Il vino che non c’è: il Vin Santo Affumicato

Il vino che non c’è: il Vin Santo Affumicato

di Francesco Oddenino

Durante la mia prima fuga post quarantena, sono capitato in un agriturismo sperduto nelle campagne di Città di Castello, la Miniera di Galparino, giustamente segnalato dalla chiocciolina Slow Food.

Dopo un’ottima cena umbra, accompagnata da un Alta Valle del Tevere DOC Rosso 2018 della casa (evviva, ho messo un’altra bandierina di assaggio nelle DOC italiane!) mi viene chiesto se, per caso, conoscessi la specialità della zona: il Vino Santo Affumicato. No, ho risposto, non lo conosco e del resto non sono per nulla un tuttologo dei vini del Centro Italia. Mentre aspetto chiedo subito conforto alle 4/5 chat di nerd del vino di cui faccio parte su WhatsApp, ma le risposte sono tutte del tipo: boh! No! Nein! Trolli?

Mi portano questo liquido denso, ambrato scuro, che si appiccica alle pareti del bicchiere. Penso subito alla mia povera glicemia ma poi ci metto il naso dentro e iniziano le danze: c’è una leggera nota fumé tipo Mezcal artigianale, poi parte un corredo molto ampio tra fichi, nocciole, mallo di noce, caramello, salsa barbecue, sbuffi di erbe balsamiche in un contesto definito e chiaro, senza deviazioni alcoliche.

Ma è al sorso che dà il meglio di sé: parte dolce, si allarga, satura la bocca di zuccheri e glicerina, poi esce l’acidità che ripulisce tutto e lascia un fondo bocca lungo e appagante. Mi ha subito ricordato la dinamica dolce-acida dei grandi aceti balsamici tradizionali.

Faccio fatica a inquadrarlo: sembra un Pedro Ximénez invecchiato con molta acidità, un Aszŭ Eszencia fatto con uve appassite, un Avignonesi leggermente affumicato.

Con la curiosità a mille chiedo subito lumi al proprietario-vinificatore, che non vedeva l’ora di scappare dal servizio ai tavoli per spiegarmi come viene prodotta questa chicca.

Mi porta nella “cantina” di vinificazione/appassimento, che null’altro è che la vecchia cucina-sala dove vivevano e cucinavano i contadini addetti alle coltivazioni di tabacco, che fino a qualche decennio fa era la principale fonte di reddito della zona.

Mi racconta che le uve (trebbiano e malvasia), coltivate per stretto uso personale, venivano fatte appassire fino a febbraio nelle cucine, riscaldate da stufe a legna, dove una volta erano imboscate e messe a seccare le foglie di tabacco prese di nascosto dal monopolio italiano. A differenza del Vin Santo Toscano le uve non appassivano negli spaziosi sottotetti delle ville signorili o in locali appositi, ma nelle case dei contadini.

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Il mosto veniva quindi messo in caratelli, insieme alla madre che negli anni aveva preso un forte sentore di fumo, custodita gelosamente e tramandata da generazioni, dopo di che le botti venivano sigillate e dimenticate per anni.

Alla riapertura spesso vi erano molte sorprese: il mosto poteva essere completamente evaporato o il vino diventava troppo alcolico, perdendo magari l’intera produzione. In questo caso, nell’annata 2009, sono riusciti a produrre circa 1.200 mezzine di questo vino straordinario imbottigliato dopo dieci anni dalla vendemmia.

Chiedo subito se è possibile acquistarne qualche bottiglia da portare a casa da fare assaggiare ai miei amici nerd, ma mi viene detto che il prodotto non può essere venduto ma solo consumato in azienda.

La legislazione italiana infatti non ammette il “fumo” tra gli ingredienti possibili per il vino, che dovrebbe essere derubricato a condimento, oppure a qualche altra assurda denominazione.

Scopro quindi che una decina di folli e ambiziosi contadini-viticoltori si sono consorziati qualche anno fa per riprendere questa tradizione contadina della zona e stanno combattendo con la burocrazia italiana per ottenere una sorta di deroga al disciplinare per poter iniziare a commercializzare.

Sono sicuro di tornare a breve nell’Alta Valle del Tevere per godermi la splendida ospitalità alla Miniera di Galparino e per poter riassaggiare il loro Vino Santo Affumicato, ma non vedo l’ora di assaggiare anche quello degli altri produttori del consorzio, anche se ho l’impressione che dovrò cercarlo sottobanco.

Vin Santo Affumicato dell’Alta Valle del Tevere
Cesare di Galparino 2009
Azienda Agraria La Miniera di Galparino, di Chiara Filippi

[Fotografie: @silvia.celeste.ph]

 

3 Commenti

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Francesco Fabbretti

circa 4 anni fa - Link

Belle cose...peccato che non abito più a Roma sennò un salto ce lo facevo per assaggiarlo

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Giuseppe

circa 4 anni fa - Link

Complimenti per la scoperta e per averla condivisa, Francesco passo da quelle parti con una certa regolarità ma di solito tiro dritto fino a Perugia, Assisi dove abbiamo parenti e conoscenti ma dopo questa lettura credo proprio che farò tappa un po' prima...

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Cesare

circa 2 anni fa - Link

Io ho esattamente quella bottiglia che ha pubblicato. La mia è del 2008. Ho assaggiato alcuni di questi vini al salone del gusto di Torino. Riposa da alcuni anni nella mia cantina. Allora, 2018,.era stato presentato al Vinitaly ed aveva avuto un successo notevole, ed era in attesa della doc mai arrivata purtroppo. Nello stesso anno al Lingotto in un piccolo stand veniva presentato e li ho conosciuto la titolare (penso la figlia) dell'azienda

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