa ce la devi scrivere. Grazie.